Cellulari ai detenuti. Scarcerazioni per motivi di salute. Pochi agenti specializzati. Così il 41 bis non regge più. E per questo il terremoto ai vertici del Dap era prevedibile

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Un narcotrafficante detenuto a Rebibbia nella sezione “alta sicurezza” in «grave stato di malattia» è andato agli arresti ospedalieri su ordine dei giudici del Tribunale del riesame di Napoli, perché per otto mesi il Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non ha indicato ai magistrati una propria struttura in cui trasferire il detenuto per poterlo curare, evitando la scarcerazione. E così, alla fine, i magistrati hanno consentito il ricovero in un ospedale pubblico.

Nell’ordinanza che motiva la decisione si fa riferimento a «pacifici ritardi», «obiettive omissioni nell’eseguire gli accertamenti diagnostici necessari». Per queste ragioni al tribunale «tenuto conto dell’accertata, in concreto, inadeguatezza delle strutture penitenziarie a trattare correttamente, e in maniera tale da rispettare la dignità del detenuto e a tutelare il suo bene vita» non è rimasto altro, dopo otto mesi in attesa di una riposta che non è mai arrivata dal Dap, di accogliere l’istanza del difensore, facendo ricoverare il narcotrafficante. Di fatto scarcerandolo.

Tutto questo accadeva lo scorso agosto, e a capo del Dap c’era Francesco Basentini, nominato dal Guardasigilli Alfonso Bonafede a giugno del 2018 responsabile di questo dipartimento del ministero della Giustizia, che gestisce circa sessantamila detenuti, ma soprattutto amministra un bilancio di due miliardi e 600 milioni di euro e un corpo di polizia, quella penitenziaria. Si tratta, per usare lo stesso termine scritto dai giudici, di ritardi, «per ragioni rimaste ignote», e per questo il tribunale ha segnalato il caso al Dap per «eventuali profili di rilievo disciplinare».

Non è l’unico caso in cui il Dap è rimasto in silenzio, provocando la scarcerazione di pericolosi “ammalati” che invece avrebbero potuto essere curati in strutture penitenziarie.Lo abbiamo visto più di recente con il caso del camorrista Pasquale Zagaria, quando il 23 aprile scorso i giudici del tribunale di sorveglianza di Sassari hanno deciso il differimento di pena per il camorrista al 41 bis. Zagaria poteva essere curato in strutture sanitarie carcerarie e quindi i magistrati avevano scritto al Dap «se era possibile individuare altra struttura penitenziaria sul territorio nazionale ove effettuare il follow-up diagnostico e terapeutico, ma, come detto, non è pervenuta alcuna risposta, neppure interlocutoria».

A questo punto i giudici del tribunale di Sorveglianza di Sassari hanno ordinato il differimento della pena del boss. E così Zagaria ha salutato il 41 bis. Si è imbarcato da solo sull’aereo, senza scorta a Cagliari, come disposto dal Dap. È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso sulla gestione delle carceri da parte di Basentini, il quale, dopo aver letto l’ordinanza dei giudici che ha messo nero su bianco le mancanze del Dipartimento, ha risposto che il tribunale «è stato costantemente informato delle attività degli uffici dell’Amministrazione penitenziaria per trovare al detenuto Pasquale Zagaria una collocazione compatibile col suo stato di salute», spiegando che «tutti i passaggi che si stavano compiendo sono stati oggetto di comunicazione al tribunale di sorveglianza, con almeno tre messaggi di posta elettronica, l’ultimo dei quali risalente al 23 aprile».

Uno scaricabarile di responsabilità da cui emergono gravi lacune del sistema penitenziario. Il regime differenziato del 41 bis abbandonato a se stesso per mancanza di linee programmatiche del capo Dap, e i telefonini nascosti in moltissime celle dei reparti ad alta sicurezza, ha portato a un allentamento del carcere “impermeabile”.

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Punti critici e mancanze che vengono sottolineati non solo dai giudici, ma anche dai capi distrettuali antimafia riuniti dal procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho alla vigilia dello scorso Natale, che hanno elencato le “gravi criticità” del sistema penitenziario a Francesco Basentini, presente all’incontro. Ad aprire il confronto è stato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, il quale ha fatto presente che il regime di 41 bis in realtà non è mai stato applicato così come previsto dall’ordinamento penitenziario, perché a suo parere, è stato svuotato di contenuto «dalle circolari di coloro che si sono succeduti al vertice del Dap».

Per Gratteri una delle ragioni dell’inefficacia del sistema dipende anche dal vuoto di organico del Gom, il reparto di eccellenza della polizia penitenziaria che si occupa solo dei boss al 41 bis. Mancano almeno 200 agenti e si fatica ogni giorno a controllare i 750 boss. C’è voluta questa riunione per far inserire a Basentini nelle sue linee programmatiche di febbraio 2020 un riferimento al 41 bis e all’alta sicurezza. Alla riunione di dicembre con i procuratori il capo Dap aveva affrontato la questione dei boss al 41 bis «in prossimità del fine pena». Riteneva «incoerente prorogare il regime differenziato (41 bis) nei confronti dei detenuti che di lì a poco saranno totalmente liberi». Proposta bocciata. «Non vi è alcuna ragione per non prorogare fino all’ultimo giorno il regime differenziato», ha subito replicato Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo. Il quale ha poi denunciato «la questione più grave, rappresentata dai cellulari diffusi ormai in tutte le carceri», e condiviso, inoltre, «l’esigenza di rafforzare il Gom sia nell’aspetto numerico che nella preparazione per assicurare un più incisivo controllo dei condannati al 41 bis».

