Libri appena usciti, studi e festival segnalano una sorprendente attenzione per le sostanze in grado di aprire nuovi stati di coscienza. Rivincita della libertà e dell'immaginazione. E sfondo per nuove ipotesi di società

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«Il rinascimento c’è, la tendenza è innegabile. Lo dimostra un dato: l’anno scorso gli Stati generali della Psichedelia prevedevano quaranta interventi in una giornata e mezzo, quest’anno ne abbiamo avuti 80 in 4 giorni e abbiamo dovuto dire molti no...». Direttore del Centro di cultura contemporanea nell’ex birrificio Metzger di Torino, Alessandro Novazio è l’ideatore e il coordinatore di PsyCoRe, una rete di studiosi a cui si deve tra le altre cose la seconda edizione degli Stati generali della Psichedelia in Italia, conclusa il 13 dicembre 2020.

«Scattiamo una sorta di fotografia dello stato dell’arte nella ricerca sugli stati “altri” di coscienza», spiega all’Espresso Novazio, che elenca tavole rotonde su proibizionismo e liberalizzazione, neuroscienze e neosciamanesimo, sostanze psicotrope e misticismo. E libri. «Nella prima giornata c’è stata MindBooks, una piccola fiera del libro su mente e psichedelia. Doveva far parte del Salone del libro di Torino, ma la pandemia ci ha costretto a cambiare l’agenda».

Anche il calendario delle case editrici è cambiato. I testi sulle droghe non sono più relegati nelle periferie dell’editoria, nota Agnese Codignola nella prefazione a un testo da cui «non può prescindere chiunque voglia capire meglio che cosa sia e da dove arrivi il Rinascimento psichedelico», “Il volo magico. Storia generale delle droghe”, di Ugo Leonzio. Pubblicato per la prima volta nel 1969, ha finito per circolare quasi clandestinamente tra collezionisti e psiconauti, gli esploratori della mente, fino a poche settimane fa. Quando il Saggiatore lo ha ripubblicato, confermando che stiamo uscendo da «un lungo letargo anche culturale durato mezzo secolo», scrive Codignola, divulgatrice scientifica e autrice, nel 2018, per Utet di “LSD”. Insieme a “Come cambiare la tua mente” (Adelphi 2019) di Michael Pollan, uno dei libri recenti che hanno già guadagnato lo status di classico tra i cultori della materia. Sempre più numerosi.

Il risveglio di un genere
Se si dovesse individuare una data convenzionale di inizio del rinascimento psichedelico, sarebbe il 13 gennaio del 2006, ricorda Federico di Vita, curatore del libro collettaneo “La scommessa psichedelica” (Quodlibet). Quel giorno a Basilea viene inaugurato il primo simposio mondiale sull’LSD, in occasione del centenario della nascita di Albert Hofmann, il chimico svizzero che per primo ha sintetizzato l’LSD. Da allora si sono moltiplicati gli studi sulle potenzialità terapeutiche di LSD e psilocibina, «l’alcaloide che rappresenta il più potente composto psicoattivo presente nei funghi, e non solo nelle specie di Psilocybe», spiega il micologo Lawrence Millman in “Funghipedia” (Il Saggiatore), l’agile enciclopedia su Miti, leggende e segreti dei funghi che ogni appassionato dovrebbe portare con sé durante le scampagnate. Anche per poter rispondere a una domanda frequente. Non più, come una volta, «è commestibile?», ma «ha proprietà medicinali?».

Droghe a uso medico
Nella prefazione a “Il volo magico” Agnese Codignola tira le somme: «Oggi le proprietà terapeutiche di LSD e psilocibina sono state dimostrate da diversi gruppi di ricercatori sperimentali e clinici in paesi quali gli Stati Uniti, l’Olanda, la Svizzera, la Gran Bretagna e l’Australia e in patologie quali lo stress post traumatico, le dipendenze da tabacco e alcol, la cefalea a grappolo, la depressione intrattabile dei malati terminali e diversi altri tipi di depressione…». Sperimentazioni rese possibili, dopo decenni di «divieti tombali», «fatwe e oscurantismo», dal progressivo ammorbidimento dei divieti sull’uso delle sostanze psicoattive.

«La scienza moderna si sta solo mettendo in pari», sostiene Merlin Sheldrake, giovane studioso di microbiologia ed ecologia e autore di un libro sorprendente, “L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi” (Marsilio). Le nuove ricerche, scrive Sheldrake, dimostrano quanto «già noto alle culture tradizionali» e confermano le opinioni degli scienziati degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Gli anni in cui, ricorda Ugo Leonzio ne “Il Volo magico”, compare per la prima volta il termine «psichedelico». A coniarlo è lo psichiatra britannico Humphry Osmond, che in un articolo del 1957 propone il neologismo «“psichedelici”, manifestatori della mente, perché è un vocabolo chiaro, armonioso e incontaminato da altre associazioni semantiche».

La contesa politica
Quel vocabolo «armonioso e incontaminato» diventa presto il terreno di contesa di un’infuocata battaglia politico-culturale. Il «potenziale eminentemente politico degli psichedelici era non solo chiaro, ma anche al centro del dibattito» già negli anni Cinquanta, riepiloga in uno dei saggi de “La scommessa psichedelica” lo scrittore Vanni Santoni.

Con zelo missionario e trasporto visionario, negli anni Sessanta gli apostoli della rivoluzione psichedelica ritengono che l’iniziazione alle droghe delle masse possa accelerare il cambiamento della società. All’inizio degli anni Settanta Terence McKenna, un ex trafficante di hashish a Bombay e collezionista di farfalle in Indonesia, prova i “funghi magici” nell’Amazzonia colombiana. Si convince che siano «l’albero originario della conoscenza». Scrive un libro che diventa di culto, “Il cibo degli dei” (ripubblicato nel 2019 da Piano B).

