Viaggio a Brescello, il comune sciolto per mafia dei film di don Camillo. Dove la storia “rossa” è arrivata al capolinea
Brescello, elezioni del 1948 . Il Fronte popolare democratico di Palmiro Togliatti e Pietro Nenni registra il 52,59 per cento dei consensi. Alla vigilia della caduta del muro di Berlino il Pci è al 41. Soglia abbondantemente superata dal Pds nell’anno della prima discesa in campo del Cavaliere nero Berlusconi. Poi, il 2008 è l’anno del Pd. Inizia una lenta e drammatica emorragia di elettori. Fino al 4 marzo, giorno della disfatta nazionale per il centrosinistra. Che nell’Emilia, intellettuale e operaia, diventa evento drammatico, storico, da raccontare alle future generazioni. La regione rossa per eccellenza stinta e ridipinta di verde leghista e giallo grillino. Due tonalità nuove per la roccaforte della sinistra, modello sociale e culturale, ora in mano ai conquistatori populisti e sovranisti. Di questa capitolazione del Pd esistono luoghi simbolici. Microscopiche realtà, che racchiudono in sé ogni elemento per comprendere il cammino suicida di un partito che avvitandosi su se stesso ha lasciato al proprio destino le classi medie, le periferie, i lavoratori, i giovani.
C’era una volta il mondo piccolo di Brescello dove la realtà era condita di poche e solide certezze. Il partito e la chiesa, punti di riferimento della comunità. Chi si aspettava, però, che quel granitico consenso rimanesse tale dopo il ciclone populista è rimasto deluso. Anche su Brescello, il paese di 5 mila anime nella bassa reggiana al confine con la Lombardia mantovana dove Giovannino Guareschi aveva ambientato le sue storie, soffia un vento diverso.
Alle 8 di mattina la piazza è deserta. Il Burian siberiano dei giorni pre elettorali ha lasciato posto a un tepore inaspettato. Come del resto inatteso è stato il risultato del voto. Il Pd nel municipio di Peppone, il sindaco comunista interpretato da Gino Cervi nell’adattamento cinematografico dei racconti di Guareschi, ha incassato una sonora sconfitta. Terzo partito. Primi i Cinquestelle e subito dopo con oltre il 21 per cento la Lega sovranista di Matteo Salvini, la vera sorpresa. Perché i grillini rispetto alle scorse politiche hanno totalizzato appena 30 voti in più, con il Pd che aveva retto piazzandosi comunque al primo posto.
Questa volta per i democratici il crollo è stato notevole, meno 13 per cento. Ecco, se solo potesse parlare la statua di Peppone, lì immobile sotto il palazzo del Comune, gliene canterebbe quattro agli eredi che hanno rottamato il partito. E, di certo, troverebbe un alleato nel suo storico avversario, don Camillo, che lo guarda smarrito dall’altra parte della piazza.
Messe da parte le statistiche, le percentuali, i dati, il vero cambiamento da queste parti è tangibile volgendo lo sguardo verso il palazzo comunale. La sedia del sindaco è vuota da un anno e mezzo. Commissariato per il condizionamento della ’ndrangheta, cosca Grande Aracri. Il sindaco deposto si chiama Marcello Coffrini. Avvocato e figlio di Ermes, il Peppone per moltissimi anni alla guida del paese. Coffrini è stato per il Pd emiliano una sciagura di proporzioni enormi. Un grosso guaio da cui è uscito con le ossa rotte. Già, perché Coffrini sarà ricordato come il primo sindaco emiliano sciolto per infiltrazioni mafiose, grave danno di immagine per il Pd nella sua terra eletta. Ciò ha prodotto conseguenze che oggi l’intero partito paga. Del resto, però, c’era da aspettarselo. Intervistato dai cronisti di Cortocircuito, Coffrini si lasciò sfuggire una sua opinione personale sul boss del paese. Parole che poi hanno fatto il giro delle televisioni: «Persona perbene, gentile».
Quell’elogio ingenuo sancì l’inizio della fine per Brescello e per il partito, molti giovani elettori che contribuirono al 40 per cento delle Europee solo quattro mesi prima decisero che non avrebbero sopportato oltre. Anche perché a distanza di un anno a intorbidire le acque della Val Padana è arrivata anche la valanga di arresti con la maxi inchiesta ribattezzata Aemilia. Centinaia in manette, indagati anche politici e imprenditori locali. Ma soprattutto l’antimafia di Bologna ha indicato in Brescello il cuore della ’ndrangheta emiliana, al pari di San Luca per quella calabrese. Da quel momento i brescellesi hanno dovuto fare i conti con dati non più giornalistici ma giudiziari. Elementi che hanno portato, poco più tardi, alla decisione del Viminale di affidare il comune ai commissari con il compito di ripulire l’ente dalle scorie criminali. Fine di un’epoca, insomma.
