Un negoziato durato mesi. Una banca d'affari. L'Eni. Il racconto dell'intrigo russo per i soldi al partito di Salvini con documenti finora rimasti riservati. Che smentiscono le bugie del ministro
La trattativa per finanziare la Lega con soldi russi non è finita il 18 ottobre del 2018 nella hall dell’Hotel Metropol, a Mosca. Secondo i documenti inediti che pubblichiamo in queste pagine, il negoziato è andato avanti almeno fino a febbraio di quest’anno, tre mesi prima delle elezioni europee stravinte da Matteo Salvini. È proseguito, quindi, fino al mese in cui L’Espresso e il Libro Nero della Lega hanno svelato per primi l’affare del gasolio condotto da Gianluca Savoini nell’albergo moscovita. Una riunione alla quale era stato invitato anche Fabrizio Candoni, fondatore di Confindustria Russia, che ha preferito non andare: «Ero stato invitato anche io... Avevo sconsigliato a Salvini di andarci». Dunque, stando alla testimonianza di Candoni pubblicata dal Corriere della Sera, il ministro dell’Interno era a conoscenza della riunione del Metropol.
Partiamo dai nuovi documenti sulla compravendita di gasolio. Si tratta di offerte commerciali indirizzate a Rosneft prima e a Gazprom poi. Carte che coinvolgono direttamente Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, in Lega dal 1991, confermato nel 2018 dal partito del responsabile del Viminale alla vicepresidenza del Corecom, un ente pubblico lombardo che si occupa di telecomunicazioni. I nuovi documenti che pubblichiamo ci permettono di svelare come la trattativa sia proseguita dopo quella conversazione di un’ora e 15 minuti avvenuta la mattina del 18 di ottobre al Metropol. La proposta di acquisto, scritta su carta intestata, riguarda 6 milioni di tonnellate metriche di carburante: tre di gasolio Ulsd e 3 di cherosene per aerei di tipo A1. E lo sconto richiesto, il cui controvalore sarebbe servito a finanziare la Lega, è del 6,5 per cento. Come vedremo più avanti, le condizioni scritte ricalcano quelle pianificate al Metropol. [[ge:rep-locali:espresso:285334392]] Cinque mesi fa avevamo rivelato per la prima volta la trattativa per finanziare la Lega con soldi russi, e del ruolo cruciale avuto da Savoini. Dopo la pubblicazione della nostra inchiesta, la procura di Milano ha aperto un fascicolo per corruzione internazionale, in cui al momento è indagato Savoini. La trattativa era iniziata almeno a luglio del 2018, quando il leghista era entrato in contatto con una società vicina all’oligarca Konstantin Malofeev. Quel canale non aveva portato i frutti sperati, tanto da costringere l’ex portavoce di Salvini a cercare altri interlocutori. Così eravamo arrivati a raccontare l’incontro del Metropol, con Savoini impegnato a ottenere un finanziamento multimilionario per il partito di Salvini insieme a due italiani e a tre russi. All’epoca, non eravamo riusciti a identificare tutti i presenti al tavolo dell’albergo moscovita.
Nei giorni scorsi, entrambi gli italiani si sono dichiarati: «Ero presente al meeting del Metropol», ha scritto in una lettera aperta Gianluca Meranda, il primo a fare outing. Sin tratta di un avvocato esperto di diritto internazionale, partner di due studi legali con uffici a Roma, a Bruxelles e in altre città europee. È stato scritto della sua appartenenza alla massoneria, loggia Salvador Allende. Da alcune fonti consultate da L’Espresso apprendiamo che tra i suoi clienti, attuali e passati, ci sono la Commissione Europea, l’ambasciata indonesiana, Condotte, Todini, Mitsubishi, l’iraniana Bank Sepah, Nomisma. Insomma un curriculum prestigioso, quello di Meranda. Il cui nome appare nelle proposte commerciali che abbiamo potuto leggere.
Nelle carte non compare, invece, Ilya Andreevic Yakunin, presente all’incontro del Metropol e presentato agli italiani come uomo molto vicino al potente avvocato Vladimir Pligin. Nello studio legale di Pligin, la sera prima dell’incontro al Metropol, il 17 ottobre, Salvini aveva incontrato privatamente il suo omologo russo, Dmitry Kozak, vice premier della federazione russa e responsabile degli affari energetici. Salvini in visita ufficiale come componente del governo italiano non ha segnalato quell’incontro sulla sua agenda ufficiale, non ha mai chiarito i dettagli del presunto incontro riservato con Kozak. E non l’ha smentito: si è limitato a dire che non ricordava. «Se fosse successo, lo riterrei legittimo e doveroso», sono state le sue parole in tv, dopo non aver risposto alle domande che gli avevamo inviato un mese prima della pubblicazione dell’inchiesta giornalistica. Di certo Yakunin, Pligin e Kozak rappresentano il collegamento diretto con il potere putiniano, tant’è che tanto Pligin quanto Kozak sono stati inseriti nella black list europea dopo l’annessione della Crimea alla Russia.
