
È la mezzanotte del 18 marzo quando suona il campanello a casa di Ismet Cigit. «Abbiamo un mandato del procuratore per prelevarla», dice un agenti di polizia a Cigit, che ha 65 anni ed è un veterano del giornalismo turco. Gli agenti gli spiegano che è accusato di “incitamento al panico” per un articolo pubblicato dal giornale che dirige, La Voce di Kocaeli (Kocaeli Ses) in cui si dava notizia di due morti per Covid-19 nell’ospedale di Derince, nord-ovest della Turchia. «La storia è assolutamente vera», dice Cigit. «Non potevano smentirla, ma volevano scoprire le mie fonti».
Dall’inizio della crisi del coronavirus, le autorità turche hanno minimizzato il tasso d’infezione e il numero delle vittime. Per mettere a tacere i critici e dissuaderli dal riferire altro che non sia la versione ufficiale del governo, lo Stato sta ricorrendo a misure repressive.
Il governo turco ha negato che esistessero dei casi di coronavirus fino a metà marzo. Ora il ministro della Sanità pubblica ogni giorno sul suo account Twitter personale il numero ufficiale dei casi e quello dei decessi, ma continua a nascondere altri dettagli, come il luogo dei decessi, l’età delle vittime e se soffrissero di altre patologie. Il più recente comunicato del ministro dichiara l’esistenza di 11.535 casi e 168 decessi.
Neppure i parlamentari sfuggono alla repressione. Lunedì, Remziye Tosun, deputata del Partito democratico del popolo, il filo-curdo Hdp, è stata messa sotto indagine per «incitamento pubblico all’inimicizia, all’odio o all’umiliazione»: aveva chiesto ai suoi elettori di proteggersi e di proteggere le loro famiglie dal virus restando a casa e lavandosi le mani.
Dall’inizio dell’epidemia almeno 410 persone sono state arrestate, alcune con l’accusa di «incitamento pubblico al panico tramite la pubblicazione di materiale provocatorio». Tra queste anche il camionista Malik Baran Yilmaz. Alcuni giorni prima aveva registrato un video sul telefonino nel quale criticava la richiesta del governo ai cittadini di auto isolarsi senza però garantire alcun sostegno finanziario. Yilmaz è stato rilasciato poche ore dopo con l’obbligo di presentarsi agli uffici della polizia ogni settimana e di non lasciare il Paese.
Anche Ismet Cigit è stato rilasciato. Il pubblico ministero ha archiviato il caso. «Abbiamo deciso di stare più attenti, ma siamo giornalisti, e quindi continueremo a parlarne», dice Cigit. «Volevano spaventarci, ma non ha funzionato».
Traduzione di Anna Bissanti