Violenza scenica. Provocazioni urticanti. Accuse di sessismo. Genialità. Incontro con uno dei più controversi  ed eclettici maestri di oggi. A cui la città partenopea dedica un complesso e articolato omaggio 

L'uomo che misura le nuvole, al Madre di Napoli
Eccentrico, visionario, violento. Il fiammingo Jan Fabre è uno degli artisti più eclettici e discussi al mondo: regista, coreografo, scultore, pittore, performer ha disseminato le sue opere in gallerie e in musei prestigiosi, in teatri nazionali e spazi alternativi, lasciandosi alle spalle successi clamorosi e, spesso, aspre polemiche.

Contestato recentemente da una ventina di ex componenti della sua compagnia, per atteggiamenti ritenuti “sessisti” e per modalità di lavoro sembra non proprio adamantine, Jan Fabre continua instancabile nel suo pluridecennale percorso artistico. Molto legato all’Italia, è protagonista di un complesso e articolato omaggio a Napoli e artefice di uno spettacolo da lui scritto e diretto con il bravissimo attore Lino Musella.

«Ho sempre amato l’Italia», racconta, «gli italiani sono un popolo di passione e fantasia. Vi piace improvvisare e trovare soluzioni per tendere la realtà, per trovare buchi e crepe nei sistemi economici e politici. Un po’ come noi belgi… C’è sempre stata una connessione forte, storica e culturale, tra Italia, Fiandre e Belgio: basti vedere quanto i pittori classici abbiano viaggiato avanti e indietro tra questi Paesi. Siamo due popoli cui piace inginocchiarsi davanti al Signore in croce. I belgi e gli italiani hanno scritto nel Dna, nel sangue, la bellissima idea del perdono: e il concetto di perdono contiene un’importante connessione neuronale che ha a che fare con l’arte e la bellezza».

Una parola di riguardo, poi, per Napoli: «Sono stato invitato tre anni fa da Sylvain Bellenger, il direttore del museo di Capodimonte, per visitare la collezione del museo. Sono rimasto incantato dalla scuola napoletana, dai simboli che si trovano in quei quadri fantastici, tutti rappresentati con del corallo rosso. Per esempio il Sacro Cuore sanguinante, l’eruzione del Vesuvio, il fuoco nel cervello, i segni di fertilità… Mi hanno ispirato nella creazione di dieci nuovi lavori con “l’oro rosso” di Napoli. Sono stato fortunato, poi, che l’appassionato estimatore d’arte Gianfranco D’Amato mi abbia presentato Enzo Liverino, che ha uno studio e una tradizione familiare di scultura e intarsio del corallo. I curatori Stefano Causa e Blandine Gwizdala hanno dunque creato un dialogo meraviglioso tra la collezione del museo e le mie opere, i disegni del sangue, della fine anni Settanta e inizi anni Ottanta, e le mie sculture d’oro, assieme ai nuovi lavori fatti con il corallo. Hanno dato vita a una reinterpretazione emozionante e a una nuova lettura dei classici della collezione permanente. Allo stesso tempo, hanno lasciato ai miei lavori la possibilità di parlare su un altro livello, di posizionarsi in una dimensione di memoria storica.
Jan Fabre

Molti di quei maestri classici sono spesso più all’avanguardia dell’avanguardia stessa. È stata fantastica, poi, l’idea di Laura Trisorio, dello Studio Trisorio, e della giovane e talentuosa curatrice Melania Rossi, di coinvolgere anche gli spazi della Chiesa Pio Monte: mi sono venuti i brividi vedendo la mia scultura di cera, “The man who bears the cross”, in un dialogo frontale con il capolavoro “Le Sette Opere di Misericordia” del Caravaggio. Nel Museo Madre, Melania Rossi e Andrea Viliani, infine, hanno deciso di esibire la prima versione del “The man who measures the clouds”, un marmo bianco di Carrara, proprio all’interno del cortile del Museo. Ha acquistato un’essenza quasi di proiezione effimera, come se la scultura lievitasse nel bianco delle nuvole, nel blu del cielo napoletano. Sono felice di essere un piccolo artista nano, tra i giganti maestri del Museo di Napoli».

Fabre, diventato un’icona di se stesso, mettendosi a modello delle sue opere (memorabile una Pietà presentata nel 2011 a Venezia) allarga volentieri lo sguardo sulla situazione internazionale e accetta di parlare d’Europa. Da sempre fiero oppositore del partito populista e di destra Vlaams Blok (oggi Vlaams Belang), racconta:
«Sono da tempo il primo della lista nera del Vlaams Book. Nelle Fiandre la situazione è particolarmente complessa. Credo che molte delle persone che votano per VB non siano estremisti nazionalisti e nemmeno neofascisti: moltissima gente, fiamminga e patriottica, che vuole difendere la propria cultura e le proprie radici, è manipolata dai leader del Vlaams Blok. La cosa pericolosa, accaduta negli ultimi anni, è che il Blocco è diventato ormai un partito politico “accettabile”: la nuova generazione di leader fiamminghi del Blok parla educatamente e si veste alla moda, con tanto di cravatta. Il problema, però, è che questi partiti non dicono mai la verità e non portano mai fatti reali. Continuo a pensare che dovremmo perdonare le persone che votano Vlaams Blok e che i vecchi partiti dovrebbero ascoltare di più gli scontenti, le lamentele di questa fetta di popolazione. Poi, ovviamente, manca una vera educazione, una coscienza e una memoria storiche. Ma sono preoccupato: i partiti di estrema destra vinceranno sempre più e con più voti perché coltivano la paura delle persone per ciò che non si conosce. Invece di educare ad accettare l’Ignoto, l’Altro, invece di unificare l’umanità nelle differenze, sono campioni nel fare esattamente l’opposto».

