Esclusivo
Rifiuti, Virginia Raggi: «Modifica il bilancio». Ma il manager dice di no e viene licenziato
Le frasi-choc della sindaca finite nelle indagini su Ama della Procura di Roma. Pressioni del Campidoglio sull'ad dell'azienda Lorenzo Bagnacani: «Devi modificare i conti. Punto. Anche se i miei uomini ti dicono che la luna è piatta». E ammette: «La città è fuori controllo, i romani vedono la merda, se aumento la Tari, la mettono a ferro e fuoco»
A Roma la guerra della monnezza è senza quartiere. Si combatte nelle piazze e nelle strade, che una ricerca dell’Eurostat certifica come le più sporche d’Europa. Dentro i palazzi del potere, dove i nemici dell’amministrazione pentastellata, Matteo Salvini in primis, usano «i topi» e «il degrado mai visto prima» come armi da campagna elettorale. Si combatte negli impianti dell’Ama del Salario e di Rocca Cencia, andati a fuoco per cause misteriose nei mesi scorsi.
Ma oggi il fronte che preoccupa di più Virginia Raggi e il suo cerchio magico è quello di Piazzale Clodio, sede della procura della Capitale. Se è noto che i magistrati hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni alti dirigenti del Comune e il direttore generale del Campidoglio Franco Giampaoletti, L’Espresso ha scoperto che l’ex presidente e ad dell’Ama Lorenzo Bagnacani, che è stato licenziato in tronco dalla Raggi a febbraio, qualche giorno fa ha spedito ai pm un nuovo esposto, dove accusa la sindaca in persona. La Raggi, scrive Bagnacani ai pm, avrebbe infatti esercitato «pressioni» indebite su di lui e sull’intero cda dell’azienda, «finalizzate a determinare la chiusura del bilancio dell’Ama in passivo, mediante lo storno dei crediti per i servizi cimiteriali».
Secondo quest’accusa, in sintesi, la sindaca avrebbe spinto il manager a togliere dall’attivo dell’azienda (il bilancio era in utile per oltre mezzo milione di euro, un dato di poco inferiore rispetto a quello dell’anno precedente) «crediti che invece erano certi, liquidi ed esigibili», con l’unico obiettivo - sostiene Bagnacani - di portare i conti di Ama in rosso. Un’accusa grave e molto simile a quella che l’ex direttrice del dipartimento Rosalba Matassa ha lanciato contro Giampaoletti, attuale braccio destro della sindaca ora indagato per tentata concussione.
La rilevanza penale della vicenda è ancora tutta da dimostrare. Ma è un fatto che la storia rischia di creare più di un grattacapo alla sindaca. Anche perché Bagnacani a fine marzo ha allegato, insieme all’esposto, alcune registrazioni contenenti colloqui tra lui, Virginia Raggi e altri dirigenti comunali, oltre a centinaia di conversazioni a due fatte con la sindaca su Telegram e WhatsApp.
L’Espresso le ha lette e ha ascoltato anche altri file acquisiti dalla Guardia di Finanza. Negli audio la Raggi parla al suo amministratore con tono assertivo («Lorenzo, devi modificare il bilancio come chiede il socio... se il socio ti chiede di fare una modifica la devi fare!») e appare prona agli input degli uomini della sua struttura tecnica, composta da fedelissimi come l’allora Ragioniere generale Luigi Botteghi (anche lui indagato per tentata concussione), il dg Giampaoletti e il super assessore al Bilancio e alle Partecipate, il potente Gianni Lemmetti. Così, al numero uno dell’Ama Bagnacani che le spiega come lui si sentirebbe in grande difficoltà a modificare il bilancio davanti a motivazioni «squalificate», la Raggi gli ordina secco: «Se tu lo devi cambiare comunque, lo devi cambiare. Punto. Anche se loro dicono che la luna è piatta».
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Le registrazioni svelano una sindaca inedita. Che, pur di far cambiare idea al suo amministratore delegato, arriva a promettergli un prestito in favore di Ama da ben 205 milioni di euro («così ti levi dalle palle le banche»). E che, spazientita, dice che Roma «è praticamente fuori controllo», «i sindacati fanno quel cazzo che vogliono», e la Tari, la tassa sui rifiuti, non può essere aumentata perché «i romani oggi si affacciano e vedono la merda».
