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Uno schema che nasce da lontano e che è stato, secondo le rivelazioni, preparato con l’ausilio di una rete di supporto in Australia che si incrocerebbe con alcune persone vicine ad ordini religiosi e associazioni contro la pedofilia.
L’avversione tra Becciu e Pell è antica, secondo quanto ricostruito risale ai tempi del papato di Benedetto XVI e si sarebbe consolidata nel tempo arrivando a sfociare ad episodi di astio conclamato, abbastanza inedito per il modus operandi vaticano. Ma l’episodio cardine non è quello riferito dallo stesso ex sostituto della Segreteria di Stato nella conferenza stampa successiva alle sue dimissioni, quando raccontò di quella volta che «davanti al Papa, lui mi disse: lei è un disonesto. E lì ho perso la pazienza, e gliel’ho gridato: non si permetta di dire queste cose». Va ancora più indietro. Risale al momento in cui Pell comprende, tra i primi, quale sia il meccanismo che regola i fondi della segreteria di Stato, quel “metodo Becciu” che l’Espresso ha ricostruito in queste settimane; quando decide di segnalare all’anticorruzione quel sistema fatto di cartolarizzazioni, fondi, consulenze, percentuali fuori mercato, fiumi di soldi ed enormi giri finanziari. Pell in quel momento non si fida degli organismi interni del Vaticano perché è convinto che ci sia la lunga mano di Becciu a creare una ragnatela di complicità: rivela ad un prelato del suo ufficio, ritenuto fidato, di voler esporre il tutto quanto prima al Papa, raccogliere prove documentali e poi farlo filtrare all’esterno delle Mura Vaticane in una Procura italiana.
Il pericolo per la tenuta del sistema Becciu è evidente. Da qui, la necessità di sbarazzarsi dell’ingombrante presenza del cardinale australiano che non solo era alfiere della riforma che di fatto avrebbe svuotato la cassa gestita dall’allora sostituto alla segreteria di Stato, ma ne avrebbe svelato rete e piani. Per strutturare il piano, Becciu si sarebbe avvalso di una persona di fiducia, legata a doppio filo ad una importante dinastia romana, che conosceva bene il territorio australiano avvalendosi di una rete religiosa ed economica di supporto.
Il piano, naturalmente, agganciava la spinosa e irrisolta questione della pedofilia. Le vittime vengono individuate tra gli ex studenti del Saint Patrick College di Ballarat e tra l’omonima cattedrale di Melbourne, un luogo dove Pell gestiva molteplici attività con i ragazzi tra cui il coro. Tre sono gli uomini che hanno accusato il cardinale Pell: due di origine irlandese e un terzo di origine italiana. Quest’ultimo, deceduto per overdose a 31 anni, non ha mai potuto testimoniare in tribunale contro di lui. Secondo alcuni abitanti di Ballarat, che abbiamo ascoltato via Skype nelle scorse ore, l’uomo avrebbe in punto di morte più volte negato il coinvolgimento di Pell ammettendo che fu pagato molto bene per accusare il cardinale.
L’uomo, secondo i sostenitori delle accuse al cardinale Pell, fu invece rovinato dagli abusi subiti: fin dall’età di 14 anni avrebbe iniziato a drogarsi e fu ricoverato in clinica psichiatrica per cercare di uscire dalle dipendenze. Secondo quanto raccolto dagli abitanti, parlava di un italiano che aveva vissuto a lungo in Australia che lo aveva arruolato e spesso ripeteva che i soldi ricevuti gli sarebbero serviti per disintossicarsi. Al processo, cui non partecipò mai, testimoniò il padre che confermò le violenze subite.
La creazione del dossier su Pell - secondo quanto appreso dall’Espresso - fu di facile realizzazione: sia per l’ampia capacità di liquidità di cui il prelato disponeva, come testimonia il suo conto Ior, sia per lo scarso appeal che Pell aveva nella curia romana, essendo giudicato eccessivamente severo e di posizioni eccessivamente conservatrici, sia perché aveva alle spalle l’accusa di essere un insabbiatore seriale dei casi riguardanti gli abusi dei preti australiani. Al vaglio della autorità vaticane ci sarebbero anche altri movimenti bancari che riguarderebbero la contropartita che l’ex cardinale avrebbe girato ai basisti di questa operazione. Nella serata di ieri, per mezzo del suo avvocato, Becciu ha smentito ogni addebito intorno ad un eventuale piano che lo vedrebbe coinvolto in ipotetici progetti per ordire un complotto contro il cardinale Pell.
Ma c’è altro che si muove. Secondo quanto si apprende dal Bollettino Ufficiale della Santa Sede, il 24 settembre Papa Francesco ha incontrato Salvatore De Giorgi, cardinale ed arcivescovo emerito di Palermo. Al centro dell’incontro ci sarebbe, su indicazione delle Autorità Vaticane, la volontà di riprendere il lavoro della prima Vatileaks, alla quale De Giorgi lavorò come membro della commissione d’inchiesta in cui c’erano i cardinali Jozef Tomko e Julián Herranz Casado. Quel lavoro fu consegnato da Benedetto a Francesco e potrebbe costituire l’ingranaggio per creare una sorta di maxiprocesso in cui vecchi e nuovi metodi, ben oltre il folclore, potrebbero unirsi per superare definitivamente certe modalità operative e dare lo slancio definitivo alla riforma delle finanze vaticane. Sullo sfondo rimangono numerosi appuntamenti nell’agenda vaticana, tra cui quello più delicato previsto per novembre: il Conclave del Sovrano Ordine di Malta che avrebbe dovuto seguire proprio l’ex Cardinale Becciu, il quale formalmente rimane il delegato di Francesco.