Al mega incontro convocato da Conte per rilanciare il governo manca all’appello la generazione più colpita dalla crisi economica e gli italiani discriminati di seconda generazione. L’occasione per un grande cambiamento sta per essere di nuovo mancata. E torna ad allargarsi la distanza fra la politica e la società civile

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«Come presidente del Consiglio non scavalco nessuno», ha detto il Giuseppe Conte alla vigilia della convocazione degli Stati Generali, l’appuntamento più importante della sua stagione a Palazzo Chigi. Operazione ascolto del Paese: maggioranza, opposizione, parti sociali, istituzioni europee, associazioni di categoria. E poi imprese, terzo settore, volontariato. Al centro lui, il premier che non scavalca perché, è il sottinteso, è in alto, al vertice, chi potrebbe d’altra parte scavalcare se più in alto di Conte nessuno mai? Sono i segnali di una stagione terminata, l’emergenza covid che ha assegnato a chi guidava il governo un compito senza precedenti, chiudere l’economia e la produzione nazionale e poi riaprire, ridisegnare perfino i confini dei rapporti personali e inter-personali. È tornata da settimane la politica, con i suoi riti e le sue azioni di disturbo. I venti di crisi, i distinguo, il Pd di Nicola Zingaretti che reclama il salto di qualità, il Movimento 5 Stelle che stenta a ricucire le anime perse dei suoi dirigenti. L’opposizione di centro-destra spaccata, una babele di voci dissonanti in cui Silvio Berlusconi ha scelto per sé il ruolo di vecchio capo indiano saggio e dialogante. Di nuovo, soprattutto, si allarga il fossato più tipico della vicenda nazionale, quello tra il Paese legale e il Paese reale.

Zingaretti ha utilizzato l’immagine dell’Italietta, che poi era l’insulto ideato dal fascismo per indicare i suoi oppositori. Più che da Italietta è da sistema che non trova il suo centro lo spettacolo delle ultime settimane. Al proliferare dei comitati della fase emergenziale è seguita la moltiplicazione dei rapporti e delle soluzioni. Il piano di Vittorio Colao e degli altri componenti del comitato parla di semplificazione amministrativa, di superamento del codice degli appalti, di transizione energetica, di economia circolare, di diritto alla formazione permanente, ma anche di sostegno alla disabilità e della necessità di aumentare il numero degli asili nido. In molte delle 102 proposte si sente l’eco dell’impegno e delle idee di alcuni studiosi che hanno partecipato al comitato Colao. Per esempio, il professor Enrico Giovannini che presiede l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile e che monitora le azioni nel nostro Paese in vista della realizzazione dell’Agenda 2030 dell’Onu. O il fisico Roberto Cingolani, ex direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia da lui fondato. Prima dell’epidemia aveva pubblicato con Luca Carra e con l’epidemiologo Paolo Vineis un libro (Prevenire, Einaudi) in cui aveva chiesto una tecnopolitica basata sulla prevenzione e «un nuovo, pacifico, internazionalismo». Ovvero una visione globale, dentro un sistema politico solido e un quadro internazionale di collaborazione tra diversi paesi e istituzioni, a partire da quelle europee.

Il dopo-covid che doveva renderci tutti migliori ci fotografa in una condizione molto diversa. L’Europa si è mossa grazie all’azione politica della Germania e della cancelliera Angela Merkel, una svolta simile a quella operata trent’anni fa dal suo maestro Helmut Kohl all’indomani della caduta del muro di Berlino. Se tutto cambia, bisogna cambiare tutto, l’opposto della filosofia del Gattopardo, ma anche della sua traduzione in Cina di cui parla a volte Romano Prodi: per non cambiare nulla, ovvero il potere del Partito e dei suoi autocrati, bisogna cambiare tutto, nell’economia e nella società. In Italia, invece, c’è l’impossibilità di affrontare le debolezze strutturali del sistema, altro che il taglio dei parlamentari.

L’assenza di rappresentanza politica e di selezione di una classe dirigente degna di questo nome portano a sminuzzare i problemi in una miriade di proposte magari degne e funzionali, ottimi e ragionevoli propositi che però sembrano perdere di vista l’insieme. Mentre resta senza risposta l’esigenza di riscrivere un nuovo Patto tra politica e società.

Gli Stati Generali arrivano in un momento di fragilità politica e di lontananza dalla società, che è cosa ben diversa dal distanziamento sociale dei giorni del lockdown. C’è una generazione che manca all’appello, nel concilio ecumenico convocato da Conte a Villa Pamphili. Sono i trentenni, nati a cavallo della fine del secolo scorso, con un destino storicamente infelice, la generazione ferita dalla recessione mondiale del 2008 e ora la più a rischio con gli effetti economici del dopo-covid. 

«Dire che sui giovani adulti ci giochiamo il futuro del Paese non è una frase ad effetto. Piuttosto significa rendersi conto che dalla capacità occupazione dell’attuale generazione di trentenni dipenderà la stabilità del debito pubblico e la sostenibilità del sistema di welfare: pensioni, sanità, assistenza sociale», spiega il direttore del Censis Massimiliano Valerii. «In questo periodo, ho pensato spesso a una frase di Sandro Pertini: “non ci può essere libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà”. Mi sono chiesta: a che punto siamo con libertà e giustizia sociale, oggi, in Italia? Non riesco a vedere né libertà né giustizia sociale: intorno a me vedo solo precari», ha scritto Maria Valentina Balestra in una lettera aperta sull'Espresso alle Istituzioni italiane. È solo l’ultima lettera che si aggiunge alla protesta, per ora civilissima, degli ottocentomila, o addirittura un milione, che non avevano ancora ricevuto la cassa integrazione all’inizio di giugno.

C’è anche un’altra Italia che non è stata convocata. L’Italia di seconda generazione che è scesa in piazza nell’ultimo fine settimana per solidarietà con gli afroamericani dopo l’omicidio di George Floyd. Un’Italia alternativa ai raduni fascistoidi, che hanno provato a far parlare di sé cavalcando il disagio sociale. Un’Italia che difende i diritti di tutti, con il proprio corpo, a dignità del lavoro, la diversità di origine e l’uguaglianza di destino. Un’Italia repubblicana e costituzionale, come ha dimostrato Stella Jean, stilista italo-haitiana, quando ha letto al microfono l’articolo tre della Costituzione sull’uguaglianza, senza distinzioni di razza, genere, condizioni sociali e personali. L’Italia dei diritti negati, dalla legge sulla cittadinanza e lo jus culturae all’abolizione dei decreti sicurezza di Salvini e della legge Bossi-Fini, ormai decrepita ma ancora in vigore. L’Italia rappresentata da Gloria Napolitano, Leaticia Ouedraogo, Djarah Kan, Lucia Ghebreghiorges, come raccontiamo sull'Espresso.

Generazioni diverse, unite nella stessa condizione: l’assenza di rappresentanza politica che le accomuna ai lavoratori che rischiano il licenziamento in queste settimane. Emergenza sociale, diritti civili calpestati e afasia politica si tengono insieme. E tra i diritti ce n’è uno importantissimo e dimenticato, quello alla verità e alla giustizia, tenuto vivo da Paola e Claudio Regeni, in memoria del figlio Giulio.