A raccontare il funzionamento del «sistema» è stato uno dei quattro del cerchio magico, con la consegna di carte e conti alle autorità giudiziarie vaticane. Intanto, in conferenza stampa, l'ex porporato nega tutto ma fornisce una ricostruzione che non spiega niente. «L'inchiesta dell'Espresso? L'ho letta solo in parte»

«Con il Papa dovevamo solo parlare di alcune cause di beatificazione», dice per spiegare la sua «sorpresa» l'ormai ex cardinale Angelo Becciu alla fine della conferenza stampa sulle sue dimissioni – dopo l'accelerazione per le notizie sul «metodo Becciu» contenute nell'inchiesta dell'Espresso. L'incontro con il Pontefice, giovedì pomeriggio alle sei, era in effetti già fissato da tempo: si trattava di un incontro di rito. Si è invece «a sorpresa» trasformato in altro: nella presa d'atto e comunicazione, da parte di Papa Francesco, dell'ingente materiale in mano agli inquirenti, dopo la collaborazione con le autorità vaticane, circa il funzionamento del sistema Becciu, con la consegna di relative carte e conti, da parte di un componente del cerchio magico del cardinale.

L'Espresso è infatti in grado di rivelare che la svolta nelle indagini è stata resa possibile dalle confessioni di uno tra i collaboratori più stretti (monsignor Mauro Carlino, monsignor Alberto Perlasca, Fabrizio Tirabassi, Vincenzo Mauriello). La scelta di Becciu di respingere ogni addebito, evitando di entrare nel merito, è arrivata dal fatto che l'ex cardinale, attraverso il lobbista Marco Simeon, che cura la sua strategia comunicativa e politica, era venuto a conoscenza dell'articolo in uscita sull'Espresso. Un articolo che peraltro in conferenza stampa Becciu afferma aver letto «solo in parte».

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25/9/2020
Davanti ai giornalisti l'ex cardinale si dice «sorpreso», «stralunato», immerso in una situazione surreale. Eppure è, al contrario, in più tratti surreale la ricostruzione che offre circa le motivazioni che hanno portato alle sue dimissioni da prefetto della congregazione della causa dei Santi e la sua rinuncia dalle prerogative cardinalizie, dopo l'inchiesta con cui l'Espresso ha cominciato a ricostruire il «metodo» seguito nei sette anni in cui ha guidato la Segreteria di stato. Spiegando in sostanza che è stato il Papa a chiedergli le dimissioni, nel corso di un difficile incontro, e che lui non intende «in alcun modo sfidarlo», ma che si tratta di un «equivoco» che lui è intenzionato a spiegare.

Il chiarimento che intende fornire però, in conferenza stampa si rivela opaco, parecchio sfocato, e condito da affermazioni gravi. Come nel momento in cui svela una decisamente scarsa fiducia nelle intenzioni e doti del pontefice, quando chiarisce di «sperare» che il Pontefice non sia manipolato. «Manovrato? Spero di no, spero di no. Oppure gli hanno dato informazioni errate», precisa.

Becciu dice che non è vero niente – come del resto farà anche un comunicato diffuso dalla sua famiglia. Eppure non chiarisce, non spiega, non fornisce una difesa strutturata. Arriva addirittura a sfiorare l'argomento celebre dell'«a mia insaputa», quello cesellato da Claudio Scajola a proposito dell'acquisto – a prezzo agevolato - della casa di fronte al Colosseo che gli costò il ministero e la carriera politica. Quando si chiede al cardinale del ruolo di Enrico Crasso nella gestione delle finanze vaticane, infatti, Becciu esibisce un esitante «non so». L'uomo che da sostituto della segreteria di Stato, con una operazione lecita ma decisamente insolita, ha affidato l'intera cassa vaticana a un finanziere proveniente da Credit Suisse, lasciando che investisse i denari della segreteria di Stato verso fondi speculativi con sede in paradisi fiscali, sostiene infatti adesso che di quei giri immensi di denaro non ne sapeva nulla di preciso. «Enrico Crasso non è che io l'ho seguito passo passo: lo incontravo una volta l'anno», ha risposto all'Espresso: «Chi seguiva le operazioni erano i miei dell'amministrazione. Lui, sugli investimenti, fatti mi diceva: 'È stato fatto un investimento per tale e tale opera e tale altra: ma non è che mi diceva la ramificazione di tutti questi investimenti. Quindi non saprei, ecco, Crasso dove abbia investito». Eppure, a quel che risulta da fonti finanziarie e da documenti di cui l'Espresso è venuto in possesso, viene fuori che per anni si è ricorso a fondi di investimento che poggiano le propri e sedi in Lussemburgo, o in Asia, o a malta. Non solo: gli stessi fondi di investimento sui quali poi sarebbero state ricollocati anche i proventi costituiti dalle società dei fratelli del cardinal Becciu.

