Marcello De Vito è innocente fino a quando un tribunale non avrà stabilito il contrario. Questa ovvietà è bene precisarla, proprio perché si tratta di un'ovvietà troppo spesso dimenticata di recente. Ma se il presidente dell'assemblea capitolina del Movimento 5 Stelle avrà i suoi modi e tempi per difendersi, quello che oggi muore senza dubbio è il mito dell'onestà dei 5 Stelle. Perché i miti si alimentano di suggestioni, simboli, immagini e non di fatti. Si alimentano di fotografie di tuoi parlamentari che fanno il gesto delle manette o di tuoi consiglieri comunali che si fanno i selfie con le arance per augurare la galera a un avversario politico.
E queste immagini e suggestioni così superficiali possono essere spazzate vie con facilità da altre immagini e suggestioni ben più rilevanti. Come appunto la notizia di un tuo esponente di primo piano nel territorio più importante che amministri, la Capitale d'Italia, che viene arrestato per tangenti e corruzione. L'accusa è pesante: De Vito avrebbe incassato direttamente o indirettamente delle elargizioni dal costruttore Luca Parnasi. Per agevolare il progetto collegato allo stadio della Roma.
Pochi minuti dopo la notizia, Luigi Di Maio si è affrettato a cacciare “con motu proprio” De Vito dal Movimento 5 Stelle, spiegando che “De Vito non lo caccio io, lo caccia la nostra anima, lo cacciano i nostri principi morali, i nostri anticorpi”.
Operazione inutile: a ben pochi di quegli elettori che per anni hai alimentato a pane e qualunquismo interessa un'operazione puramente di facciata come espellere qualcuno dal Movimento. Il mito dell'onestà, una volta che lo perdi, non lo recuperi con un'espulsione e un post di poche righe su Facebook. Chissà se oggi quelle foto con le mani che imitano le manette o i selfie con le arance faranno arrossire qualcuno degli ex onesti.