Sull’automaticità delle proroghe anche nei casi di prossimità di scarcerazione Gratteri ha tenuto a ribadire che «i capimafia sono sempre pericolosi e sono pericolosi fino a quando non muoiono». Il capo della procura di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, precisa che «l’intero sistema del 41 bis dovrebbe essere riorganizzato intervenendo subito su alcune criticità che possono essere rapidamente risolte e programmando ulteriori interventi necessari a garantire la funzionalità del sistema. In altri termini, bisogna investire sul contrasto alla criminalità organizzata e dunque sul 41 bis».

Per Bombardieri il controllo dei colloqui in carcere dovrebbe essere riservato solo ad agenti specializzati ed a proposito dell’indebolimento del Gom ha detto: «un tempo rappresentava un’aspirazione per molti agenti della polizia penitenziaria, ora non sembra più così, probabilmente andrebbe rafforzato». Alle parole di Basentini fa seguito anche il procuratore di Messina, Maurizio De Lucia, il quale non crede che si possa mettere in discussione l’importanza del 41 bis, «il problema è rendere effettivo il regime differenziato, in altri termini il problema è la concreta applicazione del 41 bis che deve essere garantita».

Perché dunque in questi anni non lo è stato? Ritornando ai telefonini cellulari diffusi nelle sezioni dei detenuti di “alta sicurezza”, e in un caso anche al 41 bis, De Lucia ritiene «gravissima la diffusione dei cellulari nel carcere» e afferma che bisogna necessariamente trovare una soluzione al problema. Il fenomeno in alcuni casi è ancor più grave: «Pur sapendo della presenza di telefoni questi non vengono trovati all’esito di perquisizioni. Anche questo va risolto». Il capo dei pm messinesi fa riferimento al fatto che nelle intercettazioni sono emerse conversazioni fra chi sta in carcere e chi fuori, ma i controlli effettuati in cella non hanno portato a ritrovare i telefoni. Un punto importante lo tocca il procuratore di Napoli Giovanni Melillo, il quale sottolinea che «il vero problema è rappresentato dal controllo mafioso che permea gran parte degli aspetti della vita penitenziaria, ove si praticano costanti esercizi di supremazia criminale».

Sui boss che ottengono la scarcerazione per motivi di salute, il procuratore aggiunto di Catania, Giuseppe Puleio, descrive le scene di giubilo registrate in città degli affiliati al clan Santapaola, quando hanno appreso del ricovero del loro capomafia, tanto da festeggiare l’evento.

Cafiero de Raho ha ricordato di aver partecipato circa dieci anni fa ad una riunione simile in cui si segnalava da parte del Dap il numero eccessivo dei detenuti al 41 bis, sollecitandone la riduzione e venivano rappresentate «le difficoltà a rendere efficace il sistema a causa del numero inadeguato delle carceri idonee ad accogliere questi detenuti». A distanza di anni, secondo il procuratore nazionale, «le criticità sono le stesse». «Anzi sembrano peggiorate. Infatti, pur limitando questo regime ai vertici delle organizzazioni mafiose, il numero dei detenuti al 41 bis è elevato perché è elevato il numero delle associazioni mafiose, camorristiche, ’ndranghetistiche che operano sul territorio», spiega de Raho, il quale suggerisce a Basentini che la soluzione del problema «non può certo essere la riduzione dei detenuti al 41 bis ma la previsione di altre carceri. Non è il sistema che va messo in discussione, è l’applicazione del sistema che non funziona e su questo bisogna intervenire. È evidente l’esigenza di nuove risorse materiali ed umane per garantire l’efficacia del regime carcerario».

Ma le criticità sono rimaste irrisolte. Nelle scorse settimane Basentini ha lasciato la guida del Dap. La sua poltrona aveva cominciato a traballare subito dopo la rivolta nelle carceri, scoppiata dopo lo stop dei colloqui dei detenuti con i familiari per l’emergenza Covid-19, e che ha visto 13 morti tra i reclusi, un’evasione di una settantina dal penitenziario di Foggia e danni alle strutture di mezza Italia per 20 milioni di euro. Poi un nuovo forte scossone è arrivato dalla vicenda delle scarcerazioni dei mafiosi, sia in regime di 41 bis, sia di “alta sicurezza”, che hanno lasciato il carcere per motivi di salute, disposte dai magistrati di sorveglianza, dopo una circolare del Dap che invitava i direttori delle carceri a segnalare ai giudici i detenuti con gravi patologie e gli over settantenni. Così, dopo essere diventato bersaglio di accuse da diverse parti, soprattutto per il caso dei domiciliari concessi a Zagaria, il ministro Bonafede ha accolto le sue dimissioni.

Al suo posto si è insediato Dino Petralia, magistrato di lunga esperienza nel contrasto alla criminalità organizzata in Sicilia e nelle indagini sui patrimoni mafiosi. Il nuovo capo eredita una situazione delle carceri frastagliata che deve essere ben ricomposta. Una gestione da risanare. Tutto avviene all’indomani dell’emorragia di scarcerazioni di criminali il cui ritorno sul territorio ha segnato un vantaggio per le mafie. Fermo restando che va sempre tutelata la salute di tutti, occorre ricordare che anche solo un gesto, un piccolo movimento, nel linguaggio usato dai boss conta molto.

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