Il 18 ottobre, il giorno dopo l’incontro riservato tra Salvini e Kozak, Savoini era al Metropol a parlare di un grosso affare energetico con Yakunin e altre quattro persone. «Il piano fatto dai nostri “political guys” è semplice», sono state le parole pronunciate nel meeting: «Dato lo sconto del 4 per cento, sono 250 mila al mese, per un anno. Così loro possono sostenere una campagna». E ancora: «Questa è solo una questione politica, vogliamo finanziare la campagna elettorale, e questo è positivo per tutte e due le parti». Il piano - secondo le prove di cui L’Espresso è in possesso, confermate dall’audio pubblicato sul sito di Buzzfeed - prevedeva uno scambio di gasolio tra due società di Stato. Una compravendita in cui l’italiana Eni avrebbe dovuto acquistare a prezzo di mercato almeno 3 milioni di tonnellate metriche di diesel da una delle due aziende russe, Rosneft o Lukoil. Questioni che dovevano essere ancora decise, al termine della riunione del Metropol.
Così come doveva essere ancora definito lo sconto, se del 4 per cento o maggiore. Un aspetto importante perché, concordavano Savoini e gli altri presenti all’incontro, era proprio lo sconto a rappresentare il finanziamento a fondo perduto alla Lega. Un finanziamento da 65 milioni di dollari, ha scritto Buzzfeed calcolando il valore di quel 4 per cento sulle 3 milioni di tonnellate metriche di carburante (il valore di mercato Platts di una tonnellata di quello specifico gasolio all’epoca era di 550 dollari).
Undici giorni dopo, il 29 ottobre, la Euro-IB Ltd - una banca d’investimento londinese con sedi anche a Francoforte e Roma, controllata dal banchiere tedesco Alex Von Ungern-Sternberg e di cui l’avvocato Meranda è “general counsel”, cioè consulente legale - prepara un documento di sei pagine indirizzato a Rosneft. È una richiesta di fornitura firmata da uno dei dirigenti della banca, l’italiano Glauco Verdoia, specializzato in trading e finanza strutturata. La banca londinese vuole acquistare dalla società di Stato russa 3 milioni di tonnellate di gasolio del tipo Ulsd: 250 mila tonnellate al mese, per dodici mesi consecutivi. È esattamente quello di cui Savoini e gli altri cinque uomini presenti al Metropol stavano discutendo undici giorni prima. Con l’obiettivo, dicevano, di finanziare la Lega alle elezioni europee di maggio. Nel documento la banca indica uno sconto del 6,5 per cento sul prezzo Platts.
Durante la riunione al Metropol, l’ex portavoce di Salvini e gli altri presenti avevano parlato di uno sconto minimo del 4 per cento per finanziare la Lega, e della possibilità di far salire lo sconto fino a circa il 6 per cento, con la promessa di restituire ai russi presenti la differenza. «Questa è una garanzia, loro prendono pure 400... quel cazzo che devono prendere, ma è una garanzia», aveva detto Savoini ai connazionali durante una pausa dalla trattativa con i russi. Al tavolo c’era anche un altro italiano, Francesco, barba e marcato accento toscano. Il secondo a “confessare” la sua presenza. È Francesco Vannucci, di Suvereto, un borgo storico in provincia di Livorno. È stato un sindacalista della Cisl, fino al 2006 ha militato nella Margherita come coordinatore provinciale, e nel Pd fino al 2010. È lui l’uomo che avevamo fotografato insieme a Savoini nella sala colazioni del Metropol, a pochi minuti dall’inizio della trattativa.
C’è di più. Al termine dell’incontro Savoini e gli altri si erano lasciati con la promessa di valutare la possibilità di aggiungere alle 3 milioni di tonnellate di gasolio anche una fornitura di cherosene, il carburante usato per gli aerei. E nel documento della banca londinese indirizzato a Rosneft si parla anche di questo. Euro-IB chiede infatti di acquistare anche 3 milioni di tonnellate di cherosene da aviazione di tipo A1, 250 mila tonnellate al mese, anche in questo caso con uno sconto richiesto del 6,5 per cento sul prezzo Platts. Nel documento non viene mai menzionata l’Eni, la società di Stato italiana che secondo quanto detto più volte al Metropol avrebbe dovuto rappresentare l’acquirente finale di tutto quel carburante. Rivolgendosi a Rosneft, però, la banca londinese fa più volte riferimento a un non meglio specificato «compratore finale».
