Il10 giugno si vota in 589 Comuni. A Treviso, azzoppati i Cinque stelle da liti interne, la Lega schiera l'artiglieria pesante e punta a riprendersi il feudo che fu dello sceriffo Gentilini. Contro un centrosinistra al governo ma disunito (Foto di Fabrizio Giraldi)

È destino: tutte le volte che vai in Veneto a raccontare una disfida elettorale finisci prima o poi sotto un tendone o un capanno, tavolata di centinaia di persone d'ogni età e famiglie con putei appresso, festa di una o l'altra delle associazioni di volontariato, sportive, cori, ambientaliste, combattentistiche e d'arma (tredici solo a Treviso, alpini, fanti, marinai, aviatori, bersaglieri, paracadutisti, finanzieri e quant'altro) fino ai Gat, che suona resistenziale invece sono i Gruppi anziani territoriali: ossia di quello strepitoso tessuto connettivo che qua da sempre disegna e struttura la società civile. A Treviso si vota per le comunali il 10 giugno: come in altri 589 Comuni da nord a sud inclusi Ancona, Brescia, Sondrio, Udine, Vicenza, Imperia, Massa, Pisa, Siena, Terni, Viterbo, Teramo, Avellino, Barletta, Brindisi, Messina, Catania, Siracusa, Trapani, Ragusa. Ballottaggio, assai probabile, il 24.

Eccoli dunque i politici di destra e di sinistra, a mangiare le verdure dell'orto e le torte fatte a mano al gruppo folkloristico Pastorìa del Borgo Puro appena fuori le mura sul fiume Sile nel parco naturale, piccolo museo contadino incluso e gita in barca: presenza discreta, niente santini e sbigliettamenti, giusto si sappia che io sono uno di voi, se poi vuoi anche votarmi non c'è neanche bisogno che te lo chieda.

Le due Italie
Viaggio nella Treviso leghista, tra scetticismo e aperture ai pentastellati
23/5/2018


Fraternizzano, i contendenti, ma si tengono d'occhio a vicenda, e al primo che accenna un affondo s'innescano serrati contraddittori, altro che le giaculatorie dei primi ingessati confronti pubblici tra i candidati. «Ma dai che voi in cinque anni l'80 per cento delle risorse le avete destinate al centro storico dove vivono seimila persone su 82 mila!», sberleffa Mario Conte, il giovane leghista candidato da tutte e sei le liste di centrodestra. Lo rimbecca Franco Rosi, presidente del Consiglio comunale uscente, candidato in Treviso Civica a sostegno di Giovanni Manildo sindaco di centrosinistra a caccia del secondo mandato (no, oggi Manildo qui non c'è, i compagni glielo rinfacceranno): «Cosa dici! Abbiamo appena stanziato 46 milioni per le periferie! E cambiamo tutti i 15 mila lampioni della città, e la luce è insieme decoro e sicurezza». «Avete svenduto allo Stato il palazzo della Prefettura per fare la copertura dello stadio di rugby». «Ma và, è costata un milione, sei li abbiamo messi sulla spesa sociale». «E le 17.205 multe che in otto mesi avete inflitto ai trevigiani con la pedonalizzazione del centro e i vostri varchi senza prima adeguare parcheggi e trasporto pubblico? Io li riapro quei varchi!». «Bravo, allontana i turisti, vedi poi come sono contenti i commercianti..»

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PIÙ CENTRO CHE SINISTRA
Dalle lampadine agli immigrati, dalle multe alle piste ciclabili, se la giocano su ogni possibile argomento questa campagna elettorale comunale che casca giusto a cavallo della formazione del nuovo stravagante governo gialloverde, con quali ricadute sulle disposizioni di voto degli elettori ancora è da vedersi. Da che siamo in Seconda Repubblica, Treviso è stata feudo indiscusso della Lega e del suo sceriffo Giancarlo Gentilini, vulcano in perenne eruzione, dieci anni da sindaco e dieci da vicesindaco del compagno di partito Gian Paolo Gobbo: ma nel 2013, fulmine a ciel sereno, col centrodestra in ordine sparso il ricandidato Gentilini è stato battuto da Manildo con la sua allora compatta coalizione dal centro cattolico all'estrema sinistra. Ora è l'inverso.