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LA BATTAGLIA DEI LOCULI
Ma com’è possibile che una diatriba contabile su una posta minore abbia portato la Raggi e i suoi uomini a cacciare l’ennesimo cda della società pubblica più delicata della città? Come mai la partita su loculi e tombe, che vale appena il 2 per cento dei ricavi complessivi di Ama (che superano gli 807 milioni) ha convinto la sindaca grillina a mettere a rischio la continuità aziendale di un’azienda che ha oltre ottomila dipendenti e ad affrontare dimissioni eccellenti come quella di Pinuccia Montanari, ex assessore all’Ambiente vicinissima a Beppe Grillo?
Partiamo dall’inizio. Dal 15 maggio 2017, quando Raggi chiama sotto il Colosseo Bagnacani. Ambientalista, contrario ai termovalorizzatori, l’esperto di multiutility è da tempo vicino ai Cinque Stelle: già nominato dal sindaco di Parma Federico Pizzarotti vicepresidente della spa elettrica Iren, il manager emiliano nel settembre 2016 viene chiamato anche dalla neosindaca Chiara Appendino a presiedere la Amiat, la municipalizzata dei rifiuti di Torino. In ossequio alle direttive del Movimento, in Piemonte Bagnacani si taglia lo stipendio e comincia a lavorare al piano “rifiuti zero” ma, dopo pochi mesi, viene precettato da Raggi: «Devi venire ad aiutarci a Roma», gli dice. La Appendino, pur seccata («sta svolgendo un lavoro prezioso»), non protesta: i capi del M5S gli hanno spiegato che la priorità è mettere una pezza al caos capitolino. Raggi ha già bruciato tre amministratori delegati di Ama in poco più di un anno. Serve, insomma, Bagnacani.
Appena arrivato, il manager e i suoi uomini decidono di rivoltare l’azienda come un calzino. D’accordo con la sindaca, licenziano il capo del personale (accusato di aver protetto alcuni dipendenti infedeli che rubavano benzina) e provano a rilanciare la raccolta differenziata, mettendo a punto un piano per rivoluzionare il porta a porta.
La luna di miele con la sindaca, però, dura pochi mesi. Fino al marzo del 2018, quando il presidente e ad firma il suo primo bilancio d’esercizio. Il Comune, letti i numeri, non lo approva. Ma comincia a nicchiare. Socio unico di Ama, il Campidoglio manda deserte otto assemblee consecutive. Varie richieste sul perché il Comune non approvi il documento (che ha invece ricevuto già il via libera del collegio sindacale e dei revisori esterni di Ernst&Young) non ricevono risposte.
Solo dopo qualche mese dagli uffici della Raggi arrivano i primi dubbi sui alcuni crediti vantati dalla municipalizzata nei confronti del Comune stesso. Ossia i 18,2 milioni di euro per i servizi cimiteriali, che a Roma sono gestiti direttamente da Ama. La Spa risponde presentando fatture e vari pareri tecnici e legali. Ma ad agosto (ricorda Bagnacani in un primo esposto firmato insieme ai membri del cda Andrea Masullo e Vanessa Ranieri e depositato in procura il 6 novembre scorso) Gianni Lemmetti con una nota «ordina ad Ama di procedere “ad eliminare tale posta”». Senza, pare, inviare alcuna motivazione analitica sul perché il Comune, che è debitore di Ama, non vuole riconoscerglieli. Non solo. I denuncianti spiegano ai pm che lo stesso assessore, in una riunione del 30 agosto 2018, «manifestava la volontà di non approvare il bilancio Ama, adducendo come motivazione che vi era la necessità che lo stesso chiudesse in passivo, anche di un importo di 100 mila euro, purché fosse in passivo».
Ma chi è Lemmetti? Uomo chiave dell’amministrazione pentastellata, è vicinissimo a Luca Lanzalone, l’ex Mr Wolf di Virginia arrestato per corruzione per la storiaccia delle presunte mazzette per lo Stadio della Roma. I due lavorarono braccio a braccio (e con successo) al salvataggio della Aamps, la municipalizzata del Comune di Livorno in grave crisi finanziaria. Per uscirne, Lemmetti chiese e ottenne per l’azienda un concordato preventivo “in continuità”. Un’operazione che Lemmetti ha replicato anche in Atac.
