Ma anche con padre Puglisi e Dino Frisullo, due studenti, un minatore. E Alessandro Manzoni. L’ex sindaco del comune calabrese racconta chi ha ispirato la sua battaglia per l'accoglienza dei migranti

«Siamo ciò che incontriamo...» È una frase bellissima, uno dei tanti regali che ho ricevuto da padre Alex Zanotelli.

Siamo ciò che incontriamo. Padre Alex ha ragione: siamo i racconti degli altri, i ricordi degli altri, ma anche le esperienze condivise, gli esempi apprezzati, le influenze più o meno lampanti. Ogni persona che incontriamo sul nostro cammino può lasciare un segno, può cambiare la nostra vita. Tutti noi siamo legati da un filo di umanità, condividiamo la stessa terra, ci scaldiamo allo stesso sole. Nella vita ho incontrato persone speciali, anche solo fugacemente, e a ognuna di loro devo qualcosa. Che sia un’iniezione di fiducia, un gesto d’affetto o solidarietà, uno scambio di idee o un confronto di ideali.

Ad alcuni devo il mio stesso essere, la mia formazione. Mia madre mi ha insegnato a non avere pregiudizi, a essere una persona libera, completamente, e a rispettare e amare le persone più deboli e povere. Anche mio padre, per quanto io e lui rimaniamo diversi, mi ha insegnato tanto, forse soprattutto grazie alle nostre contrapposizioni, all’affetto che aveva per me, per la vita, per il mondo.

C’è, in questo percorso, una persona di cui parlo raramente. Era mio cugino e si chiamava come mio nonno paterno, come mio fratello, Giuseppe. Tutti lo chiamavamo Peppino. Era uno dei tanti che avevano abbandonato Riace e aveva trovato la sua nuova strada a Biella. Di tanto in tanto, soprattutto d’estate, tornava in Calabria, a far visita ai parenti e agli amici. Aveva una predilezione per me e io per lui, e lo ascoltavo incantato quando mi raccontava dei suoi ideali anarchici. Fu lui a farmi conoscere gli Inti Illimani, accompagnandomi allo stadio di Catanzaro per lo storico concerto del 22 luglio 1976 organizzato dal Partito comunista. Un’esperienza che impose una svolta alla mia vita, aprendomi gli occhi su quello che succedeva in Sud America e accendendo il mio interesse per la rivoluzione popolare di Salvador Allende in Cile e l’internazionalismo. (…) In una di quelle estati, (...) mi disse: «Il vero regalo della sinistra non è legato all’atteggiamento materialistico o economico, ma prima di tutto all’altruismo, all’umanità».

Sono piccoli gesti, perché noi siamo quelli che incontriamo e gli altri sono anche noi, con i nostri gesti. Che sia regalare il mio panino sul treno per Genova a due giovani che chiedono l’elemosina, sotto gli occhi stupiti delle mie figlie, o da sindaco firmare una carta d’identità che può salvare la vita di un bambino. Noi siamo gli altri, gli altri sono noi, e un gesto di gentilezza può rendere tutto questo più vero, può rendere tutti noi più vicini. Un segno indelebile in questo mio percorso lo ha lasciato Dino Frisullo, originario di Foggia ma cresciuto a Bari. Giornalista e attivista pacifista, ha militato in Democrazia proletaria ed è una di quelle figure da studiare e ammirare per le sue lotte pacifiste, ambientaliste, per i diritti dei migranti.

A Dino devo gli strumenti mentali per comprendere la causa curda. Diceva: «Non possiamo limitarci solo a essere oppure a non essere d’accordo, ma dobbiamo anche, in qualche misura, fare come loro. Dobbiamo agire». Nel 1998, con una delegazione di pacifisti, giornalisti e simpatizzanti viaggiò fino a Diyarba-kir, in Turchia, per festeggiare con la comunità curda e con il Partito dei lavoratori il loro capodanno, la festa del Nawruz. I festeggiamenti si trasformarono presto in una marcia di protesta contro i diritti negati, le ingiustizie, i massacri subiti.

