Sparatoria in centro a Napoli. E i politici tornano ad accusare le serie tv. Segno che non conoscono la realtà dove vivono
Sono iniziate le riprese della quarta stagione di “Gomorra” ed ecco che, puntuali, arrivano anche le solite accuse. In prima fila i politici che si riciclano critici - magari parlare di serie tv gli riesce meglio che governare - in cerca di notorietà o di qualcosa che allontani da sé ogni possibile responsabilità.
A Napoli domenica scorsa c’è stata una sparatoria su un lungomare assolato e quindi gremito di napoletani e turisti. Una sparatoria che è stata drammatica anche per il panico che ha generato. Nei momenti più critici, le reazioni delle massime cariche politiche locali sono le stesse da decenni, e francamente non se ne può più di sentir dire che le responsabilità stanno sempre altrove e che chi commette atti criminali non va considerato di Napoli, benché a Napoli sia nato e cresciuto. E poi arrivano altre considerazioni che bisogna con forza rispedire al mittente. Vincenzo De Luca, a quanto pare, avrebbe banalmente constatato che i napoletani per bene hanno paura di uscire di casa e che bisogna avere a cuore i destini della povera gente, la sola a frequentare i luoghi in cui la violenza si manifesta. Qualcuno lo informi che Napoli è una città assai complessa, dove non esiste, in nessun luogo, una netta divisione tra poveri e ricchi. Zone popolari si trovano anche a Posillipo, figuriamoci se il lungomare e la Villa Comunale si possono definire zone frequentate solo da “povera gente”.
Quindi la tesi di De Luca sarebbe questa: «Spesso si confonde la sicurezza con l’autoritarismo e la repressione mentre io cerco di spiegare da vent’anni che è un tema per la povera gente, perché chi ha soldi vive in luoghi separati, non va alla Villa Comunale». Ecco, questo significa parlare senza cognizione di causa, e, perché sia lampante la frattura che esiste tra la classe politica e il territorio su cui amministra, De Luca si affretta a puntare come sempre il dito contro «prodotti tv che diventano una falsificazione della realtà. Se faccio un telefilm e per tre ore non compare un uomo con una divisa dei carabinieri, allora sto falsificando la realtà». Questo è un transfer interessante tra la vita reale e la finzione televisiva: vuoi vedere che il problema di Napoli è che in “Gomorra” non compaiono uomini in divisa? Ma possibile che ci sia chi ancora riesce, senza vergogna, a dire tali idiozie?
Forse - ma la mia è solo un’ipotesi - il problema di Napoli e della Campania è che non c’erano uomini in divisa mentre il figlio di De Luca riceveva l’ex boss del ciclo dei rifiuti Nunzio Perrella, ecco, questo credo abbia un effetto maggiore sulla collettività, rispetto a una serie tv che diventa il capro espiatorio di incompetenze e cinismo.
Ma quello che risulta evidente è ormai l’attitudine della classe dirigente che, sempre più incline a distinguere tra noi persone per bene e loro criminali, ha abdicato a rappresentare tutti e a interessarsi anche dei destini di chi, meno per inclinazione e più per mancanza di reali prospettive, per vivere commette reati.
E se “Gomorra” descrive uno spaccato di realtà, se a Napoli la serie è un vero è proprio romanzo popolare, visto da tutti, quello che mi spaventa è l’attitudine delle sedicenti élites di considerarsi le uniche in grado davvero di recepirne il senso. Mi spiego meglio: noi - dicono - abbiamo cultura e strumenti e quindi possiamo vedere la serie. Voi no. Voi non avere cultura, non avete mezzi, non potete discernere. Voi “Gomorra” non lo potete vedere perché vi fa male. Perché imitate, emulate. Ma dove vive chi dice questo? Prima di vedere “Gomorra” non si rendevano conto che Gomorra ce l’avevano attorno, che ci stavano dentro?
Questo è il classismo di una città che vede le sue Padanie (i cosiddetti quartieri collinari, i quartieri bene) espugnate dalle infrastrutture, dalla metropolitana che collega il centro alle periferie, dalla modernità. Questa è la Napoli che si lamenta perché il centro storico è popolare, povero, criminale. Questa è la Napoli che sale in cattedra senza averne le competenze. Questa è la Napoli che nega fino a quando non è costretta a parlare perché sente gli spari, vede il panico e talvolta il sangue. E alla distrazione, all’incompetenza, all’indifferenza segue la colpevolizzazione degli altri, mai di se stessi. La violenza di oggi è una ribellione al disagio, ma una ribellione distruttiva alla quale si sta ancora una volta rispondendo in maniera sbagliata. Fino a ieri la criminalità non esisteva, oggi esiste ma è colpa delle serie tv.