L'incontro tra il presidente Bush e Falcone a Roma. E il colloquio segreto tra Cuccia e il leader Psi. Così, tra il 1989 e il 1990, si preparò la fine della Prima Repubblica

Bettino Craxi
Anticipiamo in queste pagine uno stralcio del nuovo libro di Fabio Martini “Controvento. La vera storia di Bettino Craxi”, Rubbettino editore, in uscita il 9 gennaio, in occasione del ventesimo anniversario della morte del leader socialista, avvenuta il 19 gennaio 2000 nella sua casa di Hammamet, in Tunisia.

Negli anni che precedono il crollo del sistema politico italiano, in merito all’interessamento americano alle vicende italiane vanno accesi i riflettori su una vicenda finora non illuminata ma estremamente interessante. Racconta Giuseppe De Tomaso, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno: «Nei primi anni Novanta incontrai un altissimo esponente dell’amministrazione degli Stati Uniti che mi raccontò uno scenario mai sentito prima: nel 1989 il presidente George Bush si rende conto che la proliferazione degli stupefacenti mette a rischio la possibilità di poter formare forze armate perfettamente efficienti. Convoca le principali forze investigative e dispone una drastica svolta politica: spezzare i rapporti con tutti i regimi corrotti del Centro e Sudamerica collegati col narcotraffico. In quella occasione gli viene fatto notare quanti problemi arrivino anche dalla mafia italiana che opera nel mar Mediterraneo e che è collegata ad alcuni politici italiani».

È in questo contesto che inizia lo sganciamento da un personaggio come Giulio Andreotti e l’interessamento di Bush per la figura di Giovanni Falcone, il magistrato che aveva istruito il più importante processo alla mafia nella storia italiana. Nel maggio del 1989 il presidente degli Stati Uniti, a Roma per una visita di Stato, invita Falcone ad un ricevimento a Villa Taverna, residenza dell’ambasciatore: è l’unico magistrato presente e Bush chiede di potergli parlare in privato.

Il libro di Fabio Martini
Qualche tempo dopo, all’amico pm Giuseppe Ayala che gli chiese cosa si fossero detti, Falcone con la sua proverbiale riservatezza si limitò a rispondere: «Ha chiesto di incontrarmi e sono andato». Ma tutti potevano vedere la grande foto di Bush che Falcone teneva nel suo ufficio e la testimonianza di De Tomaso aggiunge un passaggio in più: «Da quel che mi fu detto confidenzialmente, l’amministrazione avrebbe visto bene Falcone per la guida di un nuovo corso italiano. All’inizio era lui, non Di Pietro, l’eccellenza sulla quale puntavano gli americani».

Ma non c’è solo la droga. Nel 1991 Henry Kissinger incontrò Craxi a New York nel periodo nel quale ricevette l’incarico all’Onu da Perez de Cuellar sul debito del Terzo mondo, vicenda che l’amministrazione Bush guardava con sospetto e da quel che è dato sapere il vecchio diplomatico sondò l’ex Presidente del Consiglio anche sul futuro dell’Italia nel nuovo contesto internazionale. Dopo il crollo del Muro di Berlino, gli americani avevano avviato lo sganciamento da quei politici amici che li avevano aiutati nella lotta al comunismo, ma che erano appesantiti dalla corruzione. È una stagione nella quella la Cia viene messa in quarantena, per stemperare le collusioni col Kgb e con i servizi e con i leader europei più compromessi. In Italia - oltre ad un’attività sotterranea che sarà difficile “tracciare” - alla luce del sole si vede irrompere la punta di lancia di questo new deal, l’Fbi, che arriverà a partecipare alle indagini per la morte di Falcone. E d’altra parte quanto l’amministrazione americana guidata dai Repubblicani seguisse le vicende italiane, è stato illustrato da due illuminanti interviste realizzate da Maurizio Molinari e pubblicate su La Stampa nell’agosto 2012: all’ex console americano Peter Semler a Milano e all’ex ambasciatore a Roma Reginald Bartholomew.
Giovanni Falcone

Semler ha rivelato di aver coltivato un rapporto assai intenso - prima della stagione di Mani pulite - con Antonio Di Pietro, sostenendo che l’ex pm gli avrebbe anticipato i possibili sviluppi di un’indagine che era in corso su Mario Chiesa, con eventuali ricadute su Bettino Craxi. Di Pietro ha smentito categoricamente ogni intenzionalità preventiva sul leader socialista, ma a conferma di un rapporto confidenziale, c’è anche la rivelazione dell’ex console sul viaggio di Di Pietro negli Stati Uniti nell’autunno del 1992. «Sono stato io a suggerire all’ambasciata di Roma di invitarlo, poi fu il Dipartimento di Stato ad organizzargli il viaggio» e a Washington e New York «gli fecero vedere molta gente».

Quel no segreto allo “Gnomo”
Se in una fase avanzata della crisi italiana una parte dell’amministrazione Usa decide di “scaricare” dear Bettino, pochi sanno che in Italia il vecchio ordine fu tentato di affidare proprio a Craxi la guida di un nuovo corso tutto da costruire. E il sondaggio su Craxi lo fece nientedimeno che Enrico Cuccia, il “padrone dei padroni”. Negli ultimi giorni del 1989, anno che si era rivelato di svolta e preannunciava tempi nuovi, il patron di Mediobanca aveva inviato a Craxi un enigmatico biglietto di auguri con una frase di Goethe: «Da oggi comincia una nuova epoca e voi potete dire di esservi stato presente».

