Il gentiluomo del papa, l'ex segretario Udc, l'imprenditore amico: uniti dalla società che gestisce l'Auditorium del Vaticano. Il capo Borrelli si è affidato all'intermediazione di piccole aziende a responsabilità limitata. E ora dice: ditte segnalate da Confindustria

Da questa settimana il dipartimento della Protezione civile non farà più acquisti per difendere gli italiani dal coronavirus. E forse è una buona notizia. Buona sì perché la lobby politica dei grandi eventi di Roma, fatta di piccole srl e amicizie che danno curriculum, ha la sua parte anche in questa tragedia epocale. E se dovessimo valutare i risultati, parla da sola la mancanza di coordinamento e di protezioni per ospedali e cittadini nel primo mese e mezzo di gestione.

Il deus-ex-machina invitato agli appalti si chiama Fabrizio Macchia, 58 anni, amico fraterno e socio in affari del gentiluomo del papa Francesco Carducci, per anni capogruppo laziale dell’Udc, prima ancora assessore ai Grandi eventi del sindaco Francesco Rutelli, consigliere dell’Agenzia per il Giubileo 2000 e poi stampella della maggioranza che sosteneva la presidente regionale Renata Polverini. Insieme, Macchia e Carducci, attraverso la società “I Borghi srl”, hanno in gestione dal Vaticano il grande Auditorium della Conciliazione, al centro delle dimissioni nel settembre 2012 di tutta la giunta Polverini per un finanziamento regionale di un milione e 300 mila euro. Macchia però entra nella società e nel consiglio di amministrazione di Carducci un anno e mezzo dopo, prendendo praticamente il posto del segretario nazionale dell’Unione di centro, Lorenzo Cesa, che verrà eletto al Parlamento europeo.

La gestione dell’emergenza affidata dal capo dipartimento Angelo Borrelli alle piccole società a responsabilità limitata non risparmia nessuno, perché il caos si trascinerà a lungo nel costo e nella qualità delle mascherine che dovremo tutti indossare per far ripartire l’economia. Secondo le regole matematiche di diffusione del virus Sars-Cov-2, ogni mascherina in meno sono due-tre potenziali malati in più: con tutte le conseguenze immaginabili sul rischio di nuovi focolai e sul blocco dell’Italia.

Perfino nei Comuni regna la confusione. I sindaci ricevono ogni giorno inviti a comprare protezioni da distribuire ai cittadini attraverso farmacie e tabaccai. Un esempio sono Confindustria Moda, Cna-Federmoda e Sportello amianto nazionale: promuovono la vendita di confezioni da 5 o 10 mascherine chirurgiche prodotte in Italia al prezzo all’ingrosso di 1,20 euro al pezzo più Iva. Non è certo un’offerta di favore. Il 14 gennaio una scatola di tremila mascherine sanitarie autorizzate dal ministero della Salute costava ancora 64 euro: due centesimi l’una. La proposta di vendita ai Comuni tra l’altro parla di protezioni non certificate: in particolare «mascherine filtranti indicate nell’articolo 16, secondo comma del decreto legge 18 del 17 marzo 2020», cioè quelle «prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio». Nemmeno Confindustria Moda e i suoi partner però sono in grado di garantire la qualità dei prodotti che pubblicizzano: i rappresentanti delle associazioni di categoria sono «completamente estranei al rapporto contrattuale in questione», avvertono nella lettera ai sindaci, «con tutte le conseguenze del caso in termini di adempimento e connessa responsabilità, con particolare riferimento a conformità del prodotto, tempi di consegna, pagamenti».

Una circolare firmata dal direttore generale del ministero della Salute, la 3570 del 18 marzo, legittima infatti la produzione e vendita di mascherine definite filtranti che «non si configurano né come dispositivi medici né come dispositivi di protezione individuale». Ma se non sono Dm o Dpi, come possono proteggere dal virus? Un incredibile via libera alla distribuzione di pericolose protezioni in tessuto non adatto. E un danno economico sicuro per gli imprenditori italiani che in questi giorni, per riconvertire la produzione, hanno invece investito in qualità, certificazione e garanzie di legge.

Il commissario straordinario Domenico Arcuri avrà molto da fare per riportare tutte le forniture sotto la sua sorveglianza. Soltanto in questi giorni ha potuto definire la struttura di controllo: vigilerà anche sull’Ufficio VI Amministrazione-bilancio della Protezione civile che finora ha gestito in proprio gli acquisti e la distribuzione. All’inizio dell’emergenza il capo dipartimento aveva delegato un suo funzionario di fiducia, Pietro Colicchio, assunto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio quando il padre, magistrato della Corte dei conti fino al 2011, controllava la legittimità degli atti della Presidenza del Consiglio. Non era solo Colicchio: faceva parte dell’ultimo gruppo di centocinquanta precari di lusso arruolati a tempo indeterminato senza concorso nel dipartimento dall’allora capo Guido Bertolaso. Non deve stupire. Il 23 marzo in un’intervista a Repubblica, Angelo Borrelli si è definito così: «In quei tempi io sono stato il ministro delle Finanze di Bertolaso, il mio insegnante, e ho gestito miliardi. Non sono mai andato in galera, credo di meritare la fiducia dei cittadini».

In tempi di epidemia, l’attuale capo dipartimento non è mai stato formalmente nominato commissario straordinario dal premier Giuseppe Conte (anche se documenti del ministero della Salute lo definiscono così). Ma Borrelli se ne è legalmente attribuito i poteri con l’ordinanza di Protezione civile numero 630 da lui stesso firmata il 3 febbraio, tre giorni dopo la delibera di Conte sullo stato di emergenza in vista di possibili focolai anche in Italia. Subito all’articolo 1 della sua ordinanza, Borrelli scrive: «Per fronteggiare l’emergenza... il capo dipartimento della Protezione civile assicura il coordinamento degli interventi necessari, avvalendosi del medesimo dipartimento... nonché di soggetti attuatori individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati».

Bertolaso progettava una Protezione civile spa. Oggi vediamo in azione la Protezione civile srl. Uno di questi soggetti privati infatti è proprio Fabrizio Macchia con la sua Apogeo srl, la stessa società con cui condivide gli incassi dell’attività teatrale dell’amico Carducci.

Esclusivo
Il governo si affida a una ditta di gadget e la Protezione civile perde milioni di mascherine
31/3/2020

Il 31 marzo L’Espresso scopre che proprio la decisione di Colicchio e del suo capoufficio di far pagare un grosso fornitore dalla società di Macchia ha fatto perdere a inizio epidemia la fornitura di milioni di mascherine chirurgiche certificate: cinque milioni già pronte in India e altri venti milioni in arrivo dalla Cina che la Protezione civile stava ricevendo grazie alla discreta mediazione del ministero della Sanità di Pechino. Il produttore cinese aveva notato su Internet che la ditta improvvisamente incaricata del pagamento di milioni di euro aveva un capitale sociale di appena 52mila euro, nessuna reputazione sanitaria e una specializzazione nell’importazione di tapiri in plastica, statuine di Batman, cavatappi e altri gadget.

Da documenti e email letti da L’Espresso, Pietro Colicchio e Apogeo dal 3 al 7 marzo non sono in grado di organizzare la spedizione dai magazzini in India. Poi Nuova Delhi blocca le esportazioni di materiale sanitario. Il canale con il produttore cinese e il suo rappresentante rimane comunque aperto fino al 20 marzo. Quel giorno però Simone Campagnola, socio di Fabrizio Macchia in Apogeo, via email cancella l’ordine e mette in copia Colicchio: «Stiamo già comprando a prezzi molto più competitivi», scrive Campagnola al rappresentante del produttore cinese in India, «e non abbiamo bisogno di nessun supporto. La Protezione civile è informata». Curiosa decisione perché la fattura proforma indica per cinque milioni di mascherine certificate a tre veli un prezzo di 34 centesimi l’una: basta paragonarlo oggi al costo unitario di 1,20 euro più Iva offerto da Confindustria ai sindaci per protezioni non garantite.

Alle nostre domande, Angelo Borrelli risponde che Apogeo srl è stata segnalata con altre imprese proprio da Confindustria e che si tratta di uno dei 37 operatori economici che a fine marzo aveva ricevuto dal dipartimento «commesse pari al 9 per cento degli ordinativi totali». Sempre secondo Borrelli, la Protezione civile ha comunque previsto per Apogeo srl compensi fissi di intermediazione.

Da quanto risulta a L’Espresso, almeno due grossi fornitori stranieri sono stati indirizzati alla ditta privata anche quando chiedevano di trattare direttamente con lo Stato. Un recente esposto presentato ai carabinieri della Legione Lazio rivela inoltre che la società di gadget si serve di subfornitori italiani e da loro poi recupera le spese sostenute per conto della Presidenza del Consiglio. Un giro confuso di passaparola che allunga tempi e costi. E che lascia senza risposta la domanda più importante: perché Borrelli, che dalla dichiarazione dello stato di emergenza il 31 gennaio aveva a disposizione ministeri, dipartimenti statali e forze armate, ha schierato per difenderci un esercito di srl?