Centrodestra unito nonostante la spaccatura sul governo nazionale, dopo che nella stessa Lega se n'erano dette di tutti i colori e benché i giochi di fazione covino tuttora sotto la cenere; centrosinistra ristretto, con due liste di sinistra a contendergli i voti, e va a sapere quanti può sperare di riprendersene all'eventuale ballottaggio. Quanto ai Cinquestelle, come già in Friuli, qui a Treviso il fatidico 4 marzo il 21 per cento del Movimento era 5 punti sotto il risultato delle politiche 2013, e a queste comunali sono mediamente accreditati sotto il 10 per cento.

Giovanni Manildo, il sindaco del centrosinistra, ti nocciola un sondaggio che lo dà a ruota di Conte al primo turno ma vittorioso al secondo col 52 per cento. Anni 48, avvocati padre, fratello, sorella, due nipoti e lui stesso che fin da piccolo avvocato voleva diventare, negli scout da lupetto fino al grado di Akela quando lascia nel '92, a scuola dai preti al liceo vescovile Pio X dove hanno studiato tutti i sindaci di Treviso tranne un paio di laici e uno che durò poco. Buona forchetta, amante dei Pink Floyd, lettore di Céline. Nel 2008 nascono i circoli Pd e lui entra in politica, a maggio è consigliere comunale, a settembre segretario cittadino, nel 2013 sindaco.

Pesca da Gaber, “Io come persona” era il suo motto, e da San Francesco, “Incominciate con ciò che è necessario, continuate con il possibile, vi scoprirete capaci di fare l'impossibile”: per i punti due e tre servirebbe almeno un altro mandato. Vanta il rifacimento di due piazze centrali, la messa a posto di 150 alloggi per emergenze abitative, la modifica al regolamento di assegnazione delle case popolari che ora privilegia chi vive e lavora a Treviso da dieci anni, nonché i numeri in bella crescita del turismo. Della lista civica in suo appoggio gli scappa detto che «ci sono anche persone con idee di sinistra», e certo il suo «non voglio con me esponenti del “no” a prescindere» basta a spiegare come mai i militanti di quel magmatico mondo che non sai più come chiamare tra Si, Leu, Possibile, Rifondazione, si sono fatti una lista da sé contro di lui, asetticamente chiamata Coalizione civica. Meno gli chiedi delle correnti del Pd e meglio sta, io faccio l'amministratore, risolvo problemi, scelte concrete, niente ideologie: un mantra anche degli altri candidati sindaco, pare abbiano tutti il sacro terrore di apparire ai concittadini non abbastanza con i piedi per terra. Ma quando nel novembre scorso il treno di Renzi fece tappa a Treviso nello sparuto gruppo ad aspettarlo in banchina c'erano appena tre dei consiglieri comunali del partito.