«La storia di Peppone e don Camillo è ai titoli di coda, non c’è più attaccamento ideologico e i giovani ragionano in tutt’altro modo», riflette don Evandro Gherardi, «il tracollo del partito è dovuto anche allo sfilacciamento del tessuto, alla solidarietà fagocitata dall’individualismo».
Il parroco di Brescello, moderno don Camillo senza più validi concorrenti, ritiene lo scioglimento per mafia una vera ingiustizia: «Ha spaccato la comunità, e anche i miei parrocchiani. Divisi dalle tensioni e da attriti scaturiti dopo le dimissioni dell’ex sindaco». Il prete è figlio di comunisti di Cavriago, paesone poco distante dove in piazza resiste al tornado Cinquestelle il busto di Lenin, nonostante, persino qui, la sinistra sia ai minimi storici. «Brescello viene usata dai partiti per farsi pubblicità sulla lotta alla mafia. Oggi viviamo in un paese sfibrato, cittadini gli uni contro gli altri, chi avrà il coraggio di amministrare in futuro?», si chiede don Evandro. E in effetti la domanda è legittima, i commissari andranno via tra pochi mesi, possibile che si voti a giugno, se non a maggio. In paese gira voce che l’unica lista in caldo e pronta a buttarsi nella mischia sia quella degli ex amministratori della giunta Coffrini caduta per mafia.
Scenario simile, dunque, ai tanti comuni del sud che addirittura dopo lo scioglimento non riescono a rieleggere un sindaco per mancanza di candidati. E la Lega o i Cinquestelle? Con i fuochi d’artificio delle ultime politiche in questi seggi, più di qualcuno si aspetta una lista dei due partiti. Eppure non è scontato, benché un’ipotetica assenza alle comunali possa apparire priva di ogni logica. Ma è la politica postmoderna. I voti si raccolgono senza neppure muoversi da casa. In campagna elettorale da queste parti, in uno dei pochi comuni sciolti per mafia al Nord, non si è visto nessuno. Né Salvini, né Di Maio, né Di Battista, né Renzi.
Prendiamo la Lega. Qui ha vinto per il marchio mediatico di Salvini, ma non esiste più. L’immigrazione tra l’altro non ha mai creato problemi di ordine pubblico. Però anche a Brescello la retorica razzista salviniana ha fatto presa: sarà per quel centinaio di rifugiati che vivono nell’hotel quattro stelle “Don Camillo” alle porte del paese? Probabile, intanto girando per le viuzze del centro di stranieri che bivaccano nemmeno l’ombra. «La mattina si alzano presto e vanno a lavorare in provincia», ci spiega una dipendente dell’hotel. Ma dove dormono? «In una dépendance», dice sbrigativa alla fine.
L’immagine del paradosso del Carroccio che cresce senza un radicamento sul territorio è Catia Silva. «Qui la Lega non ha più sede e militanti», racconta Silva, leghista della prima ora, che ha abbandonato il partito dopo la svolta sovranista di Salvini. Non solo, «in realtà ho lasciato soprattutto per la gestione scriteriata che ha portato nelle Lega personaggi equivoci, penso a tutti i riciclati del Sud», spiega Silva, che in questi anni quando ancora indossava la camicia verde ha subito decine di minacce per le battaglie antimafia portate avanti. Ha vinto pure un processo contro alcuni sgherri del clan per le intimidazioni subite. Tuttavia dal partito nazionale silenzio assoluto. «Salvini non si è mai degnato di venire in paese, né tantomeno di spendere parole di sostegno e appoggio nei miei confronti. Per non parlare dei candidati che ha messo in lista, per me la legalità è un punto fermo, per questo ho tolto il disturbo».
Salvini qui a Brescello ha comunque fatto un exploit notevole. La Lega è andata molto bene anche nei seggi in cui vanno a votare le famiglie di “Cutrello”, la piccola Cutro, il paese della provincia di Crotone da cui proviene il clan Grande Aracri che ha conquistato questo pezzo dell’Emilia. Anche chi ha votato Movimento Cinquestelle l’ha fatto sulla fiducia, senza poter vedere all’opera alcun meetup o gruppo attivo sul territorio. Ufficialmente non esistono grillini a Brescello.
