«Da una parte i sovranisti, dall’altra i liberisti. L’urgenza è sfuggire a questa tenaglia». Dialogo con l’eurodeputata ex Pd, oggi esponente di Possibile

Elly Schlein
Sorprende quanti temi battaglie e stili Elly Schlein condivida con Alexandria Ocasio-Cortez, giovane astro dei democratici negli Usa. Schlein, trentenne, di padre americano e madre italiana, ha partecipato alle due campagne presidenziali di Barack Obama. Nel 2013 è stata tra i fondatori di OccupyPD, mobilitazione nata dopo il voto di 101 franchi tiratori che affossarono la candidatura di Prodi al Quirinale. Eletta europarlamentare nel 2014, è uscita dal Pd insieme a Pippo Civati. Relatrice sulla riforma del trattato di Dublino, ha denunciato l’assenza della Lega nella commissione che avrebbe cambiato le regole dell’accoglienza.

Governa in Italia una destra profonda e a pochi mesi dal voto cruciale delle europee ancora non c’è in campo il progetto di alternativa a nazionalismo e liberismo.
«Da qualche anno avanza compatta una vera e propria internazionale dei nazionalisti, un paradosso che si rafforza in diversi Paesi con la stessa retorica di odio e muri, scegliendo un nemico al giorno tra migranti, comunità Lgbti e donne, per nascondere le contraddizioni che la dividono. Orbán, Salvini e Le Pen si troverebbero subito nemici, da parti opposte degli stessi muri che sognano. Per reagire a questa coalizione dell’odio serve un fronte progressista ed ecologista, a livello europeo e anche italiano, da costruire sulle battaglie che già condividiamo e su una visione comune del futuro. C’è un Terzo spazio di alternativa tanto all’establishment quanto ai nazionalisti. In quel terzo spazio si muovono tante cose, in politica e nella società, a partire dalle splendide piazze che abbiamo visto mobilitarsi in tutto il Paese in questi mesi per i diritti dei migranti, per la parità di genere, per le questioni ambientali».

Il progressismo per Romano Prodi dovrebbe generare “il progetto di democrazia che i padri della Repubblica avevano davanti agli occhi quando hanno scritto la Costituzione”.
«Oltre ai padri fondatori è importante ricordare le madri fondatrici. Così spetta a noi costruire l’Unione che era nella testa di Ursula Hirschmann e Altiero Spinelli, di chi ha scritto il Manifesto di Ventotene. Quella che abbiamo di fronte oggi non è ancora quell’Unione di apertura e solidarietà, di maggiori opportunità e diritti. Le forze progressiste ed ecologiste sono chiamate a non arroccarsi nella difesa dell’esistente, ma a ribaltare gli equilibri politici che in un’Ue ancora così intergovernativa hanno impedito risposte sulla sfida migratoria, su quella climatica, sulla giustizia fiscale e la lotta alle diseguaglianze. Abbiamo bisogno di un’Europa dei popoli, più vicina a Ventotene che a Maastricht».

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14/2/2019
Uno dei padri dell’ambientalismo italiano, Alexander Langer, richiamava la necessità di “un forte progetto etico, politico e culturale, con programma e leadership a partire dal territorio, per una società più equa, compatibile con i limiti della biosfera e con la giustizia tra i popoli”.

«Alex Langer è ancora un punto di riferimento perché è stato in grado di mettere in campo un pensiero lungo, che offre una chiave di lettura estremamente attuale e fondamentale sulle trasformazioni che attraversano le nostre società. Ho fatto più volte riferimento a quelli che dovrebbero essere i temi attorno a cui costruire questo processo, citando spesso anche le proposte dei Verdi europei, su sostenibilità, occupazione e giustizia sociale. Ma anche la giusta intuizione di un progetto transnazionale, come nel programma di Primavera europea e Diem25. Stimoli importanti arrivano dai movimenti femministi, dalle esperienze municipaliste e civiche, che lavorano in tante città europee al riscatto dei beni comuni. E penso anche alle reti della buona accoglienza, sia laiche sia di ispirazione religiosa, che resistono alle scelte inumane del governo gialloverde. Ci sono poi elaborazioni strutturate come quelle dei federalisti europei o le proposte a cui hanno lavorato Fabrizio Barca, Enrico Giovannini e molti altri».

In questa congiuntura, quale interlocuzione può offrire il Partito democratico?
«Da fuori il Pd pare fermo al 4 marzo. Stanno affrontando un congresso, ma non ho sentito ancora una parola di discontinuità rispetto alle disastrose politiche fatte in questi anni su lavoro, ambiente e immigrazione, che hanno bruscamente reciso i fili con interlocutori ed elettori. Sull’immigrazione si sta mettendo in discussione la linea di Minniti, che ha spianato la strada alle politiche del governo di Salvini? Si pensa di fare opposizione rivendicando i cinici accordi con la Libia? Per questo non mi convincono i generici appelli all’unità di “tutti gli europeisti” contro la minaccia nazionalista. Tra gli europeisti si celerebbero facilmente anche i responsabili delle scelte che hanno portato a questa situazione. Invece abbiamo bisogno di costruire un Terzo spazio, entro quei due confini: né con chi si pone in continuità con le politiche che hanno prodotto il disastro; né con chi pensa, a destra come a sinistra, che la soluzione sia rinchiudersi nei confini nazionali. L’idea, però, non è quella di tracciare i confini di un progetto per sigle. Piuttosto, di ricostruire intorno a questi riferimenti politici e culturali un nuovo modello organizzativo, che assomigli più a un “hub” in grado di valorizzare ciò che si muove, senza alcuna pretesa egemonica e con funzione di raccordo di quelle realtà che operano già nella società.