I CANNONI DI ZAIA
In Lega invece son certi di vincere loro. Han schierato l'artiglieria pesante, leggi Luca Zaia. L'amato governatore del Veneto non solo ha recuperato l'ottantanovenne Gentilini, in procinto di risposarsi, dopo anni in cui lo sceriffo ha dato dei traditori a tutto il resto dei leghisti; ma ha messo sul piatto il suo nome, finora utilizzato solo alle regionali, in quello della lista, battezzata per l'appunto Zaia-Gentilini. È la prima volta che capita: «E sarà anche l'ultima, penso non debba diventare un soggetto politico», mette le mani avanti Zaia, memore forse del fatto che ogni due per tre qualcuno, Berlusconi incluso, lo candida allo scivoloso ruolo di anti-Salvini. Dice che l'ha fatto solo perché Treviso è la città dov'era presidente di provincia e consigliere comunale; che lo sceriffo meritava di essere della partita, e in effetti lo pesano intorno all'8-9 per cento di consensi personali; che in Lega erano tutti informati e d'accordo, Matteo Salvini in testa. Una ricostruzione meno benevola racconta invece che Da Re segretario Liga Veneta, Coin segretario trevigiano, Gobbo ex-sindaco pensano ancora di disputare a Zaia la gestione del partito, e che la mossa della lista Zaia-Gentilini li ha spiazzati e messi all'angolo. Certo è che la presentazione della lista sotto la Loggia dei Trecento in piazza della Signoria era da fuochi d'artificio. Gentilini lanciato in un «Popolo leghista, cittadini di Treviso! Mario Conte ha sposato il Vangelo secondo Gentilini: ordine, disciplina, rispetto della legge, prima i nostri poi quegli altri! Dio, Patria e famiglia! La giunta bolscevica ha distrutto questa città, noi la ricostruiremo! Vinceremo!». E Zaia: «Treviso tornerà a essere la “piccola Atene” che era quando ad amministrarla eravamo noi».
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Mario Conte, il candidato sindaco, se ne sta accorto fuori dalle beghe. Gentilini non lo voleva? «Tutto dimenticato quando ha dichiarato che ero il suo unico erede». I lunghi coltelli nella Lega? «Ho sempre cercato di pescare il meglio da ciascuno». Anche con gli alleati fila d'amore e d'accordo, te lo confermano in Forza Italia, pazienza se a Montecitorio vanno ognun per sé, Palazzo dei Trecento non è mica il corridoio dei Passi Perduti. Non è infingardaggine da politico, l'uomo è proprio fatto così. 37 anni, appassionato di montagna, scalate e vie ferrate, cantore nel coro Stella Alpina che ha pure presieduto, vicepresidente della sezione cittadina dei Trevigiani nel mondo che sono 10 mila, ogni due anni si disconnette un mese e si fa a piedi il cammino di Santiago de Compostela: «Per fede e devozione, per riflettere, per recuperare le energie prosciugate dalla politica».
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In Lega da 12 anni, consigliere da cinque, capogruppo da tre, geometra libero professionista nel privato, è deciso a tenersi il lavoro «compatibilmente con gli impegni da sindaco, perché dalla politica voglio mantenere l'indipendenza economica e dunque di pensiero». La sua campagna la fa porta a porta, strade, mercati, enti, parrocchie, negozi. Certo, anche sugli immigrati, ci mancherebbe. I richiedenti asilo, che sono 400 (erano fino a 900) nella ex Caserma Serena, più di mille in tutto sparpagliati in città, «vittime dapprima dei trafficanti di esseri umani, poi di parte di quel mondo fumoso e oscuro delle cooperative che li gestiscono, da ultimo dei racket di spaccio e accattonaggio quando escono dal circuito dell'assistenza a 32 euro al giorno»: vuole obbligare enti e associazioni che quei soldi incassano a sottoscrivere una polizza fidejussoria per coprire «i costi eventuali non previsti dal bando della Prefettura: sanità, danni a terzi, interventi delle forze dell'ordine...» Il clou del suo battage sono «periferie, fasce deboli, anziani, disabili, mamme con figli piccoli, coppie che non riescono a sbarcare il lunario». I quartieri, a cominciare dal San Paolo dove è nato e vive, «primo candidato sindaco della Lega che non viene dal Centro storico né dal Liceo Pio X», inalbera come fiore all'occhiello.

