Montano le proteste dei lavoratori che incrociano le braccia o rallentano la produzione. «A partire dalle navette aziendali che sono strapiene la mattina fino alla catena di montaggio siamo sempre gomito a gomito. Inutile, poi, che dopo il turno ci venga vietato di andare in giro. Il danno è già fatto»

«Non va assolutamente bene, chi ha scritto quel decreto non sa assolutamente come si lavora in una fabbrica. Tra gli addetti ai lavori chi ha letto i due decreti si mette le mani nei capelli, il governo si è sdraiato sulle richieste di Confindustria». E' un fiume in piena Marco Verga, della Fiom di Milano, che da stamattina protesta insieme ai suoi 80 colleghi alla Bitron, dove si producono valvole per il settore bianco (frigoriferi e altri elettrodomestici) e per le macchinette del caffè. «Non siamo di fronte a produzioni indispensabili, come quelle del settore sanitario. Perché non fermarci?».

Le catene di montaggio costringono spesso a lavorare gomito a gomito, ambienti chiusi e poco areati, nessun dispositivo di sicurezza legato a questa emergenza in atto e aziende che pur di non fermare la produzione finora hanno ignorato le disposizioni che da ieri hanno “chiuso” l'Italia per l'emergenza Coronavirus.
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Da stamattina alle 6, sono molti i lavoratori che hanno incrociato le braccia o che hanno rallentato la produzione. «Sono molti i contagi anche tra gli operai e in un paese senza controlli e sanzioni non ci si può affidare solo alla buona volontà degli imprenditori» cosi il segretario nazionale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, commenta questa situazione che sta agitando i siti produttivi dello Stivale.

«Se Fca ha chiuso gli stabilimenti tre giorni, per organizzare la fabbrica secondo lo scenario attuale e che durerà parecchio, - racconta Bentivogli - ci sono aziende come Magneti Marelli che viaggiano a 21 turni, altre che lavorano chiedendo il sabato straordinario, Whirlpool che non rispetta le distanze minime a Cassinetta e ArcelorMittal che costruisce Comitati di emergenza ma non è in grado neanche di rispettare le regole minime per garantire la salute degli operai in nessuno dei siti e si dimostra totalmente contraria a far lavorare in smart-working i lavoratori addetti a mansioni da subito remotizzabili. In Lombardia stiamo registrando crescenti e comprensibili forme di autoabbandono del lavoro, in quella regione servono provvedimenti straordinari vista la situazione pandemica.».

Contrariamente al solito, la protesta non si rivolge solo al proprio datore di lavoro, ma chiama in correità anche il governo, accusato di ignorare completamente la vita degli operai alla catena di montaggio. Qualcuno parla di “scollamento dal paese reale” e in questo contesto di emergenza sembra che gli operai vogliano uscire dall'anonimato e rivendicare la dignità del lavoro, anche quello dimenticato. Senza le fabbriche aperte, probabilmente, presto gli scaffali dei supermercati rimarrebbero vuoti, «Però non si può ignorare che questi lavoratori non sono messi in condizione di sicurezza» chiosa uno degli operai che stanno protestando «a partire dalle navette aziendali che sono strapiene la mattina fino alla catena di montaggio. Inutile, poi, che dopo il turno, il governo ci vieti di andare in giro. Il danno è già fatto”.

A Terni, il confronto con il colosso delle acciaierie Ast è in corso. Nel pomeriggio di oggi le rappresentanze sindacali, si aspettano un impegno formale dell'ad Massimiliano Burelli di fronte al Prefetto per assicurare la messa in sicurezza del sito industriale. «Qui i lavoratori non vogliono chiudere, ma chiediamo che in due giorni Ast riorganizzi il lavoro e sanifichi gli ambienti. Che è quello che chiediamo da diversi giorni senza che nessuno ci ascolti. Avevamo chiesto le mascherine, ma ci hanno risposto che non c'erano per tutti» racconta Alessandro Rampiconi, segretario generale della Fiom di Terni dove ogni giorno circolano circa 4 mila addetti e che ha fatto già registrare quattro persone in quarantena.

In giorni di emergenza come questi, in cui la Borsa sprofonda e lo spread vola, senza queste fabbriche il Paese rischia di collassare del tutto. Mantenere la produzione al minimo diventa indispensabile per non crollare, perché spesso ci si dimentica che tutta l'economia in fondo parte da questi stabilimenti sparsi per il paese, che rappresentano il primo ingranaggio di del sistema Paese e non si possono ignorare le richieste di questi lavoratori, oggi più che mai.

Così la segretaria della Fiom Cgil, Francesca Re David lancia un appello diffuso a governo e imprenditori: «Chiediamo che si fermi la produzione giusto il tempo di adeguare gli impianti alle nuove regole di sicurezza. Non si può chiamare all'emergenza senza considerare ai luoghi di lavoro e la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici».