Non male per un Paese che negli anni Ottanta era paralizzato dalla fame dopo una serie di golpe militari, mentre oggi sembra un modello di pacifica democrazia, con libere elezioni che si susseguono dal 1992 fornendo una salutare alternanza tra i due partiti maggioritari, il New Patriotic Party (Npp, di centrodestra) e il National Democratic Congress (Ndc, socialdemocratico). Alle ultime presidenziali - che si sono svolte in tutta regolarità un anno e mezzo fa - ha vinto Nana Akufo-Addo, vecchio leone del Npp e già ministro degli Esteri. È stato lui quindi a guidare i festeggiamenti per i sessant’anni d’indipendenza dalla Gran Bretagna, trionfalmente celebrati in tutto il Paese con orgoglio e senso di appartenenza: il Ghana è stato il primo Stato africano a ottenerla, il 6 marzo del 1957; gli altri sono arrivati dopo.

Anche le questioni religiose - che altrove, in Africa, sono al centro di conflitti feroci - qui non portano a scontri da molto tempo: la maggioranza cristiana (più di due terzi della popolazione) convive fianco a fianco con la minoranza islamica (circa il 17-18 per cento) e con quella animista (5 per cento). Ultimamente la discussione più accanita, per capirci, è stata quella per il rumore che fanno i muezzin quando chiamano a raccolta i fedeli alla moschea. Il governo ha suggerito agli imam di passare alla tecnologia, sostituendo il megafono con una convocazione via WhatsApp. Il capo della moschea di Fadama ha replicato che non tutti i musulmani sono muniti di smartphone collegato a Internet. E la questione è finita lì.
Per tutto questo - pace, democrazia, crescita economica, convivenza interetnica e interreligiosa, scolarizzazione primaria che ha raggiunto il 90 per cento - il Ghana è oggi un’eccezione positiva in un continente che, dopo le promesse di un decennio fa, stenta ancora ad uscire da guerre, carestie, povertà.

Poi, naturalmente, anche in Ghana i problemi non mancano. Molti giovani, ad esempio, se ne vanno dal Paese, o almeno ci provano. Solo in Italia ne arrivano circa 4-5000 ogni anno, in cerca di fortuna, sfidando le insidie del Mediterraneo.
I motivi dell’emigrazione sono da ricercare nella cronica mancanza di prospettive occupazionali (secondo la Banca mondiale il 48 per cento dei giovani ghanesi tra i 15 e i 24 anni non ha un’occupazione regolare); nel gap abissale tra l’arretratezza della popolazione rurale e quella urbana, sempre più tecnologica e globalizzata; nell’aumento demografico esponenziale, con tutti i problemi che ne derivano.

A questo si aggiungono il forte indebitamento del Paese, lo scarso sviluppo dell’industria e soprattutto l’iniqua distribuzione delle risorse, che abbondano - petrolio, cacao, legnami pregiati, pietre preziose, pesce e frutta tropicale - ma che sono saldamente in mano a poche multinazionali (nello sfruttamento dei giacimenti petroliferi offshore c’è anche il nostro Eni).

L’urbanizzazione, in crescita a ritmi vertiginosi, da una parte conduce al progresso economico-commerciale, ma dall’altra crea nuove sacche di povertà estrema. E una massa di diseredati che si riversa negli slum in condizioni al di sotto della soglia di sussistenza.
Tra questi, emblematico è il caso di Agbogbloshie, sobborgo di Accra comunemente ribattezzato “Sodoma e Gomorra”, dove vivono 80 mila persone: manca l’acqua, circolano droghe e ogni altra sorta di commercio illecito e prostituzione e guerra tra bande sono all’ordine del giorno. Agbogbloshie è tristemente noto anche per essere la più grande discarica di rifiuti tecnologici di tutta l’Africa: qui computer, cellulari, stampanti e altri device arrivano illegalmente o sotto forma di donazioni dagli Usa e dall’Europa (con partenze anche dai porti di Genova e La Spezia) e vengono smontati a mani nude o bruciati per recuperarne i componenti, sprigionando fumi tossici, piombo e metalli pesanti.

Eppure anche la questione della tecnologia ha due facce. Perché, se da un lato produce orrori come la discarica di Agbogbloshie, dall’altro consente al Paese una diffusione ormai capillare di Internet: oggi sono circa 8 milioni i ghanesi connessi alla Rete, contro i 30 mila del Duemila.
È questo uno dei fattori che potrebbe consentire all’anglofono Ghana di diventare davvero il modello per il rinascimento africano. Ma anche qui le contraddizioni non mancano: basta pensare che 7,3 milioni di ghanesi vivono ancora senza elettricità, nonostante le risorse per produrla non manchino (la diga di Akosombo produce grandi quantità di energia idroelettrica, che però viene in gran parte venduta ai vicini Togo e Benin o riservata alle industrie di alluminio, anziché alla popolazione).

Intanto i ghanesi sognano e guardano il cielo, dove è stato inviato il primo satellite nazionale, mandato in orbita nel luglio 2017, il Ghana-sat1, orgoglio della nazione. Sviluppato dall’All Nations University di Koforidua, con la collaborazione dell’ente spaziale giapponese, sarà utilizzato tra l’altro per mappare la costa, sempre più minacciata dall’erosione causata dall’estrazione della sabbia e dall’uso sregolato del legno di mangrovia.
Altro asset su cui il Paese ripone molte delle sue speranze di sviluppo è quello del turismo: da Kumasi - leggendaria capitale del regno degli ashanti - al Mole National Park, fino alle cattedrali di sabbia delle zone desertiche del nord. Ma c’è anche il Chale Wote Street Art Festival, uno dei più interessanti eventi artistici dell’intero continente, che unisce musica, moda, arte e performance, all’insegna della creatività e stravaganza. Quest’anno sarà dal 20 al 28 agosto, ma ad Accra ci si sta già preparando.