La polizia turca intervenne disperdendo il corteo a colpi di manganello su uomini, donne e bambini, e arrestando circa cento manifestanti, tra cui Dino e due studenti partiti insieme a lui, Giulia Chiarini e Marcello Musto. I due ragazzi furono scagionati dopo un paio di giorni, lui rimase in carcere per oltre quaranta giorni e infine venne espulso dalla Turchia il 16 giugno, dopo le timide pressioni del Parlamento europeo e del governo italiano, con una condanna sospesa a un anno di reclusione e a una multa di sei miliardi di lire turche. In carcere ha subìto pressioni e torture e ha assistito a quelle a cui vengono sottoposti gli altri detenuti, fisiche e psicologiche, con semplici detenuti comuni in attesa da anni di giudizio perché non confessano di essere oppositori del regime. Ci ha lasciati nel 2003 per un male incurabile, dopo una vita dedicata al prossimo. Non c’è giorno che non senta la sua mancanza.

Altri incontri fondanti del mio percorso li ho fatti sulla carta. Michail Bakunin, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-Paul Sartre, i fautori del pensiero anarchico, e poi Pasolini del Vangelo secondo Matteo, Franco Basaglia, gli scritti e le poesie di Peppino Impastato, il percorso di padre Pino Puglisi, i teologi della Liberazione, come Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Camilo Torres, Pedro Casaldáliga, che diceva «il socialismo può essere cristiano, il capitalismo e il neoliberismo no».

Da adolescente trovavo i libri dove capitava, perché a Riace non c’erano una libreria né una biblioteca. A scuola sono stato fortunato: il mio professore di Lettere mi fece innamorare dei Promessi Sposi. Per due anni mi sono appassionato a quella lettura, che mi dava la possibilità di capire la società. Ne comprendevo l’incredibile attualità e ancora oggi riconosco in quella magnifica storia la coscienza di classe, la lotta dei deboli contro i potenti. (...)

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Riace è stata un crocevia di incontri. Quante persone straordinarie ho conosciuto in tutti questi anni, ognuno ha messo le mani, ha contribuito a dilatare gli orizzonti. Un’esperienza locale è diventata globale. L’idea di recuperare le vecchie cantine abbandonate “Katoji” della Riace rurale per farle diventare laboratori dell’artigianato etnico, luoghi di incontri e contaminazioni culturali, è stata di Maria Ripamonti, una donna del Nord Italia. Fu lei a ideare il laboratorio della ceramica e a fare diventare un ragazzo afghano, Issà, “il vasaio di Kabul”.

Quando eravamo ragazzi, a casa nostra veniva spesso un ragazzo, si chiamava anche lui Domenico, “Mimmo”, ed era uno dei migliori amici di mio fratello. Suo padre da giovane aveva lasciato la Locride per andare a lavorare in Valle d’Aosta come minatore ed era rimasto intossicato dalle polveri sottili. A causa del suo lavoro aveva contratto la silicosi, la “malattia dei minatori”, terribile e irreversibile, ed era tornato a Riace per quelli che sarebbero stati i suoi ultimi mesi di vita. Un triste giorno di inverno quell’uomo morì a causa di una malattia che sembra appartenere a un altro secolo. (..) Quel giorno ho avuto la consapevolezza di cosa significhi un dramma che ha la sua genesi dentro la società.

In questa carrellata di persone che ho incontrato nel mio cammino, non posso non citare Wim Wenders. Nel 2010 il regista di Il cielo sopra Berlino ha dedicato a Riace un film: Il volo. Ha visitato più volte il paese per costruire una versione immaginifica e cinematografica, mescolandola alle interviste. Ricordo con simpatia quando venne coinvolto in una tarantella insieme ai rifugiati iracheni e palestinesi nella piazza principale della cittadina.

Durante un summit di premi Nobel per la Pace a Berlino, Wenders dichiarò: «Ho visto un paese capace di risolvere, attraverso l’accoglienza, non tanto il problema dei rifugiati, ma il proprio problema: quello di continuare a esistere, di non morire a causa dello spopolamento e dell’immigrazione. Questa storia deve farci riflettere su come sia possibile far convergere l’obiettivo dell’accoglienza con quello dello sviluppo locale. La vera utopia non è la caduta del muro, ma quello che è stato realizzato in alcuni paesi della Calabria, Riace in testa».

Il testo è un estratto dal libro "Il fuorilegge. La lunga battaglia di un uomo solo" di Mimmo Lucano con Marco Rizzo, in uscita il 27 agosto (Feltrinelli, pp. 192, € 15). Lucano sarà il 19 settembre a Milano, in dialogo con Aboubakar Soumahoro, per l'iniziativa "About a City - A Human Place" della Fondazione Feltrinelli.