Quasi 70 mila persone vengono uccise dall'eccesso di oppioidi ogni anno. Negli Usa la chiamano epidemia, ma è un fenomeno endemico. E sociale

Le dinamiche della società americana dopo qualche tempo arrivano anche da noi. Con i loro benefici e i loro problemi. È avvenuto con la industrializzazione, il consumismo, i mezzi di comunicazione. Esaminiamo allora cosa accade in America con la tossicodipendenza. La crescita delle morti per overdose da oppioidi (eroina, ma anche Fentanyl e analoghi) è stata inarrestabile: da 20 mila annui nel 2000 a 64 mila nel 2016. In quel solo anno, oltre dieci volte i caduti nelle pluridecennali guerre in Iraq e Afghanistan: è ormai la maggior causa di decesso per gli americani fino ai 50 anni.

La tossicodipendenza è una caratteristica stabile delle società sviluppate. Negli anni ’60 gli Stati Uniti sono stati percorsi da movimenti di rinnovamento, arrivati in Europa più tardi: in Italia vengono identificati con gli anni ’70. Le utopie di rinascita esterna, politico-sociale, erano accompagnate da altre, destinate alla dimensione interiore. Ci si rivolgeva a filosofie e religioni orientali, ma anche all’uso di droghe. Poi le utopie evaporarono, la dipendenza no. Negli anni ’70, in una clinica di Zurigo, ho lavorato con tossicodipendenti. Negli anni ’80 pubblicai sul tema un testo clinico e antropologico. Sottolineavo come l’uso di droga si stesse “accomodando” all’interno di un atteggiamento ormai stabile della società occidentale: il consumismo. Non andava quindi affrontato come “epidemia” o “emergenza” transitoria, ma come qualcosa di “endemico”. C’erano tutte le condizioni perché durasse: l’abitudine ai consumi non necessari, il diritto acquisito allo svago e ai piaceri. Nella edizione del 2003 dovetti aggiungere il nuovo concetto di “tossicodipendente compatibile”, limitato al fine settimana, che con qualche sforzo di lunedì torna in ufficio. Chiamare “epidemie” le tossicodipendenze di oggi non è solo un errore linguistico: sottintende un atteggiamento clinico, filosofico, sociologico, uno sguardo distorto. Esso spinge a concentrarsi sul sintomo: a somministrare aspirina (nel nostro caso: affrontare la dipendenza con nuovi prodotti chimici o nuove leggi) invece di fronteggiare la malattia che provoca la febbre.

Purtroppo gli articoli americani sul tema usano tutti il termine “epidemic”, come se trattassero di una fase: drammatica, ma che verrà superata. Controfaccia inconscia del consumismo dei tossicodipendenti, questa visione implica una miopia rispetto ai tempi lunghi e un’ottica specialistica. Ha qualche sotterraneo legame con la cultura che ha prodotto Hollywood: dove nel finale i buoni trionfano.

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Al volgere del 2000 lo sviluppo scientifico ed economico degli Stati Uniti galoppava: le associazioni impegnate nella medicina del dolore ampliarono quindi gli interventi per le sofferenze croniche. La quantità di oppioidi prescritti dai medici quadruplicò fra il 1999 e il 2010. Presto anche il numero di morti per il loro abuso si moltiplicò per quattro, avvicinandosi ai 20 mila: molti consumatori si iniettavano i prodotti come se fossero eroina, spesso mescolandoli a casa. Si levarono allarmi: ma diversi demoni erano usciti dall’inferno e non volevano tornarci. Certi medici rilasciavano fino a 70 ricette al giorno, dietro parcelle tra i 100 e i 300 dollari, anche senza incontrare il paziente. Esplose il mercato nero: parcelle contraffatte, comprate, antidolorifici rivenduti in gran quantità perché le dosi prescritte largheggiavano. L’industria farmaceutica introdusse oppiacei a rilascio lento per impedire l’overdose (OxyContin). Ma ormai si consumavano miscugli incontrollabili: la quasi totalità delle morti sono oggi dovute a overdose di almeno 2 o 3 sostanze diverse. Il mercato, e il lato oscuro del progresso, hanno intanto reso fragili le altre dighe. Un milligrammo del principale oppioide, il Fentanyl, è cento volte più potente di un mg di morfina, 40 volte più di uno di eroina. I laboratori clandestini sono diventati piccoli, produttivi, facili da gestire. Lungo certe strade una dose può costare solo 10-15 dollari. All’ultimo gradino della società, molti consumatori sono tanto senza tetto quanto senza soldi.


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A differenza di un tempo, in cui si temeva il tossicodipendente in astinenza perché poteva commettere una rapina, si mette insieme la somma in pochi attimi e senza delinquere: ogni passante può darti un dollaro o due pur di esser lasciato in pace. Il mercato ha intanto prodotto un’altra novità: il Narcan che, iniettato subito, rovescia l’overdose, salvando la vita. È entrato sul mercato a 50 dollari. Piccola cifra per una vita, ma grande per il tossicodipendente. La guerra è aperta tra associazioni di assistenza, che cercano di distribuirlo gratis fra i soggetti a rischio, e politici che non vogliono spendere per rendere la tossicodipendenza ancor più “compatibile”: tollerabile, normalizzata. Si possono infatti formare circoli viziosi, con alternanze di droga e Narcan continue.

È difficile conservare l’ottica giusta quando l’intero paese, leader nel mondo, adotta l’inconscia aspettativa secondo cui da un male sociale si guarisce senza modificare la società. Il vino esiste da millenni, l’alcolismo pure: anche quando è eccessivo, il suo consumo è endemico, non epidemico. Il New Yorker ha analizzato la West Virginia, Stato dove la morte per overdose è oltre il doppio della media. La zona dei Monti Appalachi ha sofferto per la perdita delle industrie tradizionali e la chiusura delle miniere. Milioni di uomini non hanno più niente. Dal punto di vista economico possono conservare il minimo per una esistenza “dignitosa”. Ma vivono nel vuoto culturale ed esistenziale: senza dignità.

La grande maggioranza dei tossicodipendenti sono soggetti locali, di basso livello economico e d’istruzione: ma bianchi, mentre un tempo appartenevano alle minoranze di colore. Lo stesso strato sociale che ha eletto Trump, notano gli articoli: ma qui si fermano, proponendo soluzioni legislative, assistenziali, farmaceutiche. Purtroppo, siamo ormai usciti irrimediabilmente dalle tradizionali dispute politiche, in cui una simile base popolare poteva farsi sentire e strappare qualche conquista. In tutto il mondo, l’abisso tra l’élite e simili derelitti cresce. È facile quindi che la loro massa aumenti e che consumi droghe sia chimiche che psichiche: fra queste sta il trumpismo.

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Il campo di battaglia è la post-politica, i nuovi bisogni appartengono alla psicologia collettiva. Forse la cultura americana è troppo positiva: spinge ad attendersi che, con il progresso, il dolore prima o poi venga eliminato (proprio il progresso, invece, allunga la vita: ci sono così più persone che soffrono di dolori cronici). Con questo sottinteso inconscio, molti cercano di curare un permanente dolore psichico con prodotti destinati a quello fisico. Questi illusi hanno perduto la loro identità e vorrebbero recuperarla: ma ciò richiederebbe ben altro che sostanze chimiche o assistenzialismo. Persino l’analisi del New Yorker resta invece interna al cadavere di una disoccupazione definitiva, di miniere chiuse e di un capitalismo non sociale considerati permanenti: non redimibili ma neppure sostituibili da altro. In tempi e luoghi sparpagliati, tutto questo andrà affrontato anche in Europa.