Elezioni Regno Unito, la fine della sinistra secondo Jeremy Corbyn

I consevatori conquistano una maggioranza schiacciante, vincendo anche in regioni storicamente rosse grazie a una posizione molto chiara sulla Brexit. Il leader laburista paga i suoi tentennamenti e un programma troppo radicale

Ciao Jeremy, bel tentativo. La sinistra inglese e quella di mezzo mondo salutano così Jeremy Corbyn e il suo obiettivo di governare (o almeno di prendere voti) con una politica schiettamente e sinceramente di sinistra. Ci ha provato e creduto, ma non è andata.

Il leader politico che aveva pensato a un piano “for the many not for the few”, che aveva proposto un “real change”e presentato il programma elettorale più di sinistra che si vedesse da anni in Europa e, forse, che si sia mai visto nel Regno Unito, ha incassato la peggior sconfitta elettorale del Labour dal 1935.

Alla fine dello spoglio, il numero di seggi persi è enorme: 60 rispetto alle elezioni di due anni fa, appena 202 in totale contro i 364 dei conservatori. Non solo: è caduto il Red Wall, una regione storicamente roccaforte rossa (simile alla nostra Emilia-Romagna, per intenderci) e persino nei seggi in cui il Labour ha vinto, lo ha fatto con un margine molto risicato.

Un fiume sono stati i voti persi, non tanto a vantaggio dei conservatori e dei fratelli coltelli Lib-Dem, quanto quelli finiti nelle casse del Brexit Party. Voti che, detto per inciso, non serviranno a niente perché nel Regno Unito il sistema elettorale è completamente maggioritario e dunque, comunque, il partito di Farage non entrerà in Parlamento. Ma che sono bastati a condannare la leadership di Corbyn.

A nulla sono servite al leader laburista la sua comunicazione molto efficace, la sua carica umana, il suo programma tutto basato su nazionalizzazioni, investimenti verdi, salari minimi, internet gratuito, aumento delle pensioni e degli stipendi, e tasse più alte solo per i ceti più ricchi. Anzi.

Per certi aspetti il suo programma è stato controproducente, perché gli ha fatto perdere i voti delle classi borghesi e benestanti, spaventate dallo spauracchio suo ‘socialismo’ e, per contro, non gliene ha fatti guadagnare abbastanza tra le fasce più povere, convertitesi già dal tempo al populismo berciante del Brexit Party di Nigel Farage.

Così, la politica sociale di Corbyn, che doveva essere il suo asso nella manica, si è rivelata parte del problema. O almeno uno dei due ingredienti della tempesta perfetta di questa giornata di pioggia e voti.

L’altro è stato, come per tutto da tre anni a questa parte, Brexit.


Tanto Corbyn è stato deciso, schietto e coraggioso sui temi economici e di politica sociale, tanto è stato timido, ondivago e incerto su Brexit. È comprensibile: lui, con il cuore che batteva per il Leave che si è ritrovato a render conto a un suo elettorato spaccato in due tra leaver (le classi operaie più povere) e remainers (i più ricchi e cosmopoliti londinesi). Una specie di campo minato in cui come la fai la sbagli. E per non sbagliare, Corbyn prima è stato fermo (per anni), poi ha ceduto alle pressioni della parte centrista del partito ed è arrivato a una forma timida e ibrida di compromesso: niente reverse Brexit, ma un secondo referendum su un deal che lui, da premier, avrebbe dovuto portare a termine. Una non decisione a cui è seguita una procrastinazione. Una non affermazione che, come sempre in questi casi, è stata annichilita da un messaggio semplice e muscolare: “Get Brexit Done” diceva Boris Johnson, chiaro come il sole.

Sembra quasi certo che Jeremy Corbyn si dimetterà. Ma non si sa chi gli potrebbe succedere e per fare cosa. A chi toccherà la successione? Quando (e se) la faccenda Brexit sarà risolta e in Inghilterra si ricomincerà a parlare d’altro (posto che ci si ricordi ancora come si fa) il partito laburista potrà guadagnare consenso? Quanto tempo gli ci vorrà per riprendersi?

E poi, una volta ripresosi, cosa farà? Resterà sulla carreggiata del socialismo in versione corbynista o farà un salto carpiato per tornare dalle parti del New Labour e della legacy di Tony Blair? Questa seconda ipotesi appare improbabile, ma la sconfitta è stata forte e le sue conseguenze avanno effetto per anni, nel Regno Unito e nel Labour.

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