Un compratore capace di ritirare in proprio i 6 milioni di tonnellate di carburante, visto che nell’offerta si specifica il luogo della consegna: Novorrosisk, il porto russo affacciato sul Mar Nero. Lo stesso citato durante la riunione del 18 ottobre al Metropol. «La richiesta era una manifestazione di interesse relativa ad una possibile fornitura intercambiabile di 3 milioni di tonnellate metriche di prodotto», spiega all’Espresso Verdoia, il firmatario del documento, che oltre ad affermare con certezza di non aver mai conosciuto Savoini, ha negato di essere a conoscenza del possibile finanziamento della Lega attraverso quella compravendita petrolifera, e ha garantito che «nessuna fornitura è mai stata effettuata». Il dirigente della banca inglese ha risposto alle nostre domande. Il compratore finale era Eni? La lettera, ci ha scritto Verdoia senza rispondere sul punto, «rappresentava una mera manifestazione di interesse non vincolante, e una richiesta di quotazione per l’acquisto di prodotti petroliferi destinati a vari traders in varie parti del mondo».
Verdoia ha anche assicurato che quella richiesta di fornitura indirizzata a Rosneft «è stata inviata esclusivamente all’avvocato Meranda, e non a Rosneft». La società di Stato russa, secondo Verdoia, «non ha mai dato seguito alla richiesta di quotazione né direttamente né tramite l’avvocato Meranda». Abbiamo chiesto a Eni se ha mai avuto rapporti commerciali con la banca Euro-IB. Eni si è limitata a rispondere di non aver mai concluso transazioni economiche con la banca londinese: «Eni non ha mai concluso alcuna transazione (commerciale o di qualsivoglia altra natura) con la banca Euro-IB Ltd: conseguentemente non ha mai effettuato o ricevuto alcun pagamento». E sull’operazione Rosneft ha precisato: «Non abbiamo avuto alcun ruolo nell’operazione descritta». Come invece vedremo tra poco è stato lo stesso gruppo, attraverso la controllata Eni Trading and Shipping, a dichiarare qualche anno prima di aver avuto numerosi rapporti con Euro-IB.
Di certo, se le condizioni delineate al Metropol non erano intanto state cambiate, il finanziamento per la Lega non sarebbe stato più di 65 milioni di dollari, ma molto maggiore: ai 3 milioni di tonnellate metriche di gasolio si sono aggiunte infatti altre 3 milioni di tonnellate di cherosene. Questo dicono i documenti letti dall’Espresso. Ma la trattativa non è finita nemmeno quel 29 ottobre. È l’8 febbraio del 2019, alle elezioni europee mancano ormai poco più di tre mesi. Su carta intestata di Euro-IB parte un altro documento. Questa volta è indirizzato a Savoini in persona. A scrivergli - in inglese - è Gianluca Meranda, l’avvocato che pochi giorni fa ha scritto di essere stato uno dei presenti all’incontro del Metropol. Meranda ringrazia Savoini per aver condiviso con lui una nota interna di Gazprom, altra società di Stato russa che si occupa di energia. In quella nota, datata 1° febbraio 2019, Gazprom in sostanza ha rifiutato di collaborare con Euro-IB per una serie di ragioni tecniche. Collaborare su che cosa? Sulla vendita alla banca inglese sempre dei soliti due tipi di carburante. È proprio leggendo le risposte dell’avvocato italiano a quel rifiuto che emerge il nome di Eni. Nella sua nota, Gazprom ha detto di non poter vendere nulla alla Euro-IB perché quest’ultima - scrive Meranda a Savoini - non «ha indicato nella sua richiesta quali sono le sue strutture logistiche». Per l’avvocato, però, questo è «irrilevante» perché la banca «compra per vendere a Eni, la quale possiede l’intera infrastruttura logistica per l’acquisto».
Meranda allega alla lettera indirizzata a Savoini un documento del 2017. È una lettera di referenza commerciale firmata da Eni Trading and Shipping, una delle varie controllate del colosso italiano. «Confermiamo che la Euro IB Ltd ha avuto a che fare con noi in diverse occasioni», si legge nel documento. Come è andata a finire la trattativa? Eni sapeva di quella richiesta di fornitura inviata dalla Euro IB a Gazprom? E sapeva che tutto era finalizzato a finanziare la Lega? «Eni non ha mai concluso alcuna transazione con la banca citata», così ha risposto la società alle nostre domande, aggiungendo: «Eni ribadisce di non aver preso parte in alcun modo a operazioni volte al finanziamento di partiti politici. E tiene a precisare che, in presenza di qualsiasi illazione volta a coinvolgerla in presunte operazioni di finanziamento a parti politiche, si riserverà di valutare le opportune vie legali a tutela delle propria reputazione». Il ruolo di Eni, però, non è frutto di nostre illazioni: sono state le persone presenti al Metropol e i documenti in nostro possesso a citare più volte il nome del colosso guidato da Claudio Descalzi.
I documenti, inoltre, rendono inverosimile la versione di Savoini, che dopo la pubblicazione degli audio ha detto che la riunione del Metropol non era nemmeno programmata: «Solo un incontro casuale», si è difeso, «in cui la politica non c’entra nulla, i soldi alla Lega neppure». Savoini? «Non l’ho invitato, non so cosa facesse a Mosca», si è giustificato Salvini subito dopo la pubblicazione degli audio. Eppure, la foto che pubblichiamo in queste pagine, scattata da noi il 17 ottobre 2018 nella capitale russa, dimostra che Savoini quel giorno stava parlando con il capo della segreteria di Salvini, Andrea Paganella, collaboratore fidato del ministro.
Negli ultimi giorni, parlando con la stampa, l’avvocato Meranda ha detto di conoscere Gianluca Savoini. E di aver incontrato anche il ministro dell’Interno in occasioni pubbliche. L’avvocato ha confermato la trattativa del Metropol. «Non posso dirvi di più, sono tenuto al rispetto del segreto professionale», ha però specificato. Intervistato dopo la nostra inchiesta di febbraio sulla trattativa del Metropol, Savoini ha ammesso di essere stato presente al summit del 18 ottobre, ma non per conto della Lega: «Io ero lì come presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia», ha detto. Perché allora l’ex portavoce di Salvini, prima di passare la parola ai «nostri partner tecnici» per discutere dello scambio di gasolio, citava i “political guys”’ che avevano preparato il piano? Perché spiegava ai russi che la Lega «vuole cambiare l’Europa», vuole creare una «Nuova Europa che deve essere vicina alla Russia», un’Europa che non dipenda più dalle decisioni di «illuminati a Bruxelles o in Usa»? E perché il presidente di un’associazione culturale italiana è andato a Mosca a trattare una maxi fornitura di carburante finalizzata, dicevano i presenti al Metropol, a finanziare il partito di Salvini?
Non solo parole. Undici giorni dopo, come abbiamo detto, la banca rappresentata al tavolo dall’avvocato italiano Gianluca Meranda prepara una proposta commerciale che ricalca esattamente i contenuti della riunione. È indirizzata a Rosneft. Quasi quattro mesi dopo Meranda e Savoini parlano dello stesso affare con Gazprom, un’altra società di Stato russa. Perché cambiare interlocutore? La fornitura di carburante alla fine è avvenuta? Con quale sconto? Chi erano gli altri due russi presenti al tavolo del Metropol? Rosneft, Gazprom, Meranda, Vannucci e Savoini non hanno risposto alle nostre domande. Secondo la versione di Glauco Verdoia, che combacia con quella data da Meranda nei giorni scorsi ad alcuni organi di stampa, la fornitura di carburante alla fine non è avvenuta. Nessuno dei due ha però spiegato il motivo. Salvini ha detto di non aver «mai preso un rublo, un euro, un dollaro o un litro di vodka di finanziamento dalla Russia». E ha bollato fin dall’inizio le nostre inchieste come frutto di «fantasia».
I documenti inediti che mostriamo in queste pagine, uniti a quanto avevamo scritto cinque mesi fa, confermano che la trattativa per finanziare la Lega con soldi russi c’è stata, e che è durata almeno dal luglio 2018 al febbraio del 2019. Insomma, al di là dell’esito delle negoziazioni, resta aperta una questione di rilievo nazionale, che ha grande rilevanza sociale e politica oltreché giudiziaria.
Perché l’ex portavoce di Salvini cercava soldi in Russia? In cambio di che cosa gli veniva offerto questo finanziamento? E soprattutto: Matteo Salvini, capo della Lega, poteva non essere a conoscenza di un possibile maxi-finanziamento di cui avrebbe potuto beneficiare il suo partito?
Nell’attesa che il ministro risponda in aula, all’orizzonte c’è la richiesta di istituire una commissione parlamentare di inchiesta. Salvini dice di sentirsi sotto assedio. Non scarica Savoini. E così resta impantanato nel Metropol.