A differenza della Lega, però, qui i dirigenti del Movimento si sono fatti vedere e non in campagna elettorale, ma nei momenti di massima tensione. La parlamentare Maria Edera Spadoni ha sempre sostenuto le denunce di Silva e lei stessa si è battuta in prima linea contro la ’ndrangheta emiliana, per lo scioglimento del Comune e per le dimissioni dell’ex sindaco Pd. Tuttavia neanche i Cinquestelle hanno intenzione di mettersi in gioco per le prossime comunali. Lo ritengono un rischio troppo elevato. Temono - raccontano fonti interne al movimento - che l’apparato burocratico sia ancora contaminato. Intanto l’appuntamento con il voto si avvicina. Ma nessuno pare abbia grande voglia di metterci la faccia nonostante lo storico risultato ottenuto che ha trasformato il Pd in una forza con percentuali inferiori ai Cinquestelle di un lustro fa.
«A Brescello il partito democratico non ha più un segretario da quando mi sono dimesso», racconta Saverio Bonini, 24 anni, studente di Scienze politiche che tre anni fa aveva preso in mano il partito in piena bufera mediatica: «Mi sono dimesso perché c’è stata una frattura, chi stava con il sindaco Coffrini e chi con me. Così ho preferito farmi da parte per non essere divisivo». Bonini ci guida lungo le stradine del centro, ci mostra la vecchia sede del Pci: un palazzo a due piani ora di proprietà di una nota azienda. «Era sproporzionata anche ai tempi d’oro per un paese di queste dimensioni», sorride. Un tempo si facevano le cose in grande. Oggi gli eredi di quel pezzo di storia si ritrovano in un appartamento al piano terra di una palazzina residenziale. Una grande sala con i quadri di Che Guevara, di Berlinguer, i funerali di Togliatti di Guttuso e poi libri a non finire, da Marx e Engels a numerosi saggi di storici e intellettuali. «Io sono renziano convinto, però non rinnego il patrimonio ideale del passato. Le nostre radici sono queste».
Bonini non è affatto stupito dal balzo della Lega nel feudo rosso: «Sicuramente una parte di voti di chi non ha digerito lo scioglimento per mafia si è disperso, un po’ ai Cinquestelle un po’ alla Lega». Una forma di punizione per il partito che ha cacciato l’amatissimo sindaco che tanto imbarazzo ha creato con le sue uscite sulla mafia. Bonini oggi è un semplice militante con due sole certezze. La prima è che non sarà lui il candidato del Pd alle prossime elezioni locali. La seconda è che sarebbe assurdo ritrovare gli amministratori dello scioglimento di nuovo in lista. Anche perché giunti al termine del commissariamento il lavoro da fare non è esaurito. I tre commissari -Antonio Giannelli, Antonio Oriolo e Giacomo Di Matteo - si limitano a dire che in questi mesi il loro obiettivo è stato quello di ripristinare la legalità. In realtà hanno lavorato a pieno ritmo e a differenza di quanto avviene in altri Comuni sciolti per mafia loro sono presenti ogni giorno della settimana. È recente la notizia della chiusura dell’ex bocciodromo comunale. Merito loro, troppe anomalie nell’iter autorizzativo e parentele ingombranti degli interessati. Il rapporto tra i cittadini e i commissari non è mai facile. Ma chi si aspettava una storia diversa solo perché siamo nella civile Emilia e non in Calabria si sbagliava di grosso. Anche qui per la triade di funzionari prefettizi è stato complicato. Hanno lavorato pressoché isolati. Hanno provato in qualche modo a coinvolgere la comunità con attività culturali. Per esempio organizzando il cinema sotto le stelle in piazza. Con molta ironia hanno deciso di proiettare “L’ora legale” di Ficarra e Picone.
La storia incredibile, cioè, di quel sindaco onesto che alla fine con la sua onestà radicale mette in crisi l’intera comunità, affezionata in fondo a quel po’ di illegalità che in alcune circostanze fa comodo. Tuttavia, i commissari, con esperienze in municipi del Sud infettati dal malaffare, hanno riscontrato un forte clima di silenzi e omertà. E non sono mancate le critiche, come in occasione dell’alluvione di dicembre. Chi li accusava però si sta ricredendo. Perché nell’inchiesta in corso su eventuali responsabilità, il Comune risulta parte offesa. E gli stessi commissari hanno chiesto di effettuare i carotaggi lungo la sponda bucata dal fiume Enza. Qualcuno ha fatto il furbetto a spese della collettività? Se così fosse poco può fare il “Cristo parlante” di don Camillo per fermare il grande fiume. Il Cristo - quello originale dei film - è ancora custodito da Don Evandro nella parrocchia. Ogni settembre lo porta in processione sul Po. L’ultima volta al posto del sindaco c’era uno dei commissari. Don Evandro e il commissario. E poi il Cristo, l’unico cimelio intatto di un mondo piccolo volato via.