Ma perché Lemmetti chiede ai manager di Ama di compiere «svalutazioni generiche» su un credito su cui il Comune di Roma dal lontano 2008 fino al 2016, dunque anche nel primo anno della sindacatura Raggi, non aveva mai contestato? Bagnacani - in una recente audizione alla Commissione rifiuti del Consiglio regionale del Lazio - ipotizza che la forzatura sia del tutto strumentale: «Se il bilancio 2017 è in perdita, e se il 2018 venisse chiuso in perdita, se viene rilevata dall’azionista una inefficienza dell’azienda, si potrebbe aprire a una eventuale privatizzazione dell’Ama... Se Ama fa gli impianti sarà l’azienda numero uno a livello nazionale». I privati che dovessero conquistarla, dunque, «rideranno, ma non i cittadini romani».
Solo illazioni, risponde Lemmetti, che ha invece ribadito che Ama resterà pubblica. Impossibile dire oggi chi abbia ragione. Ma è difficile anche comprendere come mai la sindaca e i suoi uomini, invece di essere soddisfatti di chiudere un bilancio in utile, spingano per chiuderlo in perdita. Se i consiglieri del Pd ipotizzano che la Raggi «voglia arrivare a fare un concordato anche qui», i sindacati sono durissimi. «Non riusciamo a trovare un senso a questa vicenda», ragionano i rappresentanti di Cgil, Cisl e Fiadel «Non possono essere 18 milioni sui crediti dei cimiteri a causare una simile crisi. Sono numeri marginali. Siamo di fronte a un gioco di potere, la giunta ha un piano sul futuro che non ha illustrato alla città». Il loro timore è che la società venga spacchettata, con il pubblico destinato allo spazzamento e i privati a gestire i core business più appetibili. Come quello degli impianti di smaltimento.
GLI INCONTRI RISERVATI
L’estate 2018 è ormai passata e a ottobre la città è più sporca che mai. La municipalizzata dei rifiuti è paralizzata. Nonostante pareri pro veritate di professori ed esperti di massimo livello diano ragione a Bagnacani, la Raggi e i suoi non si smuovono. Nemmeno di fronte al grido d’allarme del manager, che segnala (insieme ai sindacati) come la mancata approvazione del bilancio comporti rischi concreti con le banche creditrici, con i fornitori, persino per il pagamento degli stipendi degli operai e dei dipendenti.
È in questo clima che il 30 ottobre Bagnacani si incontra con la Raggi. Con lei ci sono anche la Montanari, il vicecapo di gabinetto Gabriella Acerbi e Carlo Sportelli, dal 2016 capo dell’Avvocatura del Campidoglio.
Ascoltando l’audio, la tensione tra gli astanti è evidente. Quando la sindaca propone una due diligence sui famosi crediti, Bagnacani chiede che «il tavolo sia paritetico», cioè con Campidoglio e azienda che scelgano ciascuno lo stesso numero di esperti. La Raggi si infuria: «No Lorenzo! Come è possibile... Come pretendi? Non lo puoi fare, sei un’azienda controllata da Roma Capitale». La sindaca chiarisce poi che gli uffici guidati da Giampaoletti e Lemmetti hanno sempre ragione, anche se proponessero soluzioni “lunapiattiste”. E aggiunge pure, spalleggiata dal capo dell’Avvocatura, che in caso di dissidi contabili tra azienda e il Comune è l’ad che deve fare quello che comanda il socio, che si assume in ultimo ogni responsabilità. «La giurisprudenza va in quella direzione», chiosa la Raggi davanti ai dubbi di Bagnacani. Che, in cuor suo, sa che i codici prevedono tutt’altro.
Il cda d’ispirazione grillina non si piega. Il muro contro muro continua anche nei giorni successivi. Il 5 novembre, durante un nuovo incontro, «l’avvocato Sportelli» scrive Bagnacani ai pm, gli ipotizzò che «qualora il cda non si adeguasse alle indicazioni del socio verrebbe meno la fiducia del socio unico, e si concretizzerebbe una causa di revoca del Cda».
Così il giorno dopo, preoccupato dalla piega che stavano prendendo gli eventi, il presidente e gli altri colleghi del cda mandano un primo esposto in procura. Anche perché poche ore prima hanno saputo dal direttore del dipartimento per la Tutela Ambiente del Campidoglio Rosalba Matassa che anche lei aveva ricevuto presunte pressioni indebite sulla questione dei crediti cimiteriali.
