Lombardia, Marche, Sardegna, Sicilia. Si moltiplicano le esperienze di ripopolamento dei piccoli centri. Grazie a imprenditori e amministratori locali. Che trovano nell'emergenza Covid nuove opportunità

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Si chiama SmartOltrepò ed è il primo coworking, dotato di postazioni digitali, call room e connessione veloce creato a inizio estate nell’Oltrepò Pavese. Nasce per accogliere giovani professionisti e convincerli a restare a vivere lì, fra colline, vigneti e boschi dell’Appennino Lombardo, terra selvaggia segnata dall’invecchiamento della popolazione e dalla fuga di giovani e famiglie, in cerca di servizi e carriera.

Dall’altra parte d’Italia, lo startupper Andrea Severino, fondatore di Healthy Virtuoso, un’app pluripremiata da 700mila euro di finanziamenti, posta su LinkedIn il mare di Sardegna e rilancia: «Ti piacerebbe lavorare in un posto così? Healthy Virtuoso cerca giovani professionisti ai quali offrire, oltre allo stipendio, una vita a Cagliari dove si può fare il bagno in pausa pranzo». Severino, dopo aver studiato e lavorato fra Londra e Milano, nel 2018 ha deciso di tornare a Cagliari per aprire Healthy Virtuoso: il business è in espansione, ma servono talenti.

Il filo rosso che collega il coworking lombardo all’offerta sarda (e a molte altre storie simili) è l’effetto Covid-19. Vale a dire la convinzione di amministratori locali e imprenditori illuminati che le persone, dopo aver sperimentato il lavoro da remoto e aver preso le distanze dalla vita caotica delle città, siano in cerca di nuove soluzioni sostenibili, come spiega a pagina 48 Giovanni Carrosio, sociologo dell’ambiente e docente all’Università di Trieste. La domanda è se il Covid-19 sarà l’inizio di un nuovo Medioevo, come lo erano stati gli Unni per l’Impero Romano.
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Questo potrebbe rilanciare il Meridione e le aree marginali, le cosiddette aree interne, ed è proprio il ministro del Sud, Giuseppe Provenzano a spingere in tale direzione, rilanciando i progetti di insediamento industriale in queste zone, facendo leva sulle già forti “piattaforme di atterraggio” delle aree interne: si tratta di 72 zone scarsamente popolate in cui è stato individuato un sindaco capofila, unificati servizi importanti, ridisegnate le politiche per scuola, mobilità, salute, welfare e predisposto tutto il necessario per le azioni di promozione delle imprese. Insomma, sono zone in cui viene srotolato un tappeto rosso a fronte di posti di lavoro e investimenti da parte di aziende interessate a espandersi in quelle aree.

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Ma da sola la strategia non basta: «Serve un piano strutturato, coordinato dall’azione politica», spiega all’Espresso l’economista della London School of Economics, Andres Rodriguez-Pose: «La cicatrice psicologica lasciata dalla pandemia, la consapevolezza di poter fare acquisti online e di poter lavorare da remoto più giorni a settimana, l’urgenza di aumentare il proprio spazio vitale riducono allo stretto necessario le occasioni di trascorrere tempo in città. Nel breve periodo questo porterà a uno svuotamento delle metropoli a favore dei sobborghi, abbattendo il costo delle abitazioni centrali e impoverendo il commercio cittadino». Un’analisi condivisa da Luca Dondi Dall’Orologio, amministratore delegato della società di consulenza Nomisma che, in base agli ultimi dati dell’Osservatorio Immobiliare, spiega: «Nella seconda metà dell’anno ci attendiamo un contenimento degli spazi aziendali per ridurre le spese di gestione e rispondere a una maggiore esigenza di turnazione e lavoro da remoto».
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Anche l’immobiliarista Manfredi Catella, capo di Coima, società che ha ridisegnato lo skyline di Milano, è convinto che il modello urbano cambierà: «Più centrato sulla vita di quartiere, allontanandoci dallo sviluppo iconico di singoli edifici. Cessa il mantra di una migrazione irreversibile verso le grandi città, l’attenzione viene ora riportata alla creazione di quartieri resilienti, inclusivi, tecnologici, a basso impatto ambientale. È un modello che l’Italia conosce bene perché il nostro paese è fondato su quartieri, borgate e borghi che si autoalimentano e possono sopravvivere in modo sano e sicuro».

Ma il passaggio non sarà indolore. Nel breve termine il vero tema non sarà il lavoro da casa o da ufficio, ma il lavoro in sé. La liquidità straordinaria del Recovery Fund deve essere spesa per l’industria e per il rilancio delle attività produttive. Altrimenti? È ancora Rodriguez-Pose a disegnare uno scenario a tinte fosche, fatto di degrado urbano, riduzione dei posti di lavoro, specialmente della classe media: «Per impedire che ciò avvenga è indispensabile attivare le opportunità di formazione nelle aree provinciali, promuovendo la crescita di skill e qualifiche da parte di poli universitari dinamici, come negli Stati Uniti è avvenuto ad Austin, Minneapolis, Boise nell’Idaho, Aspen», tutte città che hanno invertito la tendenza allo spopolamento, puntando sulle università locali e sulla presenza di istituzioni al servizio di nuove imprese, che hanno attratto giovani. Anche in Italia gli esempi non mancano.