Ma di tutto questo, Becciu dice di non sapere. Sostiene, ripetutamente, di non aver fatto affari e di non aver «mai incontrato» due personaggi chiave dell'inchiesta dell'Espresso e della compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra. Si tratta di Alessandro Noceti, direttore di Valeur capital ed ex Credit Suisse, e di Lorenzo Vangelisti, amministratore delegato del Gruppo Valeur, una società con sede a Lugano che veniva usata per nascondere al Papa centinaia di milioni del Vaticano, attraverso un meccanismo di scatole cinesi. E su entrambi, Becciu dice: «Non so chi siano».

Al contrario, proprio come qualsiasi uomo di potere – di Stato o di Chiesa - che abbia smarrito il senso di sé, Becciu nella sua ricostruzione della gestione dei rapporti familiari dimostra di non ravvisare alcun limite morale, di opportunità, nel suo comportamento. Nel momento in cui spiega come si è regolato nei rapporti con le cooperative e le società guidate dai suoi fratelli, infatti, Becciu si preoccupa soltanto di difendersi dall'accusa di aver commesso un reato («dalle indagini che vengono fatte dalla guardia di finanza, quindi italiane immagino, richieste dai magistrati vaticani vaticani, apparirebbe che io abbia commesso crimine reato di peculato», dice), mentre derubrica a «boutade» tutto il resto.

Per quel che riguarda le tre tranches di somme dirottate sulla cooperativa Spes, braccio operativo della Caritas di Ozieri e guidata da suo fratello Tonino, Becciu fornisce una qualche spiegazione soltanto su quella da 100 mila euro che riguarda un fondo che attinge all'Obolo di San pietro, di suo diretto controllo: dice sì che l'ha destinata alla cooperativa del fratello, per fini caritatevoli perché «sapevo che era una diocesi in difficoltà», e precisa che il denaro si trova ancora nelle casse della Caritas di Ozieri («quindi non capisco perché vengo accusato di peculato e favoreggiamento: quei soldi sono ancora lì»); nessuna chiarimento invece riguardo alle due tranches da 300 mila euro ciascuna, chieste e ottenute dal cardinale sempre in favore della cooperativa Spes, attinti dalla Cei dai fondi dell'otto per mille: «Sono i soldi della Cei che il Vescovo gli destina, e poi è tutto documentato». Solo questo, dice, Becciu: «Mi si accusa di aver raccomandato la cooperativa, ma lì il peculato non c'è. E poi si tratta di soldi della Cei». Come a dire che non era lui ad erogare il fondo. E che comunque nel raccomandare non c'è nulla di male.

Nessuna spiegazione nemmeno circa la società Angel's, che fa capo a suo fratello Mario e che, utilizzando come la Spes il mercato della solidarietà, produrrebbe e imbottiglierebbe la “birra Pollicina”, che tuttavia non si trova in commercio né in distribuzione. «Una boutade» si limita a dire Becciu. Qualche dettaglio in più riguarda i lavori commissionati al fratello Francesco, falegname, tra il 2005 e il 2010, quando Becciu era Nunzio apostolico: dice in sostanza di aver detto al fratello «fammi due porte e mandamele» quando era in Angola e di aver chiamato il fratello per la nunziatura a Cuba, perché era «difficile trovare il materiale e i muratori»: «Chiamatelo conflitto di interessi!», è il commento di Becciu. All'uscita, un giornalista francese chiede lumi: ha capito che si parlava di ferramenta, è disorientato, trova comunque strano si sia parlato di lavori di falegnameria. Prende comunque appunti, mentre l'ex cardinale si allontana verso la sua auto, la cupola di San Pietro sullo sfondo.