In effetti, all’Espresso risulta che proprio il 5 novembre il vice di Giampaoletti, Giuseppe Labarile, abbia telefonato alla Matassa chiedendole di firmare e inviare «una lettera» ad Ama, «una nota da fare anche per il suo interesse». E che proprio Giampaoletti abbia mandato la bozza preconfezionata, in cui la Matassa avrebbe dovuto specificare che «Ama ha crediti riferiti a servizi funebri cimiteriali non riconosciuti dal dipartimento scrivente».
La dirigente, però, si rifiuta e racconta in procura le presunte pressioni ricevute. Ma Giampaoletti, indagato insieme a Labarile e l’ex ragioniere generale Luigi Botteghi, nega con forza ogni addebito. Il city manager, che è stato chiamato dalla Raggi dopo una segnalazione arrivata direttamente da Lanzalone, si mostra indignato, e si giustifica evidenziando come le accuse della Matassa (e della Montanari, pure lei sentita dai pm romani) «sono strumentali e destituite di ogni fondamento, animate da inimicizia e intenti ritorsivi nei miei confronti».
Quello che Giampaoletti non sa, però, è che gli audio in mano alla procura sono molti. In uno, del 26 novembre scorso, è registrato un secondo incontro tra Bagnacani e la Raggi. I due stavolta sono soli. La sindaca prova a partire con il piede giusto. Facendo, a sorpresa, promesse da sogno: «Lorenzo, tu hai il sacro terrore delle banche creditrici preoccupate dalla mancata approvazione del bilancio. Allora, io ho una soluzione: le banche ti danno 205 milioni? Io ti trovo i soldi che ti servono. Te li presto, tu chiudi quelle linee di credito, ti levi dalle palle queste banche, trovi altre banche, rinegozi tutti i mutui, tutti i tassi, alle condizioni che ti pare», spiega la Raggi. «Ma se io ti trovo i soldi, che succede? Mi approvi il bilancio, mi sistemi il bilancio e tutto, e andiamo avanti?».
Bagnacani sembra spiazzato. Sia perché non capisce come mai la sindaca, per superare un contenzioso di appena 18 milioni, sia disposta a prestargliene dieci volte tanto. Sia perché nessuno ha mai immaginato che la sindaca potesse far uscire dalle casse comunali oltre 200 milioni di euro di soldi pubblici così, su due piedi. Ma quando il manager chiede per l’ennesima volta che Giampaoletti gli dia delle giustificazioni plausibili sul no ai crediti, la Raggi perde la pazienza: «Scusami però, tu me devi dà ’na mano Lorenzo. Perché così non mi stai aiutando. Io ho la città che è praticamente fuori controllo, i sindacati che fanno quel cazzo che vogliono!».
Bagnacani gli ribatte che «per darci una mano non possiamo fare quello che non è possibile fare», e Virginia, esausta, gli propone di modificare il bilancio come richiesto, e nel caso di farselo poi bocciare dal collegio sindacale. «E a quel punto faremo un contenzioso... non mi stai dando neanche un cazzo di appiglio Lorenzo? Che devo fare? Come faccio? Questo è il sistema, è il sistema! Deve funzionare così altrimenti è il sistema che è sbagliato. Ma cazzo portami in giudizio! Fai quello che ti pare!».
Pazientemente il manager le spiega per l’ennesima volta i perché del suo diniego (cioè evitare, in pratica, falsi in bilancio), ma Virginia cambia argomento: «Aspetta aspetta... Allora noi vi contestiamo un’altra cosa.
Contestiamo le penali per una mancata o inesatta esecuzione del contratto...». Bagnacani fa notare che «allora qui il tema è un altro, il tema è che il bilancio deve essere per forza in perdita», ma la sindaca chiude: «Non è vero, ma io così il bilancio non te lo posso approvare».
Lo scontro dura quasi un’ora. Verso la fine, a Bagnacani che le parla dei costi per potenziare la raccolta differenziata e porta a porta, la Raggi ammette laconica: «Io oggi non posso aumentare la Tari. Perché se i romani vedono, grazie anche ai sindacati e agli operai che non hanno voglia di fare, si affacciano e vedono la merda in città, in alcune zone purtroppo è così, in altre è pulito... ma quando gli dico la città è sporca, però ti aumento la Tari, mettono la città a ferro e fuoco. Altro che gilet gialli!».