Su tutti, il più noto è Luxottica, che ad Agordo e Sedico, nel bellunese, ai piedi delle Dolomiti, ha il suo quartier generale, dove c’è il centro ricerca e sviluppo, nonché tutte le soluzioni tecnologicamente più avanzate nel settore dell’eyewear, automazione, robotica, digitale, design: «Qui non c’è la città, non c’è Milano e New York, ma c’è la storia che si sposa con l’innovazione più avanzata e soprattutto la natura e il rispetto del territorio. Per i millennial, una generazione che sta facendo della sostenibilità una scelta prioritaria, il lavoro ai piedi delle Dolomiti è spesso un valore aggiunto, senza rinunciare ad avere uno sguardo connesso con il mondo e rivolto al futuro», spiega Piergiorgio Angeli, direttore Risorse Umane del gruppo. Sono ottomila i lavoratori Luxottica del bellunese, metà degli “indiretti” ha meno di 40 anni, due terzi sono ingegneri, designer, laureati in Economia, provenienti da tutto il mondo.
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Nelle Marche l’esperimento di attrazione di giovani talenti è portato avanti dall’imprenditore Enrico Loccioni a capo dell’omonima impresa di sviluppo di sistemi automatici di misura e controllo, 120 milioni di fatturato, 450 collaboratori, il 50 per cento laureati, età media 34 anni. Si sta occupando della riqualifica di Valle San Clemente, in partnership con amministrazione pubblica, per creare lavoro grazie all’agricoltura hitech, la scienza dei dati, la robotica, i sistemi interconnessi, l’internet delle cose, il nuovo artigianato digitale, la sostenibilità e la qualità della vita: «Tutte tecnologie che si stanno sviluppando in questa valle. Stiamo contribuendo alla ristrutturazione dell’Abbazia di Sant’Urbano che torna a essere, come in epoca benedettina, nodo di saperi e conoscenze», spiega l’imprenditore, che prosegue: «È possibile ridare vita a questi luoghi grazie al lavoro di giovani ricercatori, agronomi, softwaristi, territorialisti, designer italiani e stranieri, che qui seguono progetti di innovazione e sviluppo. Qui stanno nascendo residenze formative, luoghi di ricerca e innovazione per offrire nuovi sguardi sul futuro». Nei prossimi cinque anni, secondo l’imprenditore, le aree interne italiane potrebbero tornare ad essere centro di interesse culturale ed economico a patto che «le università trovino nuova spinta all’innovazione e i giovani siano incentivati a diventare imprenditori. Un percorso fattibile sfruttando i nuovi capitali a disposizione dell’Italia».

Scendendo verso Sud, il terzo caso di successo dove un’impresa ha attecchito in un territorio complesso, creando un indotto favorevole all’innovazione è quello di StMicroelectronics, multinazionale dei semiconduttori, partecipata dai governi di Italia e Francia, che a Catania ha il centro SiC, unico al mondo per lo studio, la ricerca e la produzione del carburo di silicio, la tecnologia dell’elettronica del futuro. Il materiale e le sue applicazioni sono state studiate dai ricercatori dell’Università di Catania e dal Cnr insieme a St, che qui ha creato un sistema di open innovation e ne ha fatto il fulcro mondiale, una sorta di Silicon Valley dei semiconduttori.

Nonostante le facoltà di Fisica, Ingegneria Elettronica e Informatica siano un’eccellenza, molti giovani, terminata la laurea triennale, scelgono di concludere gli studi altrove, e il rischio è che «queste università ubiscano un doloroso ridimensionamento proprio in discipline che sono ricercatissime a livello mondiale», spiega Lucio Colombo, direttore di St Italia. La società, nel tentativo di invertire la rotta e attrarre cervelli in fuga, ha da poco creato a Catania la sua prima digital fab sui big data. «Ma serve di più», continua il manager: «St può essere una delle possibilità, non l’unica, servono prospettive di lavoro sul territorio. Perché ciò avvenga bisogna migliorare le infrastrutture, sburocratizzare il sistema della pubblica amministrazione e reintrodurre incentivi agli investimenti delle imprese, come lo è stato l’iper e il super ammortamento per l’innovazione 4.0», che è stato un traino sia per le imprese italiane, sia per quelle straniere che in quel periodo sono tornate a scommettere sull’Italia.

Come spiega Andrea Filippetti, ricercatore del Cnr su Sistemi federali, regionali e autonomie, «la politica ha un’occasione per immaginare una nuova normalità in cui la crescita iperbolica dei grandi centri urbani sia riorientata verso centri di conoscenza intermedi, luoghi di interazione, diffusione della conoscenza e generatori di innovazione che siano al contempo sostenibili nel nuovo mondo post covid. In questo senso l’Italia è già attrezzata, potendo contare su una rete di città che tradizionalmente, sin dall’era dei Comuni, hanno avuto un ruolo di attrattori locali. Un paese a trazione diffusa sarebbe più resiliente rispetto a crisi pandemiche e potrebbe generare un percorso di sviluppo più sostenibile».

E puntare sull’Italia del Sud potrebbe essere interessante per molti imprenditori dal momento che «qui il costo del lavoro intellettuale è inferiore del 20 per cento rispetto al Nord, paragonabile a quello di Cina e Singapore, garantendo però la qualità formativa di eccellenti università, fra cui Napoli, Catania, Palermo, Bari, che non hanno nulla da invidiare alle università Usa», racconta Pasquale Pistorio, ex amministratore delegato di St, che ha avuto il merito di attivare i poli di Catania e Napoli della società e consentito la nascita della più grande multinazionale europea dei semiconduttori. «Perché il Sud possa attivarsi e svilupparsi verso l’economia della conoscenza servono quelle riforme che tutti attendono: cablatura con fibra ottica dell’intero paese, sburocratizzazione dell’amministrazione pubblica, tempi certi della giustizia, lotta all’evasione fiscale e alla corruzione. Non sono gli incentivi a pioggia alle aziende che faranno decollare il Sud, ma le riforme strutturali». Ma bisogna fare in fretta, perché - avverte Pistorio - se non saranno realizzate entro i prossimi cinque anni, il gap che si è creato tra il Centro Sud del Paese e il resto d’Europa non potrà mai più essere colmato.