Popper un tempo propose a chi faceva televisione un bel corso sul ruolo di educatori di massa, alla fine del quale sarebbe stata consegnata una patente, revocabile alla bisogna. Nel senso che se accendi la scatoletta e dici cose che influenzano davvero chi ti guarda, ecco, a volte un briciolo di attenzione non guasterebbe. Altrimenti accade il buffo tuffo carpiato per cui un programma all’insegna del “si stava meglio quando si stava peggio” diventa l’esempio perfetto di autorizzazioni da revocare per non aver rispettato neanche per idea i criteri del buon Karl di cui sopra.
“Il Collegio” (Rai Due) per provare quanto i poveri, disperati ragazzi di oggi siano talmente ostaggio dell’inutilità tecnologica, prende 18 adolescenti - nove giovani uomini e nove giovani donne - li rinchiude con tanto di divisa e calzettoni bianchi nel Convitto di Celana, a Caprino Bergamasco e li fa precipitare nel 1968 privandoli delle diavolerie moderne. Come se la caveranno senza telefoni, selfie e cuffiette? Semplice: rigore, disciplina e un po’ di sano studio li faranno uscire dal paiolo della pozione magica di Obelix come uomini e donne di un futuro ricco di speranze.
Parrebbe una buona idea, così sulla carta. Peccato che per la terza stagione il risultato sia ancora una volta una sorta di esposizione al pubblico ludibrio, figurine mal disegnate su cui ridere in maniera sfacciata e grossolana.
Dai casting furbetti sono stati selezionati quindicenni o poco più che non solo ignorano sia l’italiano sia le tabelline ma che si mostrano allo spietato pubblico come una generazione abituata a vivere in una bolla del nulla. E da qui parte l’affondo. Gli studenti vengono ripresi in lacrime mentre una forbice sadica gli taglia i capelli senza un perché, le femmine vengono relegate in cucina mentre i maschi aggiustano le lambrette, e alla fine, per dare un messaggio ben chiaro contro il bullismo, la foto dei ragazzi “peggiori” della settimana viene appesa sotto un bel disegno di un asino.
Alla fine quel che dovrebbe dire lo spettatore adulto, scuotendo il capo, è che sì, ci vuole davvero un po’ di pugno di ferro per guidare questi Lucignoli sulla retta via. In realtà il pensiero che affiora è che sarebbe ora di smetterla di giocare coi burattini, perché che se ci ritroviamo con ragazzi che non hanno idea di quale sia il primo articolo della nostra Costituzione, forse la patente di buon educatore andrebbe tolta a parecchi. E se l’infame sorrise sbattergli una telecamera in faccia non aiuta granché.