L'ingresso in Parlamento a 32 anni, la pratica in avvocatura con due big del calibro di Tina Lagostena Bassi e Vincenzo Siniscalchi, la malattia affrontata con una grinta unica. Il racconto della governatrice della Calabria appena scomparsa

Io di Jole Santelli ricordo l'ingresso alla Camera, nel maggio 2001. Io giovane cronista dell'Espresso da poco arrivato a raccontare il Transatlantico, lei - mia coetanea - eletta deputata con Forza Italia, nel collegio di Paola. Aveva 32 anni, figurava nei ritratti immancabilmente come assistente di Marcello Pera e legale nello studio di Cesare Previti, come dire i suoi padrini politici, ma lei in realtà poteva vantare già una laurea in Legge, un diploma all'Istituto per gli studi legislativi, l'avvocatura. Aveva fatto pratica con due big, Tina Lagostena Bassi e Vincenzo Siniscalchi, stravedeva per Claudio Martelli e militava nei radicali, poi aveva incontrato Forza Italia, nel 1994, nella prima storica campagna elettorale di Silvio Berlusconi, e si era impegnata nel gruppo parlamentare.

«Per un partito giovane come il mio il Parlamento è la scuola di selezione di nuove persone», mi aveva detto. La politica nel sangue: lo zio era stato un nome chiave della Prima Repubblica, il leader socialista Giacomo Mancini. Era stato il suo maestro e quando era entrata a Montecitorio le aveva dato un consiglio affettuoso: «Resta sempre te stessa, non farti trascinare dalle bufere». Berlusconi l'aveva nominata sottosegretaria alla Giustizia, sembrava l'inizio di una carriera travolgente. Una sera l'avevo vista scendere da un'auto blu di fronte all'hotel Plaza di Roma, con la mamma e la sorella Roberta, per la presentazione di un libro di Bruno Vespa, si era fatta fotografare sullo scalone e l'avevo presa in giro sul giornale. Ma lei non era il tipo da togliere il saluto a un giornalista malizioso e percepito come avversario politico: «Negli ultimi anni ho cambiato mestiere troppe volte. Ora spero di calmarmi. La politica è una rincorsa. Quando stai in alto puoi cadere».

In quell'ottovolante spericolato e bugiardo che è la politica italiana, era diventata un mito per le deputate di Forza Italia, una roccia per tutte, soprattutto per le più giovani, e nel periodo più difficile, tutte messe in croce allo stesso modo e senza distinzioni, e una collega stimata da avversari e avversarie di tutti i partiti. Lì, su una poltrona di Montecitorio, a dare consigli, dispensare battute, una sigaretta dopo l'altra.

Una professionista della politica, animale raro nella Seconda Repubblica del deserto delle appartenenze, la politica che era la passione per cui è vissuta fino all'ultimo momento. Simpatica, a tratti spudorata e mondana ma con una profonda umanità che richiamava rispetto.

Era malata, ma ha affrontato l'ultima battaglia con la grinta che era il suo modo di stare al mondo. Prima l'elezione a presidente della regione Calabria, poi l'incubo covid. Con il peso interiore di una malattia di cui non puoi parlare con nessuno, perché la politica brucia tutto e non ti puoi dimostrare fragile, vulnerabile, non puoi rivelare solitudini, soprattutto se sei donna, in un mondo maschilista come quello che abita e comanda i partiti italiani, di destra e di sinistra.

Confesso che in questi mesi ogni tanto mi capitava di pensarla e avrei voluto chiamarla. Mi capitava spesso di chiedere a chi la conosceva: «Come sta Jole?», da lontano, con riservatezza. E quando qualche giorno fa l'ho vista ballare in un video, nonostante le critiche, ho avuto uno strano e doloroso presentimento. Che fosse stato quello il modo di salutare tutti che aveva scelto Jole Santelli, politica di razza, amante della vita.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il rebus della Chiesa - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso