Il palazzo dei finanziatori di Vladimir Putin. Il rustico dell'oligarca sovranista. La dimora di lusso venduta da Veronica Lario al re della vodka. La casa da sogno del patron del Chelsea. I miliardari di Mosca sbarcano in Italia con le offshore sotto accusa

Roman Abramovic
Tre anni fa, in Piemonte, lo hanno sentito cantare a squarciagola «Volare», in italiano: lui, un miliardario russo nato a Menzelinsk, nel Tatarstan, a più di mille chilometri da Mosca. Era piena estate e a Canelli, patria dello spumante, e Roustam Tariko stava per aprire l’assemblea della Gancia, l’azienda rilevata nel 2011, quando era in crisi, per cento milioni di euro. Una riunione-happening per convincere 500 viticoltori a fidarsi di lui, a conferire le uve alla sua società.

Tariko è un oligarca russo con un patrimonio personale di oltre un miliardo. Ama molto l’Italia, dove possiede anche una villa di lusso in Sardegna, cedutagli da Veronica Lario, l’ex moglie di Silvio Berlusconi. La sua scalata al successo inizia quarant’anni fa, quando importa nell’allora Unione Sovietica cioccolatini Ferrero e vermouth Martini. Nel 1998 immette sul mercato russo una vodka di fascia alta, la Russian Standard. L’anno dopo fonda una banca omonima, Russian Standard Bank, che diventa leader nel credito al consumo. Nel 2014 salva dal fallimento la polacca Cedc, tra i più grandi produttori del superalcolico. Da allora è “il re della vodka”. Ambizioso. Accattivante. Anfitrione di una memorabile festa a New York, nel 2006, per lanciare una nuova vodka battezzata Imperia in omaggio all’impero russo, come spiega lui stesso. Un party con mille ospiti sotto la statua della Libertà, con musiche di Rachmaninoff e Tchaikovsky eseguite da un’orchestra, che portò il Financial Times a definirlo «il miglior miliardario da avere a una festa».

Il suo nome ora compare nei Fincen Files, i documenti riservati del Tesoro americano sui trasferimenti bancari considerati sospetti: bonifici per circa 25 milioni di dollari, che le centrali anti-riciclaggio collegano a Tariko e alla sua banca. Una di queste segnalazioni, per 1,7 milioni, riguarda i suoi rapporti, finora sconosciuti, con personaggi vicini a Vladimir Putin. Come Maxim Liksutov, vicesindaco di Mosca e uomo d’affari. E la sua ex moglie, Tatjana Liksutova, una bellissima ex modella estone. Insieme, controllavano la principale impresa di trasporti del paese baltico, Transgroup, che dopo il divorzio è rimasta interamente a lei. Oggi Tatjana è una delle donne più ricche dell’Estonia. Mentre Liksutov è accreditato di un patrimonio da mezzo miliardo di dollari. La coppia d’oro ha immobili anche in Italia, sulla riviera ligure: tre ville a Bordighera, ora tutte intestate a Tatjana. La più grande è di 520 metri quadrati, secondo i dati catastali, con parco, piscina e garage privato. E confina con le altre due residenze di prestigio, da 129 e 163 metri quadrati.
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A Punta Volpe, in una zona spettacolare della Sardegna, Roustam Tariko si è preso Villa Minerva. Al rogito, formalizzato a Milano il 6 maggio 2004, si presentano il magnate russo e Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, moglie dell’allora capo del governo. A vendere è la società Minerva Finanziaria: 99 per cento di Veronica, un per cento di Silvio. La signora incassa 15,5 milioni di euro, Berlusconi 155 mila. Il contratto, 118 pagine, descrive tutti i dettagli della villa di 817 metri quadrati, 25 vani, 8 camere da letto, garage, piscina, verande e seminterrato, compresi gli arredi: dalle «pareti in legno intarsiato» ai «41 paralumi in pergamena bianca».

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A ratificare l’accordo, è proprio lui, Roustam Tariko, nato il 17 marzo 1962. Il re della vodka però non acquista come persona fisica: sigla l’atto come rappresentante di una società offshore, E&A Estates, con sede nelle Isole Vergini Britanniche, domiciliata nella casella postale di una fiduciaria. A gestirla è un manager giamaicano, che però vive a Cipro. Ubriacante.

