Donna, ambientalista, in passato collaboratrice di Barack Obama, punta con il suo "Social Changes" a creare un gruppo che metta in contatto le forze di sinistra, in contrapposizione a quanto sta facendo l'ex spin doctor di Trump. Ecco cosa ci ha raccontato alla vigilia del suo arrivo a Roma
Che lo schieramento sovranista europeo goda dell’appoggio di un peso massimo della comunicazione politica come l’ex spin doctor di Donald Trump,
Steve Bannon, è ormai storia nota. Eppure – mentre il numero uno dell’armata dell’alt-right lavora alla costruzione di The Movement, l’internazionale del nazionalismo economico e del populismo di destra – nel campo progressista qualcosa si muove.
Un qualcosa che – specularmente a quanto avviene a destra – prende le mosse dagli Stati Uniti, attraversa il Regno Unito e giunge in Italia, per la precisione a Roma. E che vede in testa una donna progressista e ambientalista: l’anti-Bannon.
«I leader politici provenienti dagli Stati Uniti – che si tratti di George W. Bush, di Steve Bannon o perfino di Jim Messina hanno causato ingenti danni all’Europa ed al resto del mondo. Mi sono resa conto che era giunto il momento, per noi che avevamo lavorato in ambito politico negli Usa, di farci avanti per condividere le nostre esperienze e capacità con attivisti che, in campagna elettorale, non possono contare su ampi budget e relazioni». A parlare con l’Espresso è
Jessica Shearer, un passato nello staff di Barack Obama, durante la vittoriosa campagna presidenziale del 2008, ed un presente come responsabile di Social Changes - un’organizzazione dichiaratamente di stampo progressista, composta da esperti in comunicazione politica, analisti, creativi e community manager - la cui missione è quella di costruire una internazionale di forze e movimenti politici di sinistra, che possa contrastare l’insorgere dell’estremismo di destra. Social Changes è appunto impegnata ad organizzare
una due giorni di mobilitazione dedicata ad attivisti progressisti, un evento in programma l’11 e 12 maggio, a Roma, dal titolo “Mo’”, ovvero “Ora”.
«Obama divenne un leader nazionale in virtù della sua posizione contraria alla guerra in Iraq – ricorda la Shearer – e, per noi militanti, divenne imperativo combattere contro le devastazioni causate da quel conflitto. Lo facciamo tuttora: ci sono guerre tuttora in corso, in Siria ed in Yemen, ci sono ancora civili che perdono la vita. Il movimento globale cui ambiamo dovrà essere più forte dei precedenti, per porre fine a queste guerre».
Ma il punto di non ritorno, quello che ha portato il team di Social Changes a scendere in campo, riguarda l’Europa: «Avevo sempre lavorato a livello internazionale, ma - dopo la vittoria di Trump, la Brexit, l’ascesa di Matteo Salvini in Italia, di Marine Le Pen in Francia, dei tedeschi dell’AFD e degli spagnoli di Vox – ho scelto di dedicarmi a mettere insieme le persone di talento che incontravo».
«È per questo che nei prossimi giorni saremo a Roma, assieme ai responsabili della campagna di Bernie Sanders, ai fondatori di Momentum, organizzazione britannica di supporto ai laburisti, ad alcuni dei supporter del Green New Deal e a nomi noti della comunicazione politica.
L’evento cui stiamo lavorando vedrà la partecipazione di coloro che definiamo “agitatori del cambiamento”; giovani under 35, che hanno potuto liberamente iscriversi tramite la piattaforma www.mo-progressi.it. Il titolo pone l’accento sull’urgenza del cambiamento: mo’, ora».
L’urgenza, secondo la Shearer, è da imputarsi alla vorticosa ascesa dell’estrema destra in tutta Europa: «Le varie leadership europee di questi movimenti non solo sono simili tra loro nel porre l’accento sul nazionalismo e negli attacchi ai migranti, alle donne, alle persone di fede ebraica, alle istituzioni stesse, ma collaborano fra loro nell’intento di distruggere quel patto sociale multi-generazionale che chiede la pace fra i popoli. Sembra assurdo, ma la situazione può peggiorare: le elezioni di fine maggio daranno un segnale in un verso o nell’altro».
Anche sulle modalità di campagna social delle nuove destra la Shearer non usa mezzi termini: «
L'odio diffuso da personaggi come Bannon e Salvini è letale; lasciare che il progetto legato a The Movement prosegua indisturbato credo sarebbe qualcosa di cui potremo pentirci amaramente in futuro. Se a questo aggiungiamo il fenomeno della disinformazione, ecco che assistiamo alla più violenta e veloce campagna d’odio cui il mondo abbia assistito. Il nostro compito è quello di contrastare questo odio e di fare opposizione all’operato dei giganti del web e di quei governi che consentono loro di mettere in pericolo gli utenti, in nome dei ricavati pubblicitari».
Né, tantomeno, lo è sulle capacità mostrate finora dai progressisti, anche italiani: «È stato
un errore non utilizzare i moderni tool che consentono di individuare target di utenti, la cui piena partecipazione alla vita politica farebbe la differenza fra lo scenario attuale ed il mondo che ci interessa costruire. Ovvero una società in cui sia la norma prendersi cura l’uno dell’altro, in cui i migranti e le comunità delle più disparate fedi o etnie possano sentirsi parte del tessuto sociale».
Il che spiega l’intento di intervenire anche in Italia con un apposito appuntamento: «ho assistito alla marcia anti-razzista dei 200.000 a Milano e alle primarie del Partito Democratico e credo siano segnali di una riscossa della sinistra; ma i due eventi non sono legati fra loro. So per esperienza, dalle elezioni che hanno visto vittorioso Trump, che bisogna legare i movimenti sociali alle attività di partito, collegare la protesta ed il voto, far sì che la mobilitazione si trasformi in voto verso chi sentiamo più affine ai nostri valori. La destra è stata più brava in questo: sta vincendo la battaglia culturale, sta salendo al governo».
«Mo’ nasce dalla collaborazione di un gruppo di attivisti inglesi, statunitensi ed italiani, fra i quali il gruppo di Ti Candido, una piattaforma di crowdfunding che sta supportando anche campagne di candidati in corsa per le europee. Desideriamo superare la formula classica del comizio, in cui il militante non può far altro che sedersi ed ascoltare. La politica richiede partecipazione attiva: ecco perché utilizzeremo i due giorni per fare formazione. Non solo: speriamo di creare un ponte fra i movimenti sociali e la politica. Ma, soprattutto – conclude la Shearer - speriamo di mettere in atto un’azione dirompente, che davvero porti al cambiamento social cui aspiriamo».