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dicembre, 2019

No, la sinistra non deve scegliere tra le sue anime. Ma fare una sintesi delle posizioni

jeremy corbyn
jeremy corbyn

La sinistra è afflitta da micro-identitarismi autocompiaciuti e asfittici. E ora serve accettare la fatica di costruire la più larga composizione possibile delle proprie posizioni

jeremy corbyn
Con Mike Bloomberg in corsa alle primarie, il circo democratico è davvero al completo. Il suo ingresso è stato accolto dai “colleghi” candidati con reazioni che alternano la freddezza di Joe Biden al disprezzo dei candidati più di sinistra come Elizabeth Warren e Bernie Sanders. L’ingresso di Bloomberg ai blocchi di partenza delle primarie democratiche finisce così per aumentare non solo la confusione, ma anche l’ostilità interna.

Intendiamoci, le primarie non sono un gioco da bambini: la competizione è vera e i colpi bassi sono sempre stati all’ordine del giorno. Ma l’odierna atmosfera di reciproca delegittimazione dei candidati democratici è piuttosto inedita. Tre anni fa, Hillary Clinton e Bernie Sanders se le diedero di santa ragione, ma mai al punto di squalificarsi l’un l’altro, sia sul piano politico, che su quello morale. Diversamente l’epiteto “miliardario” è scagliato contro Bloomberg con una violenza verbale che non promette nulla di buono. Olof Palme diceva che i democratici dovevano combattere contro la povertà, non contro la ricchezza: non sembrerebbe questo, oggi, il mood della sinistra americana. 

Il personaggio
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Certo, Bloomberg è un “democratico” piuttosto anomalo, al punto che una sola coppia di apici sembra insufficiente a rivestire la parola “democratico”, quando è a lui riferita. Per tre volte sindaco di New York, le prime due (2001 e 2005) corse da repubblicano, battendo candidati democratici. E se nel 2009 si risolse a correre da indipendente, dopo aver cambiato lo statuto della città che prevedeva il limite dei due mandati, sempre un democratico si trovò davanti e s’impegnò a sconfiggere. Una certa diffidenza verso il personaggio sembra, insomma, non proprio mal riposta.

Al di là della sua incerta collocazione politica e dei toni schiettamente populisti finora assunti dalla sua campagna, la conflittualità generata dalla candidatura di Bloomberg alla primarie segnala un problema che la sinistra fatica ad affrontare un po’ ovunque. Mentre la destra, infatti, s’incarica, qua e là, di far coesistere le sue diverse anime e provarsi in una sintesi che le tenga insieme, la sinistra è afflitta da micro-identitarismi autocompiaciuti, quanto asfittici. A un certo grado di coesione e fusione del fronte conservatore, corrisponde sul fronte opposto un eguale e diverso livello di frammentazione.

Per quanto si possa o si voglia considerare velleitaria la candidatura di Mike Bloomberg, le poche possibilità che i democratici americani hanno di battere Trump sono tutte legate alla capacità di fare il pieno dei propri elettori: da quelli più centristi a quelli con dichiarate simpatie socialiste, da quelli che rincorrono gli anni ’90 a quelli che rimpiangono gli anni ’60 o ’70. L’ultima stagione di governo democratico degli US, quella obamiana, si nutrì dell’abilità di dar voce all’intero variegato elettorato statunitense di centrosinistra. Nell’epoca in cui le elezioni non si vincono più al centro, fare il pieno dei “tuoi” è difatti semplicemente essenziale.

In Italia, nel recente passato, le leadership di Silvio Berlusconi e di Romano Prodi mostrarono di saper svolgere molto bene questa funzione. Ecco perché non convince del tutto l’esito del bell’articolo di Mario Ricciardi sull’Espresso di domenica scorsa: l’invito, cioè, alla sinistra italiana di scegliere tra le sue anime, invece di farle coesistere sintetizzandole. Un campo progressista che si frammenti identitariamente finisce, infatti, per essere inerme sotto i colpi di un campo conservatore, per giunta a guida sovranista, che indichi Mario Draghi come successore del nostro Presidente Sergio Mattarella.

Che il punto della sintesi politica tra le varie anime del campo progressista sia da ricercare più a sinistra che al centro, è indubbio: è la fase che viviamo ed è inutile negarlo. Dopo tutto, anche nel campo conservatore il punto di sintesi è fissato, da tempo, più a destra che verso il centro. Tuttavia questo reciproco spostamento verso le estreme dei baricentri culturali di destra e sinistra non riduce la necessità di tenersi stretti tutti i “propri” elettori: anzi, la amplifica. Viceversa, nelle fasi in cui i reciproci baricentri sono più centristi, dunque più mainstream, destra e sinistra hanno maggiore capacità di attrazione verso gli elettori centrali e l’esigenza di fare il pieno degli elettori di riferimento si riduce.

Con una destra in fase espansiva che promette a se stessa molte vittorie nell’anno che verrà, a partire dalle elezioni britanniche del prossimo 12 dicembre, il campo progressista dovrebbe accettare la fatica di costruire la più larga sintesi possibile delle proprie anime, senza sceglierne una sulle altre. Un centrosinistra che si frammenti ed ecceda in particolarismi sarebbe il miglior alleato di una perdurante stagione di governo del blocco conservator-sovranista in tutto il mondo occidentale.

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