FUORI CENTRO
Le periferie, quando le giri con Antonella Tocchetto, avvocato, consigliera, anima popolare del Pd, a detta di molti candidata sindaco in pectore fra cinque anni, sono varie e disomogenee. San Liberale è un “villaggio coordinato” Dc anni Sessanta, fané ma con verde e negozi, alloggi a 40 mila euro o case popolari a fitto stracciato, un terzo immigrati per lo più regolari, il Rock bar un tempo della mala oggi di un cinese. San Paolo è residenziale con in mezzo il Biscione, un Corviale in sedicesimo con annessi guai. Più sgangherato Borgo Capriolo, sinti e extracomunitari. Buco nero è il grattacielo di via Pisa, immigrati allo sbando e spaccio, venti piani senza più ascensore né riscaldamento perché nessuno paga le spese condominiali. L'altra faccia di un centro storico fascinoso ed elegante, vivo ogni sera, battuto dai turisti, dei Signori come la piazza ma buono per tutti.
Quanto è ampia l'area del disagio? E chi ne trarrà beneficio nelle urne? «Te lo raccontano come un paradiso in terra, questo Nordest, ma se guardi appena un po' dietro la facciata scopri che è un perenne purgatorio», ti risponde Mirella Tuzzato. Aveva un negozio di abbigliamento, un Natale di sei anni fa s'inventa una raccolta alimentare, raccoglie dieci volte più di quanto s'aspetta, l'editore Jannacopoulos di Rete Veneta le affida due ore di Sveglia veneti! tutte le mattine e il prime time il lunedì sera: nasce l'associazione Veneti schiacciati dalla crisi, che oggi distribuisce cibo, abiti, giocattoli e quant'altro serve a 150 famiglie ogni mercoledì. «Un purgatorio, sì, per un numero crescente di persone, gente che fino all'altroieri stava anche bene nella sua casetta e oggi non ha da mangiare perché ha perso il lavoro. Gli imprenditori dicono in tv che non trovano operai? Ma se all'Ufficio per l'impiego c'è sempre la coda! Ma per avvitare un bullone ora devi sapere l'inglese, avere già una specializzazione, non aver passato i 50, essere senza famiglia ché coniugi e prole creano problemi». Non la manda a dire, la Mirella, anche sulle associazioni del mitico volontariato triveneto: «Quelle vere son mal finanziate, quelle fasulle son tante e piene di soldi...»


TILT A SINISTRA E SCIVOLONI CINQUESTELLE
Tolti i due che potrebbero vincere, sono in lizza altri cinque candidati. Tre sono donne, ma in formazioni minoritarie, Casapound, il Popolo della famiglia e, con una lista sua, la Maristella Caldato, fuoriuscita a sinistra dal Pd dov'era stata la più votata, in causa col partito, in dissonanza anche col resto della sinistra accorpatasi in Coalizione civica. Il candidato di quest'ultima è Said Chaibi, genitori marocchini, nato a Pisticci in Lucania 27 anni fa, a Treviso da 25, lavori da mediatore culturale anche in Cgil (dov'era assunto attraverso un'agenzia interinale!), uno dei dieci coordinatori nazionali del vendoliano Tilt «che per primo propose il reddito minimo garantito, mica l'hanno inventato i grillini». Oggi formatore in una startup per la ricerca di lavoro, vorrebbe supertassare gli alloggi sfitti in centro e investire su operatori di strada per «interagire con marginalità sociale, droga, giovani sbandati».
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A spostar voti nella disfida centrodestra-centrosinistra sono ovviamente, più di loro, i Cinquestelle. Piuttosto anomalo è il loro candidato, Domenico Losappio, 38 anni. Docente a contratto di Filologia medioevale e umanistica a Venezia Ca' Foscari con varie pubblicazioni di edizioni critiche di testi retorici e commenti medioevali ma anche precario in un liceo artistico, sposato, una bimba, fan dei Queen, è nel meetup da otto anni, candidato a dicembre per alzata di mano. Composto e ammodo, impacciato col fotografo, non un animale da comizio: «Lo svezzeremo», dice Catia l'attivista, che insegnava danza del ventre e s'intende del corpo e del suo linguaggio. Anche per lui, «pensare agli anziani, consolidare le reti sociali, intervenire sulle periferie» e vabbè, ma poi cemento zero, chioschi d'artigianato in aree centrali e magari, in questa Treviso piena di chiese, quadri, affreschi, «un festival del Medioevo. Che mica è roba da dotti barbosi, è Mago Merlino e Harry Potter, cinema e feste in costume, sa quanta gente attirerebbe...».
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Sono però incorsi in uno scivolone dopo l'altro. In Consiglio comunale avevano un eletto, ma se n'è andato dopo quattro mesi per aver provato a piazzare la morosa nella terna di designazione comunale per l'Ente Parco Sile. Ultimo tonfo il caso David Borrelli: nel 2008 fu qui il primo consigliere eletto in Italia, lista “Grilli Treviso” giacché il Movimento ancora non esisteva, poi braccio destro di Gianroberto Casaleggio e uno dei tre al vertice dell'Associazione Rousseau, ma presto in dissidio con Casaleggio figlio: eurodeputato, a febbraio molla il gruppo Cinquestelle, lascia Rousseau, se ne va via pure da Treviso. Il nuovo avanza per vie assai tortuose.