
Sono rimasti nei cassetti per decenni, i disegni che Gillo Dorfles faceva per i due nipoti, Piero e Giorgetta, figli del fratello Giorgio e della moglie Alma. Fogli finora mai visti. Inediti, dunque, che restituiscono un altro volto del grande intellettuale, critico d’arte e artista insieme. Un volto intimo, privato, fin qui sconosciuto. D’altronde Dorfles, filosofo, padre dell’Estetica, osservatore di mode e costumi, teorizzatore del “Kitsch”, ha trascorso tutta la sua centenaria esistenza a dipingere e disegnare. Aveva iniziato scarabocchiando sui banchi di scuola senza mai più smettere, preso da un «impulso interiore».

Ed eccole qua, oggi, quelle figure per bambini. Personaggi e animali fantastici, di pura invenzione. Venti in tutto, che dal 15 novembre al 14 dicembre saranno presentati alla Biblioteca Statale S. Crise di Trieste nella mostra intitolata “Il segno rivelatore di Gillo”, ideata e curata dall’architetto Marianna Accerboni. È una rassegna che raccoglie 130 opere, di cui alcune mai esposte. La prima antologica dedicata all’intellettuale dopo la morte, avvenuta a Milano il 2 marzo dell’anno scorso, a 107 anni. La maggior parte dei lavori proviene dall’abitazione milanese del critico, ora sede dell’Associazione culturale Gillo Dorfles sorta per diffonderne la memoria e promotrice della mostra.
Oltre ai disegni, troveranno spazio incisioni, bozzetti per tessuti degli anni Trenta e Cinquanta e un gioiello che l’artista aveva fatto riprodurre da un suo bozzetto. E, ancora, un testo originale battuto a macchina e firmato, intitolato “Le mode e le patrie”, con tanto di correzioni a penna. Qui l’intellettuale riflette sulla «paradossale americanizzazione dei giovani d’oggi» e sui «tirannici jeans». Non c’è una data. Più certa, invece, la cornice in cui è maturata una lettera manoscritta del 30 novembre 1930, emersa dai carteggi e inedita: fogli che il pittore triestino Arturo Nathan aveva vergato di suo pugno e spedito a Dorfles.

Nathan, di origine ebraica, morto nel campo di concentramento di Biberach an der Riss, si sofferma sul senso della critica artistica, invitando Gillo alla prudenza. «Fare la critica con intelligenza è difficile», si legge in un passaggio, «è meglio tenere per sé le proprie impressioni». Parole che, verosimilmente, arrivano in risposta a un articolo di Dorfles apparso alcune settimane prima, il 5 ottobre, su “L’Italia letteraria” in riferimento a una mostra dell’epoca, a Trieste, dedicata a un gruppo di pittori, tra cui Leonor Fini e lo stesso Nathan. Gillo, allora ventenne, nel suo pezzo non si era certo risparmiato tra stroncature e mezzi elogi. Un articolo d’epoca che, così come la lettera di Nathan, troverà spazio nella rassegna.
Ed è davvero curiosa la polemica comparsa su “La Lettura”, inserto del Corriere, il 27 aprile del ’46. In quel numero, conservato in originale ed esposto nella mostra, Dorfles rievoca la “Villa Veneziani”. Era la lussuosa abitazione triestina della famiglia di Svevo, ai piedi del colle di Servola, che il giovane Gillo aveva frequentato, analogamente ad altri grandi del tempo, da Saba a Montale. E così, nei salotti domenicali, talvolta gli capitava di imbattendosi nell’autore de “La coscienza di Zeno”. La casa, poi distrutta dai bombardamenti, «era stata la reggia e la prigione, il piedistallo e il patibolo di Svevo», ammonisce Dorfles. Di più: «Molta parte dell’atmosfera di Zeno e dell’azione stessa del romanzo è tratta da quegli ambienti che mi furono così familiari. (…) Assolta la funzione ispiratrice di un romanzo, la villa era stata degradata al livello d’una usuale abitazione borghese…». Ne seguirà la piccata rettifica della figlia di Svevo, Letizia.

Lettere, fogli di giornale e opere, insomma. Ma anche tante foto rare. Un patrimonio destinato ad accendere l’interesse di studiosi e critici. A cominciare proprio dai disegni per i nipoti Piero e Giorgetta, allora bimbi: lui oggi è un noto giornalista, saggista e critico letterario; lei è giornalista, scrittrice e fotografa. I personaggi fantastici e giocosi che “lo zio Gillo” tratteggiava a biro, per la felicità dei nipotini, richiamano molto l’opera del Dorfles artista. Che dire, ad esempio, di quell’animale variopinto che l’intellettuale rappresenta con un occhio e un’antenna «per vedere il futuro», come appunta accanto? O il Mostro marino, l’Uccello da guerra e il Tucano.

«I disegni rivelano il tratto privato di un personaggio, come Dorfles, che è sempre stato per indole ed educazione molto riservato», commenta Accerboni, curatrice della mostra, amica di Gillo e per decenni uno dei critici di riferimento. «Quelle figure svelano un’originale capacità di fantasticare e testimoniano l’aspetto più ironico e giocoso che la sua poliedrica creatività liberava». Ma l’opera di Dorfles, sospesa tra il Surrealismo e la soglia dell’astrazione, è tutt’altro che scherzosa. Il suo è stato uno sguardo introspettivo e tormentato. Con quelle forme, forse i fantasmi dell’inconscio, Dorfles per qualche momento ha voluto giocare. Era la spensieratezza dell’infanzia a ispirarlo. L’Uomo del Novecento, il Grande Vecchio scomparso a 107 anni, sapeva farsi bambino