Contattato dall’Espresso, Tariko assicura di aver sempre operato nella legalità e che la sua banca «rispetta un rigoroso codice anti-riciclaggio», facendo notare che «è soggetta a regole che vietano di parlare delle transazioni di singoli clienti». Dal vicesindaco di Mosca e dalla sua ex moglie, per adesso, nessuna risposta. Finora s’ignorava che il re della vodka avesse avuto relazioni finanziarie, tramite società offshore e banche private, con persone così vicine a Berlusconi e a Putin.

Arkady e Boris Rotenberg sono due miliardari legatissimi al presidente russo. Fanno parte della cerchia degli intimi di San Pietroburgo, dove Putin iniziò la sua carriera politica dopo il servizio nel Kgb. Come altri oligarchi, i fratelli Rotenberg hanno accumulato enormi ricchezze acquisendo società statali privatizzate dopo il crollo dell’Urss: appalti per i colossi del gas e petrolio, costruzioni, autostrade, banche. L’inchiesta giornalistica Panama Papers, nel 2016, svelò una loro rete di offshore, utilizzate per muovere soldi nei paradisi fiscali, ma anche per finanziare il più grande amico di Putin, il violoncellista Sergej Roldugin, con oltre 200 milioni di dollari. Quelle rivelazioni riguardavano una dozzina di finanziarie create dallo studio panamense Mossack Fonseca. Ora i Fincen Files collegano ai Rotenberg molte altre società, diverse decine, affidate a presunti prestanome. Queste offshore sono al centro di versamenti opachi per cifre imponenti: miliardi di dollari. Un dato con pesanti implicazioni politiche: gli oligarchi più vicini a Putin sembrano disporre tuttora di una colossale tesoreria nera, con cui possono pagare chiunque, in forma anonima, con tecniche da riciclaggio. Interpellati dal consorzio Icij, i Rotenberg hanno risposto con una dura lettera che rigetta le accuse, senza entrare nel merito delle singole operazioni.

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La questione è delicata, perché i due fratelli nel 2014 sono stati raggiunti dalle sanzioni americane come presunti finanziatori delle milizie filo-russe nella guerra civile in Ucraina. Ragioni che hanno convinto l’amministrazione Obama a congelare tutti i loro beni. Nel 2018 è finito nella lista nera anche Igor Rotenberg, il figlio di Arkady, che quattro anni prima gli aveva girato diverse società, sfuggite così alle prime sanzioni. L’Unione europea ha invece colpito solo Arkady, che in Italia si è visto sequestrare beni per circa 30 milioni. L’Espresso ha ricostruito la mappa completa delle proprietà che i Rotenberg, nonostante i provvedimenti internazionali, continuano a detenere nel nostro Paese, con immobili intestati alle stesse società segnalate per presunto riciclaggio. In particolare, Boris Rotenberg possiede, tramite una holding di Cipro, il 50 per cento di un palazzo di otto piani in via Aurora, nel centro di Roma, che ospita il Berg Luxury Hotel. L’immobile ha un valore di bilancio di 17 milioni. La Guardia di Finanza ha potuto congelare solo l’altra metà del palazzo, quella che fa capo ad Arkady. Sequestro a metà (per il solo fratello sanzionato) anche per una palazzina a Tarquinia. Blocco totale invece per altri tre immobili di Arkady: una prestigiosa villa di 342 metri quadrati a Porto Cervo, intestata alla sua società cipriota, una seconda residenza a Villasimius e un appartamento a Cagliari.

Suo figlio Igor Rotenberg resta invece padrone, attraverso una piramide di società che fa capo a una offshore delle Isole Vergini, di altre due proprietà italiane. Un mega-rustico con eliporto, piscine e 220 ettari di oliveto all’Argentario, del valore dichiarato di 18 milioni. E una seconda villa sfarzosa sulla spiaggia toscana, nella pineta di Roccamare, a Castiglione della Pescaia. Proprietà intoccabili, come quelle di Boris. La tenuta dell’Argentario di Igor Rotenberg fu segnalata per la prima volta da due coraggiose testate russe: Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006, e il blog di Aleksej Navalny, avvelenato un mese fa in Russia.