FINALE DI PARTITA
A dicembre la città è ormai in ginocchio. A causa, anche, dell’incendio che distrugge l’impianto di raccolta rifiuti del Salario. Ma, improvvisamente, sul bilancio Ama si apre uno spiraglio. Bagnacani si dice disposto a spostare i 18 milioni su un “fondo rischi”. Il Campidoglio esulta, e il 6 dicembre azienda e Comune annunciano urbi et orbi l’accordo. «L’azienda è salva!», scrivono le agenzie di stampa. Peccato che tutto sfumi in poche ore: appena la Raggi e i suoi uomini si accorgono che Bagnacani ha fatto gravare il fondo non sul conto economico del 2017 (decisione che avrebbe portato il bilancio in rosso) ma sul patrimonio netto della società. Una soluzione che, chissà perché, al Campidoglio non va bene.
Si torna, dunque, all’impasse totale. Ma Bagnacani non sa che il Comune ha ancora un asso nella manica. Il collegio sindacale dell’azienda, che aveva sempre dato parere favorevole al bilancio 2017, crediti cimiteriali compresi, improvvisamente cambia idea. Il presidente dell’organismo di vigilanza si chiama Mauro Lonardo, è in Ama dal 2007. Per mesi sembra più battagliero di Bagnacani, ma il 13 novembre fa una prima retromarcia, convincendo il suo collegio a ritirare il parere favorevole al piano. A fine dicembre Lonardo e gli altri sindaci vanno oltre, bocciando il documento contabile. Un atto decisivo, che permetterà al Comune di licenziare tutto il cda.
Ma cosa ha fatto cambiare improvvisamente opinione a Lonardo? Non è chiaro. È un fatto, però, che il commercialista si sia incontrato (qualche giorno prima di ritirare il suo ok) con il dg Giampaoletti. Un incontro informale «per un caffè», come si legge dal resoconto stenografico della Commissione regionale che ha sentito i protagonisti della vicenda. Lonardo ammette l’appuntamento riservato, ma spiega di aver chiamato lui stesso il direttore generale: «L’ho fatto perché temevo che la società poteva saltare».
Non sappiamo che cosa si siano detti i due. Ma sappiamo che qualcuno ha pensato male. Non uno qualunque ma Aldo Attanasio, anche lui membro del collegio sindacale. Il 14 novembre, senza sapere di essere registrato (anche questo audio è nelle mani della Finanza), Attanasio - parlando con un segretario di Bagnacani - spiega di non essere affatto d’accordo con il modus operandi di Lonardo: «Non comprendo che motivo c’era, io sono un organismo della società... che tu vai dall’altra parte, dal presunto nemico? Anche se io non ho problemi con Giampaoletti, intendiamoci. Ma secondo me lo sforzo di avvisare l’azienda andava fatto. Ma non credo che... io parlo fuori dai denti... non credo che sia andato a fare le scarpe a qualcuno. Sarà andato a dì se ce sta da prendersi qualche cosa ancora per continuare a fare carriera, “ce sto pure io”. Non lo so, eh, io avrei fatto questo».
Non sappiamo se le ipotesi di Attanasio sul suo presidente siano veritiere. Sappiamo però che la carriera di Bagnacani in Ama è terminata. La Raggi il 18 febbraio, grazie al parere del collegio, ha licenziato lui e il resto del cda «per giusta causa», con un’ordinanza in cui si «dubita dell’affidabilità» del manager, perché contrario ai «generali principi di correttezza e trasparenza».
L’azienda è stata affidata ad interim a Massimo Bagatti, l’ex direttore operativo. Nemmeno lui per adesso ha firmato il bilancio che piace tanto al Comune. Tutti, così, aspettano la nomina del prossimo presidente.
Al Campidoglio è arrivato a sorpresa anche il curriculum di Pieremilio Sammarco. Avvocato amico di Cesare Previti, vicino a Raffaele Marra, consigliere personale della sindaca a cui segnalò l’amico Raffaele De Dominicis come assessore al Bilancio, Sammarco è stato il datore di lavoro della Raggi prima che diventasse sindaca. «Pieremilio è il mio dominus», ammise Virginia. Che oggi non ha ancora deciso se evitare polemiche, o invece fregarsene di tutto. E piazzare ai vertici della municipalizzata uno di cui si fida davvero. E non faccia troppe storie sui bilanci.