Il look serioso alla Nancy Pelosi non deve ingannare. Più che l’eterna italoamericana alle vette dei democratici statunitensi, Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato da sette mesi, è una specie di nuova Ombretta Fumagalli Carulli. E chi era costei?, esclamerebbero smemorati e Millennial: una domanda che è, in effetti, già da sé una risposta. Vestita a bomboniera, capigliatura sempre impeccabile tanto da esser soprannominata (con il consueto maschilismo, versione Ottanta) «zia di Barbie», Ombretta Fumagalli Carulli è stata la Doppio-Cognome, andreottiana del Csm, prima donna ad entrarvi nel lontano 1980. Prima e poi docente alla Cattolica, eletta con Dc, Udc e Lista Dini, variamente di governo e sottogoverno, Fumagalli Carulli è tutto sommato, una figura che Laura Boldrini avrebbe persino potuto mettere nel “pantheon delle donne” che ha creato da presidente della Camera, in un corridoio di Montecitorio, assieme con le suffragette, le costituenti, Nilde Iotti, eccetera. Avrebbe potuto, ma non è successo.
Col suo deciso piglio, che pure i detrattori le riconoscono, la Doppio Cognome di questa legislatura, l’avvocato Alberti Casellati, l’ha invece agguantato sul serio, uno dei tre posti lasciati appositamente liberi in quel Corridoio di donne, e sostituiti con degli specchi («Presidente del Senato, Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio: nessuna donna ha ancora ricoperto questi incarichi, potresti essere tu la prima», recita la didascalia accanto). Ecco, alla faccia delle tante che hanno buttato a quegli specchi occhiate tanto distratte quanto bramose (da Raggi a Boschi, riguardarsi in rete i video, è istruttivo), Alberti Casellati - che in quel corridoio forse non andò (stava al Csm, quando fu inaugurato) - ha sostituito direttamente lo specchio con la sua foto. E lo ha fatto grazie al primo degli innumerevoli strappi che di lì in avanti sarebbero stati fatti dal leader leghista Matteo Salvini, il quale di punto in bianco si mise a votare apposta in modo diverso da quello concordato con Berlusconi. Da allora, era il 24 marzo 2018, Alberti Casellati occupa la seconda carica dello Stato come correlato di una ipotesi che non si è poi verificata. Quella che al governo andasse anche un centrodestra “classico”.
È il bello è che, correlato di una inattuata ipotesi, elemento residuale di una storia che è andata da tutta un’altra parte, Alberti Casellati si comporta invece assolutamente come stesse assisa nel mainstream più vincente di tutto il panorama politico. Fregandosene, tra lo spregiudicato e l’arrogante, degli sguardi perplessi, angosciati, costernati (dipende) che pure talvolta la fissano. Terrore del servizio del Cerimoniale - che a quanto pare impazzisce per via dell’attenzione spasmodica di lei a “chi siede dove”, nonché a continue problematiche su dove posizionare il marito - Alberti Casellati ha, tra i suoi primi atti, fatto due cose insolite. La prima: ha scelto di farsi proteggere dai carabinieri e non più dalla polizia, come prescrive il protocollo istituzionale (esiste un apposito ispettorato presso il Viminale). La seconda: ha raso al suolo il gruppo che per tradizione formava la segreteria del presidente - tutti precari di Palazzo. E uno sarebbe portato a dire: meglio, aria, cambiamento. Eppure, come ebbe a chiarire la stesa presidente in una delle tante polemiche con i Cinque Stelle: «Il cambiamento per il cambiamento non è sinonimo di miglioramento». Di fatto, dopo non aver rinnovato gli otto a contratto in segreteria, Casellati si è costruita uno staff di una ventina di persone, molte provenienti dalla morente Forza Italia, tra cui la moglie del senatore Lucio Malan. Annullando, comunque, in un colpo solo gli anni in cui il Palazzo tentava di rispondere all’onda anti-casta tagliando personale ed emolumenti.
Al contrario, nell’era Alberti Casellati, nella repubblica indipendente del Senato dove a comandare è appunto una fedelissima di Berlusconi, una girandola di persone (il budget per i consiglieri è di 90 mila euro al mese) - che ovviamente il Palazzo non si trattiene dal far notare. La tendenza a consumare anzitempo i portavoce si è per ora fermata al secondo tentativo: dopo una prima collaborazione presto interrotta, resiste l’affabile Tonino Bettanini, portavoce di Claudio Martelli negli anni d’oro (si vociferava dovesse arrivare Danila Subranni, ex portavoce di Alfano, poi la cosa si è persa nella notte). In compenso, Alberti Casellati si è dotata di un capo di gabinetto, cosa che il suo predecessore non aveva: e che capo! Si tratta infatti di Nitto Palma, l’ultimo Guardasigilli nei governi del Cavaliere, berlusconiano della prima ora e adesso uomo chiave del suo cerchio magico, l’unico peraltro che sappia riportarla alla ragionevolezza quando perde le staffe. Esperto di dinamiche parlamentari, abile anche nella conduzione della commissione Giustizia al Senato la scorsa legislatura, pur non rieletto a questo giro Nitto Palma per affiancare Alberti Casellati pare abbia preteso una bella cifra, nientemeno che l’equivalente del proprio stipendio da senatore, si riferisce ai piani nobili del Palazzo. Tuttora potente e ramificato, è lui che comanda di fatto, gettando un’ombra cupa di cautele e timori in tutti gli angoli.