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I movimenti poco chiari indicati dai Fincen Files sono continuati per anni, prima, durante e dopo le sanzioni. Le banche internazionali, per evitare addebiti di complicità, hanno firmato le dovute segnalazioni, ma non sono intervenute sui bonifici, arrivati anche in Italia. Nessuna autorità europea risulta aver avviato indagini sulle offshore miliardarie ora ascritte ai Rotenberg. Nel luglio scorso un rapporto redatto da una commissione speciale del Senato americano ha accusato Arkady e Boris di aver violato le misure scattate dopo l’annessione russa della Crimea. Per evitare sequestri, con l’aiuto di un consulente, hanno fatto incetta di quadri di artisti famosi, da Renoir a Dalí, da Braque a Tamara de Lempicka, nascondendosi dietro varie offshore: più di 18 milioni di dollari, spesi nelle più celebri case d’aste, Christie’s e Sotheby’s.

Igor Bidilo è un uomo d’affari nato in Kazakhstan che è diventato miliardario in Russia, dopo la fine dell’Unione sovietica, come mediatore per il colosso petrolifero Bashneft. Con il fratello Eugeni domina il gruppo Atek, con attività nell’energia, miniere, costruzioni, trasporti, alberghi e ristorazione dalla Russia all’Austria. Nel 2019 il quotidiano La Stampa ha scoperto che Bidilo è sbarcato a Siena, dove ha comprato una decina di locali del centro, compresi i più noti bar e ristoranti di piazza del Campo, sede del Palio, e il celebre marchio di pasticceria Nannini. Intervistato da La Nazione, ha definito «stupidaggini» le voci sui legami con un governatore russo, spiegando di aver fatto fortuna come ingegnere inventando un prezioso brevetto petrolifero. «Sono vicino al miliardo di dollari come volume d’affari. E sono affari con società trasparenti, alla luce delle sole, non scatole cinesi o paradisi fiscali», ha dichiarato, precisando di essere cliente anche di banche italiane, come Montepaschi.

Le carte del network Icij ora identificano Igor Bidilo come principale azionista di una società offshore delle Isole Vergini, Somitekno Ltd, curata da un manager lituano e da uno studio di Mosca. Mentre i Fincen Files addossano alla Somitekno “operazioni sospette” per circa 180 milioni di dollari. Non si sa se questi allarmi anti-riciclaggio siano mai sfociati in inchieste giudiziarie. Interpellato da Icij, Bidilo ha smentito qualsiasi irregolarità e si è detto pronto a spiegare tutto, carte alla mano.

A Siena il miliardario russo-kazakho, che ha anche il passaporto cipriota, gestisce le sue fortune attraverso una normale società italiana (con un nome che ricorda la città, Sielna spa) che finanzia personalmente. Secondo l’ultimo bilancio, l’immobiliare e le sue consociate valgono almeno 26 milioni. E, solo nell’ultimo anno, si sono accaparrate immobili per cinque milioni. Come persona fisica, inoltre, Igor Bidilo ha investito anche a Roma, dove ha fatto suo un attico di 279 metri quadrati (unione di tre appartamenti) con terrazza e garage nella splendida piazza Borghese. Secondo le tabelle dell’agenzia delle entrate, solo l’asset di Roma vale almeno un milione e mezzo.
Konstantin Malofeev

Nei Fincen Files è schedato anche Konstantin Malofeev, l’ex banchiere russo, diventato milionario con fondi d’investimento collocati nei paradisi fiscali, creatore anche di fondazioni religiose e politiche. È un grande sponsor di Putin, della destra sovranista, del Congresso mondiale delle famiglie e ha procurato finanziamenti russi anche al partito di Marine Le Pen. Al suo indirizzo di Mosca, nell’estate 2018, era arrivato il primo fax del leghista Gianluca Savoini, con la proposta di affari petroliferi poi negoziati con altri russi all’hotel Metropol. I documenti anti-riciclaggio ora collegano a Malofeev oscuri versamenti per 10 milioni di dollari, gestiti da Gazprombank, che partono nel 2014 da Cipro e finiscono su un conto svizzero intestato a una società delle Seychelles. Tutto offshore. Le carte di Icij gli assegnano anche una società delle Isole Vergini Britanniche, Gilroy Trading Limited, che nel 2011 ha comprato per 900 mila euro e poi ristrutturato un rustico con piscina sulle colline di Cerveteri, nel Lazio. Da qualche mese la villa è stata intestata a una donna russa, che nelle foto sui documenti sembra molto bella. L’Espresso ha interpellato il milionario ortodosso attraverso un contatto italiano, che ha dato questa risposta: «Malofeev non ha nessuna proprietà in Italia». Come mai a Panama è registrato come titolare della Gilroy e quindi della villa di Cerveteri? «Lo studio Mossack Fonseca ha fatto un errore, il vero proprietario è un altro». Una versione che lo distanzia anche dagli accrediti poco cristallini. E la donna russa chi è? Nessuna risposta.

