«Misurare la temperatura negli aeroporti è una fiera cazzata», dice con eleganza lo psichiatra con la croce rossa sulla giacca. «Chiudere le frontiere e basta. Non c’è alternativa. Bisogna salvare la pelle, lo volete capire sì o no?». Perché Alessandro Meluzzi alla calma ci tiene così come tiene ai suoi telespettatori. Li accudisce, con delicato affetto e se potesse gli scriverebbe anche delle lunghe lettere, per timore di non veder recapitare il suo messaggio amoroso casa per casa. Che a volte si sa, la televisione non basta.
«La peste non esiste diceva Don Ferrante e di peste moriranno tutti i cretini che negano la pericolosità. E non ho niente contro i cinesi, sia chiaro». Chiarissimo, come sempre. Ciò che resta appena velato di oscurità è invece la ragione profonda per la quale il Medico Psichiatra, psicoterapeuta, criminologo, Primate Metropolita della Chiesa Ortodossa Italiana, e come direbbe quel gran genio di Villaggio anche lup. mann, sia stato scelto ancora una volta per farsi portatore insano di ansia condivisa.
Non contento di aver agitato la sua lunga barba su questioni prioritarie nel recente passato quali il poliamore del cantante Pupo, l’annosa questione del matrimonio di Pamela Prati, il no alle moschee e la produzione di bambini in teche di vetro ( che lo sanno tutti che i bambini di cui sopra hanno bisogno non di vetro ma di una mamma e di un papà), il nostro si ostende con piacere sul tema virus adottando la sottile strategia del trapano. Quel metodo retorico secondo il quale ti guardo di sottecchi, sfioro appena gli occhiali appoggiati sul naso, inclino il capo con dolcezza e puntando il dito verso la telecamera straccio, con rispetto s’intende, qualunque briciolo di serenità.
Certo infatti che «La pandemia arriverà», i paesi come l’Italia «sono fottuti», «il medico pietoso fa la piaga verminosa. Ed è quello che accadrà» perché stiamo diventando «un lazzaretto manzoniano», Meluzzi ci tiene a precisare che preferisce mettersi in gioco a costo di sembrare allarmista.
D’altronde il nostro deve pur ritagliarsi il suo spazio d’eccellenza. In una gara al ribasso dell’ospitata, dove il premier Conte si può far dare del tu da Barbara D’Urso «perché presidente ti parlo come una casalinga», se ancora Giletti invita a mantenere la calma offrendo solo dati scientifici e poi dà la parola a Salvini, e dove la figura del virologo informato sui fatti alla fine un po’ stucca è chiaro che il controllo generale sta svaporando come una triste bottiglia di vodka stappata. Resta solo il pedale della catastrofe. E a quello ci pensa il nostro. Per amore s’intende. Ai tempi del corona.