Un segnale di attenzione che nel giro di qualche mese si trasformò in qualcosa di molto significativo: Cuccia, uomo felpatissimo e di proverbiale riservatezza, grazie alla mediazione di Salvatore Ligresti chiede di incontrare riservatamente il leader socialista.

Craxi riceve il capo di Mediobanca nel suo ufficio a piazza Duomo.

È la primavera del 1990 e in quel primo incontro Cuccia trasmette a Craxi la propria preoccupazione per i cambiamenti che sarebbero intervenuti in Italia dopo l’adesione ai Trattati di Maastricht: diventava sempre più plausibile il rischio di una colonizzazione del sistema produttivo italiano e dunque era urgente una svolta politica che tenesse in primo piano gli imperativi del mercato ma in una logica nazionale. Diventava impellente privatizzare, a prezzi ragionevoli, affidando a mani italiane i rami fertili delle imprese pubbliche, riducendo la spesa pubblica e creando - in una fusione tra Mediobanca e i tre istituti di proprietà dell’Iri - una banca di respiro internazionale, capace di agire da propulsore per questa fase nuova. Naturalmente ai partiti sarebbe toccato un passo indietro e, a parere di Cuccia, l’unico che fosse in grado di guidare questo processo era proprio Bettino Craxi.

E lui a caldo come reagì? Chi lo conosceva, racconta che Craxi fu lusingato e incuriosito: chiamava Cuccia «lo gnomo di via Filodrammatici», ne conosceva l’antica militanza azionista e per lui era difficile dimenticare come si chiamasse la moglie: Idea Nuova Socialista.

Ma per tanti motivi Craxi diffidava di Cuccia. In un secondo incontro, stavolta a Roma, si parlò anche di dettagli operativi - per esempio dell’appoggio che i media avrebbero garantito all’impresa - ma senza trovare un accordo. A fine giugno i due si incontrarono ancora una volta, di nuovo a Roma e in quella occasione il segretario socialista respinse l’offerta. E lo fece, attingendo al suo dna: la politica la fanno i politici, il mercato va governato.

Alle tante pressioni su di lui, Craxi risponderà col suo discorso al congresso straordinario del Psi di Bari, il 27 giugno 1991, diciotto giorni dopo la bruciante sconfitta al referendum sulla preferenza unica. In un passaggio della sua relazione è contenuta una frase, sul momento considerata pleonastica, ma che a distanza di anni si presenta ricca di significato, decisiva. Dice Craxi: «In un libro intervista di alcuni anni fa, Giovanni Spadolini ricorda, e fa suo, un significativo monito di Ugo La Malfa: “Se capeggiassi un movimento di rivolta al sistema - mi disse - avrei tre, quattro milioni di voti. Non li potrò mai avere questi voti. Sono un uomo del sistema, della democrazia, così come è nata dopo la Liberazione, mi muovo nel quadro dei partiti. L’ansia antipartitica che sta investendo il Paese non può essere accarezzata. Il compito di noi politici, è di incanalarla, non di servirla o essere asserviti ad essa”». Finita la citazione, Craxi chiosa così: «Penso che questo sia anche il compito nostro».

E a quel punto - un anno dopo l'incontro con Cuccia - si chiude l’ultimo cerchio. Degli incontri che Craxi aveva avuto con il leader di Mediobanca (dei quali ha dato ampio conto l’ex ministro socialista Carmelo Conte nel suo “Dal quarto stato al quarto partito”) non è più possibile ricostruire le sfumature (in certi casi decisive) che accompagnarono l’offerta. Ma ne conosciamo l’esito: si concluse senza un accordo. Dunque, prima che il piano della “vecchia” politica si inclinasse per sempre, Craxi rifiutò l’offerta che gli era venuta da parte del più temuto e potente regista dei principali intrecci economici e finanziari del dopoguerra, il capofila di un mondo del quale il leader socialista aveva diffidato per tutta la vita. Rifiutando, restò sé stesso e non volle cambiare percorso né compagni di viaggio. Ma non volle neppure provare a correggere la sua traiettoria: riformare il sistema, alleggerire la presenza dei partiti. Nelle settimane nelle quali Craxi e Cuccia si incontrarono, nella primavera del 1990, era iniziata la raccolta delle firme per i referendum Segni in materia elettorale.

Incassato il rifiuto di Craxi, Cuccia farà qualcosa di inusuale per un uomo riservato come lui: andò nella sede del Giornale e platealmente mise la sua firma sotto i moduli per i referendum. Un investimento ben indirizzato: i referendum avrebbero contribuito a far saltare il vecchio sistema. Inutile immaginare cosa sarebbe accaduto se Craxi avesse detto un sì, magari condizionato, all’offerta di Cuccia. Senza eccessive fantasie si può persino ipotizzare che la crisi italiana avrebbe potuto prendere un corso diverso, a cominciare dalla vicenda di Mani pulite, in quel momento ancora lontana. Quel no, allora rimasto segreto, resta una pietra miliare nella vita di Bettino Craxi e probabilmente nella successiva storia della Repubblica.

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