Ad affiancarlo, in un altro incarico di assoluto prestigio, sarà adesso il togato uscente del Csm, Claudio Maria Galoppi (Magistratura indipendente) che sarà consigliere per gli affari giuridici e istituzionali. Ma non ci si ferma qui. C’è Valentino Valentini, mitologico membro dello staff storico di Berlusconi, a consigliarla nel settore esteri. Alberti Casellati, con gestione del potere conferitole tutt’altro che distratta, ha deciso di dotarsi pure di un consigliere militare, il tenente colonnello Patrizio Di Tursi, già eletto a Roma con Forza Italia. «Il consigliere di guerra», l’hanno soprannominato a Palazzo (un Palazzo che certo non l’ama, probabilmente ricambiato) come a sottolineare il tratto vagamente surreale della cosa. Che se ne fa di un consigliere militare, il presidente del Senato?
Certo, poi, in punta di Carta vi è da dire che Alberti Casellati è la seconda carica dello Stato, colei che è chiamata se serve a supplire il ruolo del presidente della Repubblica. E, vi è da aggiungere, la presidente (ma lei preferisce “il” presidente) non si comporta nemmeno uno spillo da meno di così. Pare che preferisca ormai vivere a Palazzo, più che a casa sua (sotto la quale staziona comunque la solita camionetta), e di certo nel suo Appartamento Presidenziale ha voluto ricevere a inizio ottobre per una cena Silvio Berlusconi e una folta delegazione di amici (Confalonieri, Letta, Ghedini, eccetera), dalla quale pure mancavano personaggi dell’oggi tipo Licia Ronzulli - a sottolineare come la consuetudine che Alberti Casellati ha con l’ex Cavaliere sia ben più antica, amicale e profonda di quest’ultima fase. La mossa ha comunque fatto infuriare la Forza Italia sopravvissuta, da Anna Maria Bernini in avanti.
Il suo senso di sé, per breve che sia il suo potere, è del resto già leggendario. Tra le gaffe e le sfuriate in Aula che si annoverano nei resoconti parlamentari, c’è quella che la presidente del Senato fece dopo aver negato in settembre il voto segreto a un emendamento sull’obbligo di vaccinare i bambini. Una sfuriata che si concluse così: «Il fatto di attribuirmi atteggiamenti che non possono essere - per così dire - terzi rispetto a quest’Assemblea non lo accetto perché non me lo attribuisco, pensando di avere un buon senso di autocritica». Sembra una intervista impossibile di Mai dire gol, ma in fondo il senso è semplice: non accetto le vostre critiche, perché se avessi sbagliato lo saprei da sola. E «alla luce di ciò, ritengo di chiudere questo episodio», fu la memorabile chiusa. Una specie di evoluzione dalla filosofia presocratica: dall’uomo misura di tutte le cose, ad Alberti Casellati misura di tutte le cose.
In tanta sicumera, due sono punti molli. I figli. E l’apparire. Del figlio direttore d’orchestra, Alvise, parla di continuo, quasi dovesse promuoverlo - e non fosse già abbastanza promosso da sé. Dell’altra figlia, Ludovica, ex dipendente di Publitalia, parla un po’ meno, ma la incontra più spesso: non che le abbia fatto un contratto, come invece accadde quando lei era sottosegretaria alla Salute (e la figlia capo segreteria); succede invece che spesso la si trovi per i corridoi del Palazzo, in alcuni più di altri, e in una stanza in particolare. «Secondo piano, uscendo dall’ascensore, a destra», mormorano precisi. Quanto all’apparire, stupì a inizio legislatura la raffica di interviste che Alberti Casellati concesse, a destra e sinistra. Poi tutto si calmò. Del che lei ancora non si fa una compiuta ragione, forse perché a fare troppo l’istituzionale s’annoia.
La tv le piacerebbe in particolare, dicono sempre gli arazzi. Del resto il piccolo schermo consente una versione più impostata, non quella d’Aula, dove certo Casellati - tra gaffe, picchi di rabbia, e interventi di stampo politico - non dà il meglio di sé. Assai più abile, in effetti a gestire il mix di affari pubblici e privati, come è avvenuto per la questione dei vitalizi. Dopo essere apparsa per quasi tutta l’estate una specie di punto di riferimento per tutti i contrari rispetto all’abolizione per gli ex parlamentari tanto voluta dal suo omologo Fico, d’improvviso da un giorno all’altro Casellati ha dettato una tempistica precisa per adeguarsi a quanto già deliberato dalla Camera. Una tempistica peraltro rapidissima: bisognava, a sentir lei, fare tutto in 15 giorni. Ma cosa era successo? Il giorno prima, Casellati aveva ottenuto ragione, in appello, dal collegio di garanzia che doveva decidere circa i suoi propri arretrati da ex parlamentare, come ha raccontato il Fatto. Centinaia di migliaia di euro (stime parlano di 200-370 mila) cui aveva dovuto rinunciare quando si era dimessa da senatrice ed era passata al Csm, e che invece adesso - previa causa e appello - potrà avere. Ed ecco che in concomitanza con questa vittoria privata, come a bilanciare gli effetti della notizia, Casellati è diventata durissima in pubblico pro-abolizione dei vitalizi. Almeno a parole. Perché alla fine: repubblica autonoma sì, ma pur sempre berlusconiana.