Treviso, profondo Nordest: tra gli elettori di centro-destra il contratto Lega-M5S è guardato con sospetto. Portafogli alla mano. Sull’immigrazione la linea Salvini non si discute. Ma qui è pieno di regolari che lavorano e «possono restare»

Chiacchieri con Luciano Benetton dell’ircocervo gialloverde Salvini-Di Maio, se davvero si farà, e lui sgranando gli occhi sorridente ti dice: «Speriamo abbiano ragione, non ci punterei un dollaro, comunque mi tengo lontano». Ha altro cui pensare, s’è ripreso le redini della sua azienda scolorita e impoverita dai manager, poi c’è la Fondazione, il premio Scarpa, l’esposizione Imago mundi alle ex-carceri asburgiche che ha ristrutturato qua nella sua Treviso...

Non tutti si mostrano altrettanto distaccati. Chi è atterrito dalla mannaia ancora incombente di un’Iva al 25 per cento come da clausola di salvaguardia e incrocia le dita. Chi già aveva fatto i conti sulla salviniana flat tax al 15 per cento allo stesso modo in cui compri un biglietto della lotteria e in cinque minuti già sai come spenderai i milioni del jackpot finché non scopri che hai vinto, sì, ma hai indovinato solo due o tre numeri, e la flat tax verrà chissà quando e chissà come. Chi, più prudente, è abituato a fare la tara alle parole e alle promesse, e insomma mica si può avere la luna, cominciamo con qualche punto di tasse e un grano di burocrazia in meno, l’ intendence suivra.

Cuore di quel Nordest che ormai è una categoria dello spirito dai ben definiti attributi (partite Iva, capacità d’intrapresa, resilienza, volontariato, cattolicesimo, leghismo) la sorniona Treviso del “non vao a combatar” è una perfetta cartina di tornasole per leggere e bilanciare, sullo strano animale che forse sta per nascere nei palazzi del potere, le aspettative e i dubbi di una fetta d’Italia in loco omogeneamente forzaleghista per cultura e interessi mentre a Roma si ritrova divisa: schierata, un po’ sul serio un po’ per finta, ancora non è chiaro, sui fronti opposti della barricata.

Per giunta il 10 giugno qui si vota per il Comune: un centrodestra compatto senza attriti è in corsa per riconquistare Palazzo dei Trecento dopo i cinque anni di centrosinistra che avevano smantellato il precedente ventennio leghista e la sua figura chiave, Giancarlo Gentilini lo sceriffo. Con i candidati cittadini è quasi inutile parlare del governo nazionale, presi come sono da gazebo, incontri con le categorie, piste ciclabili, sostituzione dei lampioni, varchi al traffico in centro storico e degrado delle periferie. Uno su tutti, per Mario Conte il leghista aspirante sindaco, «Salvini rischia grosso, se i virtuosi del Nord continueranno a mantenere un Sud in difficoltà». Preoccupazione attesa e certo condivisa da molti, visto l’alleato che la Lega si ritroverebbe e le promesse di reddito di cittadinanza con cui i Cinque stelle hanno espugnato il Meridione.

null
Dio, Patria e Treviso: così Salvini prova a riconquistare la città
1/6/2018


Altro taglio, altro modo di affrontare la questione, se invece giri tra chi fa impresa. Ti mettono sul piatto i conti, quelli che loro stilano ogni giorno e a fine anno, e tutta una sfilza di escamotage che all’estero sono legge e a noi «basterebbe copiare». Qua e là sembra s’arrampichino un po’ sugli specchi ma, attrezzati come sono in azienda al “problem solving” quotidiano, risultano alla fine più possibilisti e speranzosi di quell’esercito di militanti leghisti che nelle settimane dell’estenuante contrattazione per stendere un contratto di governo hanno invaso i social di bellicosi appelli affinché il loro comandante Matteo conceda poco o nulla, comunque il meno possibile, a quei Cinque stelle «ambigui, incoerenti, inaffidabili, vanagloriosi, egocentrici, che ti vogliono raggirare, fregare, mettere fuori gioco senza che tu neanche te ne accorga».
Hanno chiaro che flat tax e reddito di cittadinanza costano un occhio della testa e insieme non ci possono stare? «Se i due litigheranno, abbiano la compiacenza di farlo in camera caritatis. Salvini però la flat tax l’ha promessa e ora mi aspetto che la realizzi. Anche per tappe, volendo. Non mi sogno il 15 per cento sull’unghia, qualunque aliquota mi propongano sotto il 30 a me sta bene, ma voglio una dimostrazione vera del cambiamento di rotta»: così Davide Zuin, imprenditore vitivinicolo a Valdobbiadene, 100 mila bottiglie di Prosecco quasi tutte export in Cina, Russia, Stati Uniti e Uk, che incontri alla bicchierata dopo la presentazione della lista Lega per le comunali. È lui l’uomo del «la cosa incredibile è che basterebbe copiare, non serve un genio a inventarsi chissà che». Copiare da chi? E che cosa, in abbinata a (e a compensazione di) una flat tax con aliquota più alta di quella promessa e sbandierata? «In Germania puoi scaricare subito dall’imponibile investimenti, auto, immobili, qualsiasi spesa. Vuoi battere l’evasione? Fammi detrarre anche la camicia che indosso e la tazzina di caffè al bar! Rimetti in circolo denaro, fa’ in modo che io possa creare lavoro, piantala di buttare i soldi in modo sciagurato ai forestali di Calabria e Sicilia, e cambia una politica estera antirussa che spappola le nostre esportazioni! Fai tutto questo e te lo do subito il reddito di cittadinanza, escono tanti soldi da realizzarlo senza guai! Beninteso, anche per le famiglie povere del Nord».