A metà degli anni Ottanta, quando l’onda psichedelica viene schiacciata dal proibizionismo e il neoliberismo comincia a capitalizzarla, McKenna fonda il “Botanical Dimensions”. In questa biblioteca vivente di piante tropicali psicoattive alle pendici del vulcano Mauna Loa, sulle isole Hawaii, ogni giorno assume cinque grammi di funghi allucinogeni a stomaco vuoto. Accompagnato dal padre Rupert, viaggiatore e studioso anti-dogmatico, un giorno arriva al Botanical Dimensions anche Merlin Sheldrake, futuro ricercatore dello Smithsonian Tropical Research Institute di Panama e autore de “La vita segreta dei funghi”. Ha 7 anni. Comincia a interessarsi alla micologia, la «megascienza negletta».

La vita segreta dei funghi
Il suo libro non è mosso dall’entusiasmo missionario dei guru della controcultura, ma parte da una matrice simile: i funghi sono una «chiave per comprendere il nostro modo di pensare, sentire e comportarci». La loro caratteristica principale, «quell’ingegnosità metabolica» che gli permette di esplorare, proliferare e instaurare relazioni di ogni tipo, può aiutarci a rompere la weberiana «gabbia d’acciaio» istituzionale e individuale. «“Noi” siamo ecosistemi che travalicano i confini e trascendono le categorie. Il nostro io emerge da un complesso groviglio di relazioni che solo ora comincia ad affiorare».

L’insegnamento dei funghi deriva dalla «loro capacità di ammorbidire i rigidi meccanismi della nostra mente», «attirandola in luoghi inaspettati». I funghi magici lo fanno con la psilocibina, che in certe aree riduce l’attività cerebrale. «Quando lo si mette a tacere, il cervello si libera. La connettività cerebrale esplode e si apre un tumulto di nuovi sentieri neuronali».

Il meccanismo, spiega Codignola, è simile per altre sostanze psichedeliche. Bloccano «specifici filtri di norma sempre attivi, che impediscono che il cervello sia bombardato da un eccesso di stimoli, ma che inducono anche la trasmissione nervosa a creare circuiti ripetitivi». Il cervello riceve nuovi e diversi segnali, traccia percorsi inediti, si libera dalla mente, scrive Leonzio ne “Il Volo magico”, «dai centri che controllano, sorvegliano, scelgono». Per Timothy Leary, l’inibizione della «valvola di riduzione», come la chiamava Aldous Huxley, ci fa risvegliare «dal lungo sonno ontologico». In futuro potrebbe però farci ripiombare in un letargo ancora più profondo.

Anestesie sociali e distopie
«L’idea che le sostanze psichedeliche abbiano effetti intrinsecamente liberatori è un mito. Sono tecnologie, possono avere effetti sia liberatori che repressivi», sostiene con convinzione Alessandro Novazio, l’organizzatore degli Stati generali della Psichedelia. I rischi maggiori sono due, avverte il critico Carlo Mazza Galanti nel saggio de “La scommessa psichedelica” in cui ricostruisce alcune interpretazioni letterarie della psichedelia. Il primo è «il monopolio del paradigma terapeutico». Il rituale biochimico sacramentale si fa protocollo sanitario, le sostanze diventano strumenti per l’ortopedia della psiche individuale. E della società: è il secondo rischio, prefigurato dalla fantascienza.

L’alterazione della coscienza, a lungo sanzionata perché vista dal potere come minaccia sociale, viene favorita e usata come mezzo per disinnescare ogni minaccia. Le droghe come chiavi biochimiche per asservire, addomesticare, isolare gli individui oppure ottimizzarne le prestazioni. Società politicamente anestesizzate, docili, acquiescenti, conciliate; potere sedativo-manipolativo, nel più rigido determinismo biopsichico e sociale. Il narcocapitalismo.

Verso un Comunismo acido
L’alternativa c’è. È «il comunismo acido». «Tra provocazione e promessa», così sosteneva il critico culturale inglese Mark Fisher poco prima di suicidarsi, nel 2017. Al netto del misticismo e dello pseudo-spiritualismo, scrive Fisher in uno dei saggi de “Il nostro desiderio è senza nome, Scritti politici, K-Punk/1” (minimum fax 2020), «la cultura psichedelica possedeva una dimensione demistificatoria e materialista»: qualunque sistema è arbitrario, contingente, malleabile. Ed è proprio attingendo alle «possibilità che ancora attendono di realizzarsi» della controcultura, alle tendenze emancipatorie degli anni Settanta che si potrebbe superare il «realismo capitalista», «l’acquiescenza fatalistica all’idea che non esiste alternativa possibile al capitalismo».

In gioco, in questa battaglia tra le forze dell’apertura e della chiusura, precisa Edoardo Camurri in un altro dei saggi de “La scommessa psichedelica”, c’è innanzitutto l’immaginazione. Servono «soldati gnostici armati di un immaginario imprevedibile, irriconoscibile e perennemente acceso». Capaci di sciogliere l’incantesimo della chiusura e della trasparenza assoluta, di combattere contro la macchina algoritmica.

Da dove partire lo suggeriva Ugo Leonzio alla fine degli anni Sessanta, ben prima che si affermasse “La società della sorveglianza” descritta dalla studiosa Shoushana Zuboff. In un’epoca in cui «a niente è concesso di rimanere nella riposante luminosità dell’invisibile», perché «tutto deve essere illuminato, nominato e disposto in uno spazio tanto artificiale quanto preciso e prevedibile», un mondo che potrebbe essere libero va immaginato invocando il diritto all’opacità. L’unica che apra gli occhi «alle sacre illusioni».