«Per parlare della mia vita ci vogliono due bottiglie di vodka»: Alisher Usmanov ha risposto così a un giornalista inglese che gli chiedeva come avesse fatto a diventare uno dei cento uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio di oltre 15 miliardi. Il magnate guida un impero, Usm holdings, che comprende industrie (metallurgia, miniere), telefonia mobile (Megafon), internet (Mail.ru), oltre al gruppo editoriale Kommersant. Vicinissimo a Putin, è stato per 14 anni direttore generale della Gazprom Investholding, la finanziaria del colosso energetico. Usmanov è un nome conosciuto tra i tifosi inglesi di calcio. Già azionista di minoranza dell’Arsenal, se n’è sbarazzato dopo aver fallito la scalata alla società. Ora sta trattando una partecipazione nell’Everton, che è allenato da Carlo Ancelotti e rientra nel patrimonio di un amico e socio d’affari, l’anglo-iraniano Farhad Moshiri.

L’altra passione dell’oligarca russo-uzbeko sono le offshore. Molte hanno sede nelle Isole Vergini, ma anche in altri paradisi fiscali, come Cipro o Belize. Alcune erano già emerse con i Panama e Paradise Papers. Ora i Fincen Files attribuiscono alle offshore di Usmanov operazioni sospette per svariate centinaia di milioni di dollari. Bonifici segnalati dagli organismi anti-riciclaggio di grandi banche come Deutsche Bank, Jp Morgan, Bank of New York Mellon, Standard Chartered.

Raggiunto dall’Espresso tramite un avvocato londinese, Usmanov annuncia azioni legali nell’ipotesi che i Sar risultino rubati, ma fa sapere di non avere nulla da temere: quelle segnalazioni bancarie non hanno avuto alcun riscontro giudiziario, anzi attualmente non esistono accuse né procedimenti di alcun tipo per qualsiasi sua vicenda in nessun paese del mondo.

C’è un altro miliardario russo, intimo di Usmanov, con le stesse passioni, calcio e offshore: Roman Abramovich, il patron del Chelsea. Anche lui ha un debole per le società anonime delle Isole Vergini Britanniche. Che gli sono costate pesanti segnalazioni anti-riciclaggio. In comune, Usmanov e Abramovich hanno pure l’amore per la Sardegna. Il primo è titolare di una costruzione da sogno, Villa Violina, nel golfo Pevero: 501 metri quadrati, con 19 vani. Qui nel luglio 2012 Usmanov ha dato una grande festa con due ospiti d’onore: la sorella di Putin e Silvio Berlusconi, di stanza nella vicina Villa Certosa. Ha allietato la serata il cantante Sting. Nell’estate 2016, altro party, per varare il nuovo yacht di Usmanov, chiamato Dilbar, lungo più di 150 metri. A celebrare l’evento, ancora grandi nomi dello spettacolo, da Carla Bruni a Charles Aznavour e Andrea Bocelli. La stampa sarda ha scritto che era presente anche Igor Shuvalov, allora vice-premier russo. Anche Shuvalov compare nei Fincen Files, insieme alla moglie Olga. La villa di Abramovich è ubicata a Cala di Volpe ed è il doppio di quella di Usmanov: 1.177 metri quadrati, 38 vani, categoria catastale A8, cioè il top. Oggi il patron del Chelsea non ne è più proprietario: l’ha donata all’ex moglie Irina. Il regalo d’addio per un divorzio miliardario.