Puoi pure copiare da più vicino. Dalla Slovenia, un’ora da qui, Europa come noi, tassazione fissa al 20 per cento. O dall’Austria. Dove con la tax ruling «a inizio anno un’azienda scommette col fisco sul risultato economico che raggiungerà, e quello che hai concordato paghi, anche se alla fine tu guadagni il doppio o la metà. Ma lo puoi fare se tra il cittadino e lo Stato, l’impresa e lo Stato, vige un solido rapporto di fiducia e non, come in Italia, di inimicizia e oppressione. A ripristinare un rapporto del genere, a questo serve la flat tax, oltre che a lasciare soldi in tasca da reinvestire in azienda»: così Roberto Fava, imprenditore nel settore della bioedilizia, Forza Italia, in quel che resta della Provincia con delega a cultura e turismo. Ora pare la vogliano applicare, la flat tax, solo sulla quota di reddito aggiuntivo rispetto all’anno precedente, come da proposta di Giorgia Meloni: «Meglio di niente, ma quel che serve è uno shock fiscale, non un’aspirina...»

Fughe in avanti, modi per svicolare, tutti allenatori della Nazionale? Anche no. Tocca piuttosto prendere atto, in questo Nordest da santino operoso e forzaleghista, di un umanissimo scarto tra ciò che uno sa di potersi aspettare davvero (pochi sono così matti da immaginare che le promesse elettorali verranno esaudite così come sono state formulate) e la persistente suggestione di scrollarsi di dosso quella che è percepita come oppressione del fisco e dello Stato centrale (sensazione generale, ben radicata e, fatta la tara agli slogan, giustificata). Di qui la curiosa mistura di speranze temperate e disincanto preventivo, senso dell’urgenza e pacatezza nell’attesa: non ultimi ossimori di un’avventura di governo che su un ossimoro nasce, se nasce.

Questa ambivalenza vale più o meno per ciascuno dei temi sui quali i programmi originari Lega e Cinque stelle divergono. C’è sempre un “ma” su cui far leva per far quadrare il cerchio. L’immigrazione, i leghisti ci vanno giù duro, ma: «Fuori quella sbagliata, i clandestini, bene i regolari che lavorano, a vendemmiare da me vengono ucraini, sloveni, romeni, tutti in regola, sia chiaro», dice lo Zuin di prima. No che non sarà il governo giusto, per Luigi Susin il forzista, presidente trevigiano dell’Esercito di Silvio, imprenditore in energie rinnovabili, ma: «Con la mannaia dell’aumento Iva sul collo un governo va fatto comunque, se no è un salasso, per fare l’imprenditore devi essere un eroe, fai girare un sacco di soldi e a fine anno non porti a casa quasi niente». Altri “ma” sono persino ovvi: la legge Fornero così non va, ma non è che la puoi smantellare del tutto come da propaganda, l’Europa com’è non funziona, ma non è che ne puoi fare a meno et cetera. Un “ma” dopo l’altro, si vedrà quello che passa il convento e ci si farà una ragione. Si chiama luna di miele, apertura di credito, chiunque agli esordi ne beneficia e la strana coppia non fa eccezione, se i due del bacio in murale non la tirano all’infinito e salvo altri grossolani scivoloni. Quanto durerà è un’altra storia, prima o poi anche la pacata e ragionevole gente del Nordest due conti li farà, peserà e valuterà. Qualcuno, però, l’alleanza strategica Cinque stelle-Lega l’ha già bell’e fatta, almeno nella sua visione del paese in trasformazione. Senza soverchi problemi. Limando quello che non va da una parte e dall’altra. «Sì, è vero, simpatizzo per i Cinque stelle e la loro battaglia contro la corruzione; anche se ho disapprovato che abbiano bloccato la legge sullo ius soli per inseguire l’opinione pubblica, e ora vedo dura approvarla. Ma per altri versi simpatizzo anche con la Lega, con Zaia che ha salvaguardato il tessuto economico del Veneto e del Nordest, con le istanze di autonomia finanziaria che per un’impresa significano velocità di risposta contro la lentezza di quanto fa capo a Roma; anche se non condivido per nulla le loro campagne di intolleranza verso extracomunitari e marginali, né le loro chiusure sui diritti civili».

A mettere insieme in questo modo il diavolo e l’acqua santa è Paolo Polegato, Astoria wines col fratello Giorgio, 10 milioni di bottiglie di Prosecco l’anno per due terzi al mercato interno, sponsor del Giro d’Italia ma anche del Gay pride che ha fatto imbestialire mezza Treviso, di varie iniziative Lgbt e di una rassegna di ritmi e danze delle comunità straniere in Veneto, lui che ha famiglia multicolore e due figli su tre di pelle nera.
Come altri, parla di tasse e soldi da reinvestire, di un antieuropeismo che, tranquilli, è solo di facciata, di una classe media che va scomparendo come negli States, «e anche da imprenditore io a chi la vendo la bottiglia o il calice di Prosecco se la middle class non ha più neanche i soldi per pagare le bollette?» Il matrimonio, il termine è suo, tra Lega e Cinque stelle lui lo vuole fortissimamente, adombra che poteri più o meno occulti lo facciano fallire, vede Forza Italia felicemente avviata sulla via dell’irrilevanza, come da indicazione dell’ultimo voto politico. Anomalo, il Polegato, è fuor di dubbio. Ma anche la Lega lo è stata. E ora i Cinque stelle. C’è da chiedersi se, proprio in questo Nordest dove in cinque anni la Lega s’è fagocitata un quinto del voto di protesta nel 2013 ancora appannaggio dei Cinque stelle, non stiamo assistendo ai prodromi, alle prime avvisaglie, di un grilloleghismo assai più organico di quanto le baruffe sul premier e le pantomime sui programmi facciano immaginare.