Fabre è stato sempre critico nei confronti delle grandi istituzioni culturali non solo nelle Fiandre e in Belgio, ma in tutta Europa, mettendo radicalmente in discussione ruoli, funzioni, scelte politico-economiche. Non per questo rinnega la funzione fondamentale dell’Unione e anzi, in vista delle prossime elezioni, difende l’idea stessa d’Europa: «Semplicemente per il fatto che molte delle persone che vogliono abbattere la comunità europea non hanno la minima nozione che con l’Europa stiamo effettivamente vivendo il primo lungo periodo di pace della nostra storia. Sicuramente, se l’Europa dovesse collassare, si creeranno dei vuoti di potere. E la storia insegna che questo porta alla guerra. Ecco cosa voglio dire a tutti i nazionalisti e estremisti europei: per favore, difendete l’Europa come continente, come comunità, e celebrate la pace! È vero, l’idea di Unione europea è ancora giovane, quindi si fanno molti errori a Bruxelles: ma date loro una chance! Credete nel futuro, nella speranza che la natura umanista dei politici di Bruxelles possa portare a un miglioramento della nostra vita, che possa creare un continente forte economicamente, culturalmente, politicamente, in grado di essere in equilibrio con superpotenze del calibro della Cina, dell’India, degli Emirati Arabi…».

In questa prospettiva, bisogna che l’arte, che gli artisti non si tirino indietro: che facciano della loro creatività un atto pubblico e politico. Ci crede Jan Fabre, e lo riafferma anche in “The Night Writer”, il monologo che trae spunto dai tre volumi di diari, quel “Giornale notturno”, scritto in modo maniacale sin dal 1978, edito in Italia da Cronopio.
Oro rosso, sculture d'oro e corallo, dialogano con opere del Museo di Capodimonte

Lo spettacolo, ora in tournée, è atteso nella capitale, al Romaeuropa Festival, in ottobre, assieme a una personale dell’artista al Museo di Palazzo Merulana, curata da Achille Bonito Oliva e Melania Rossi.
In questa combinazione di journal intime e Bildungsroman, c’è di tutto, senza sconti – magari con autoindulgenza: il sesso e le droghe, le risse e l’insonnia, i ritratti aspri del jetset mondiale o della famiglia d’origine. Ed è uno spettacolo intenso, netto, crepuscolare, anche divertente e dissacrante. Il teatro e la danza sono fondamentali nel percorso di Jan Fabre: si è sempre autodefinito un adepto dell’arte, con i suoi “guerrieri della bellezza” (così chiama i suoi attori e danzatori), e si è imposto come uno dei cardini attorno cui ha girato la scena europea dagli anni Ottanta in poi. Non è un caso che il grande storico del teatro Hans Thies Lehman lo collochi nell’empireo del “teatro postdrammatico” da lui teorizzato: dopo Bertolt Brecht e Heiner Müller, con Bob Wilson, ecco proprio Jan Fabre a segnare una strada creativa che poi anche altri hanno percorso e sviluppato. E non sono pochi gli allestimenti che hanno lasciato senza fiato gli spettatori: come “Mount Olympus”, straordinaria maratona di 24 ore che, pur mettendo a dura prova anche lo spettatore più affezionato, ha avuto un successo strabiliante (a Roma 40 minuti di applausi finali).

«Credo nel potere e nella forza della Bellezza», ama ripetere Fabre, «perché la bellezza è una corrispondenza tra valori etici e principi estetici. Perché la bellezza, nonostante sia così sovversiva, si rivolge sempre a una riconciliazione. L’arte che creo difende sempre la vulnerabilità dell’umanità. La definizione di arte è allo stesso tempo politica e filosofica, perché protegge l’idea di “umanesimo”. La mia ricerca vuole trascendere la realtà e non sacrificarsi alla follia tanto di moda in questi giorni». Contraddizioni d’artista, va da sé, rispetto alla carica violenta, spesso insostenibile o urticante del suo lavoro.

“The night writer” si chiude in una proiezione: uno Jan Fabre giovanissimo, il trench addosso, impegnato in una performance del 1988: attraverso lo sguardo disincantato di Lino Musella, l’autore osserva se stesso.
Chi era allora. Chi è oggi.

Passeggiando per Napoli, ripensando a quell’episodio, il regista fiammingo ricorda suo padre: «Quando ero bambino, mio padre distruggeva sempre i miei aeroplanini Stuka tedeschi. Li rincollavo assieme, cercando di ripararli, e lui calpestava tutti i campi di battaglia, i miei soldatini tedeschi. Non capivo perché. Una volta ho obiettato: «Ma papà, tu parli così bene il tedesco…», e mio padre ha risposto: «Puoi sconfiggere il tuo nemico solo se parli la sua lingua». Tempo dopo, quando sono cresciuto, ho capito la metafora. Lino Musella, il fantastico attore, in “Night writer”, prodotta dal migliore produttore italiano Aldo Grompone, legge questa citazione dai miei diari, datata 16 aprile 1988: “L’anarchia dell’amore. L’anarchia dell’immaginazione. L’anarchia dell’arte (Le tre leggi della vita che rispetto e che osservo)”. Ecco, trenta anni dopo, porto ancora nel corpo e nella mente quelle parole».