«Chi parla di omosessualità come condizione modificabile” non ha alcun riconoscimento nella comunità scientifica». Non usa mezzi termini Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, professore ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma. Raggiunto da L’Espresso spiega il vuoto di senso “accademico, clinico e scientifico” di chi in Italia sottopone una generazione Lgbt a teorie riparative, come raccontato questa settimana. Mentre nel marzo 2018 il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza un testo non vincolante che invitava gli Stati membri a vietare queste tecniche. I dibattiti sul loro possibile divieto sono attualmente in corso in Germania, Belgio, nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. In Italia solo nel 2016 si tentò pallidamente di affrontare il problema tramite una proposte di legge presentata dal senatore Pd Sergio Lo Giudice che intendeva bloccare una pratica che, come ricorda Lingiardi: “può portare i giovani fino all’ideazione suicidaria”
Come è possibile che in Italia nel 2019 si parli ancora di omosessualità come di una condizione “guaribile” ?
Direi che a livello scientifico non se ne parla. L’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) e il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) si sono più volte espressi sull’omosessualità come orientamento sessuale non patologico, ribadendo la propria posizione contro ogni tipo di sedicente “terapia” riparativa. Chi parla di omosessualità come condizione “modificabile” per mezzo di un intervento “terapeutico” non ha alcun riconoscimento nella comunità accademica, clinica e scientifica. Volendo fare una battuta, sono un po’ i “terrapiattisti” della psicologia.
Quali sono i danni che può subire un paziente costretto a una sorta di correzione del proprio orientamento sessuale (a un’età che va dai 14 ai 17 anni)?
Tutti gli interventi mirati a “convertire” l’omosessualità in eterosessualità sono non solo inefficaci, ma anche dannosi (e questo lo diceva già Freud nel 1920). Facendo leva sulla cosiddetta omofobia interiorizzata, questi interventi (una miscela clinicamente improbabile di pregiudizio ideologico e condizionamento comportamentale) possono produrre depressione, ansia, sentimenti di colpa e disistima fino all’ideazione suicidaria. Durante l’adolescenza gli effetti sono particolarmente deleteri perché ostacolano il delicato processo del coming out che porta alla conoscenza e alla condivisione della propria (omo)sessualità. Chi vuol farsi un’idea dei presupposti violenti e normativi delle “terapie riparative” può vedere due film recentemente distribuiti anche in Italia: “La diseducazione di Cameron Post” e “Boy erased – Vite cancellate”. Non è un caso che in molti stati queste “terapie” siano fuorilegge.
Lei è tra i promotori del sito "Noriparative". Ha notato negli ultimi anni dei passi indietro da questo punto di vista?
Quel sito risale a dieci anni fa e ospita un comunicato redatto e firmato dai più autorevoli esponenti della comunità scientifica e accademica italiana nel campo della salute mentale. Fu scritto in occasione della presenza in Italia di un noto esponente delle terapie riparative, Joseph Nicolosi. Dal 2010 direi che ci sono solo stati passi in avanti, nonostante qualche pittoresca presa di posizione di realtà magari rumorose ma scientificamente non significative. Ricordo che nel 2014 il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha recepito e raccomandato la diffusione di “Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali”.