«Voglio la mia libertà, dammi la mia libertà...». E intanto, sul videoclip, sfilano immagini di bimbo bellissimo: sul palco di una recita, addormentato su una spiaggia, a bordo di un aereo, tra le braccia dei genitori, gli attori Sabrina Knaflitz e Alessandro Gassmann. «Il brano “La mia libertà” nasce dall’idea di purezza dell’infanzia», esordisce il cantautore Leo Gassmann: «Rifletto sulla voglia di tornare a quei momenti, quando eravamo liberi, spensierati e senza doppi fini. I bambini sono l’emblema della libertà. E l’infanzia è anche la condizione umana più forte che esista, perché essere bambini vuol dire avere il mondo nelle proprie mani, la possibilità di cambiarlo e renderlo un posto migliore. Ecco perché nelle guerre i più piccoli vengono uccisi».
È diventato un giovane uomo col gusto della riflessione il bambino buffo dei filmini. Uno che legge Seneca e critica i social network, come se appartenesse a un’altra generazione. Ma che ha desideri e guizzi di ironia da condividere subito con i coetanei, come fa coi ragazzi di Scomodo, la redazione della rivista studentesca che ci ospita nella sua sede romana. Chitarra in mano e libri nello zaino, Leo Gassmann racconta, per la serie BookZ, la sua passione per la lettura. «E ora che ho finito con gli studi avrò ancora più tempo per leggere».
Cosa ha studiato?
«Comunicazione e Psicologia, in inglese, alla John Cabot University di Roma. L’università americana mi ha dato la possibilità di un confronto internazionale. Fuori avevo amici italiani, lì compagni provenienti da varie parti del mondo».
Si è appena laureato. Due anni fa è stato il vincitore delle nuove proposte di Sanremo. È uscito il suo nuovo singolo e sta lavorando a un album. La musica è il suo destino?
«Cerco sempre di seguire il mio vento. Sono un aspirante cantautore, è questo il mio sogno. Mi piace raccontare storie e sentimenti che nascono in me o di persone che conosco. Amo anche molto ascoltare, osservare, anche una semplice chiacchierata al bar può essere lo spunto per una nuova canzone. Credo che anche gli studi di psicologia abbiano rafforzato questa attenzione verso gli altri. Mi piace tanto ascoltare chi ha storie molto diverse dalla mia».
Viene da una famiglia importante per il cinema. Ha mai pensato di fare l’attore?
«Sì. Io, in realtà, sono cresciuto più nei teatri, con mia madre. Solo un po’ più grandino ho cominciato ad andare anche sui set cinematografici a trovare mio padre. Sono due mondi molto diversi. Il palcoscenico è rimasto nella mia vita, quando entro in un teatro mi basta sentirne l’odore per ricordare quando ero piccolo e dormivo, prima dello spettacolo, sul petto di mio padre… Il cinema mi affascina moltissimo, ma non mi sento ancora pronto. Non mi nego la possibilità, ma prima devo essere preparato, ancor di più proprio perché vengo da una famiglia che contribuito moltissimo al cinema. Finora è stato difficile. La mia vita quotidiana è sempre stata fatta di sport, scuola o università, studio e poi di sera sala di registrazione, fino alle due di notte. Così tutti i giorni».
La musica, quindi, c’è sempre stata.
«Sì, sin da quando ero piccolo. Ho tanti ricordi di viaggi lunghi in macchina coi miei genitori che mettevano le loro canzoni preferite e io cantavo. Mi ricordo i brani dei Jamiroquai… A otto anni mia madre mi regalò le prime lezioni di chitarra classica, a nove entrai al Conservatorio di Santa Cecilia, che ho frequentato per cinque anni. Poi all’improvviso ho mollato gli studi, ho avuto un rifiuto dello strumento, non ero in sintonia con i professori: erano troppo duri, secondo me, e non riuscivano più a stimolarmi. Sbaglio, lo so, ma per me la musica non deve perdere la spontaneità, la naturalezza dell’ispirazione e dell’improvvisazione. Che poi vuol dire sincerità, per arrivare al cuore delle persone. Mio nonno diceva che si recita per essere diversi da ciò che si è. Nella musica, invece, vince la sincerità: di quello che sei e di quello che dici».
E chi sono gli artisti che sente più sinceri, con i quali le piacerebbe lavorare?
«Lo farei con molti, io considero tutti gli artisti che incontro come maestri perché anche quelli più diversi da me mi stimolano a fare cose che io non so fare. Dall’estero amo i Bon Iver, nel mio nuovo disco ci sono brani che ricordano l’alternative pop proposto da loro. In Italia potrei fare tanti nomi: Fulminacci, Brunori Sas, gli Eugenio in Via di Gioia. E poi c’è il mio amico Blanco».
Il grande pubblico l’ha conosciuto con X-Factor, nel 2018. Mi racconta un’emozione che si porta dentro da quella esperienza?
«In realtà, ci tengo a dire che non ho partecipato a X-Factor per una questione di popolarità, perché conoscevo bene le difficoltà che ti aspettano quando esci da un talent. L’ho fatto per necessità: mi sentivo solo e avevo bisogno di stare con gente che avesse il mio stesso rapporto con la musica. X-Factor è stata una vera e propria scuola, in un’edizione che riuniva grandi artisti e gente come Anastasio, che è una penna straordinaria. Il ricordo più bello è l’esperienza nel suo complesso: per due mesi e mezzo ho avuto la possibilità di stare chiuso in una casa e fare solo quello che mi piace di più, anche conoscere la fatica di questo mestiere. E stare lontano dai telefoni, perché la prima cosa che succede quando arrivi là è che ti staccano dai social. È un’esperienza bella, dovremmo farla tutti ogni tanto».
Vista l’età, colpisce ciò che dice. Che rapporto ha con i social?
«Pessimo. In generale non ho un buon rapporto col telefono: mi dimentico di rispondere, faccio gestire agli altri. È più forte di me: più sto sullo schermo più mi sento solo e sento che sto perdendo la mia vita».
Legge molto, al contrario, so. Che cosa legge di più?
«Soprattutto filosofia. Sono un appassionato di filosofia grazie al mio professore al liceo classico Elio Sinisgalli. Tutti i ragazzi dovrebbero incontrare un insegnante come lui: amava tantissimo insegnare e trasmetterci l’amore per i classici e per il sapere. Non a caso, uno dei miei libri preferiti è “Il mondo di Sofia” di Jostein Gaarder. Un libro che consiglio a tutti i giovani perché è una grande introduzione a questa disciplina, un vero e proprio romanzo filosofico. C’è una ragazza di 15 anni che ogni giorno riceve delle lettere anonime, e ogni lettera contiene domande e risposte filosofiche applicate all’esistenza. Così, scoprendo Socrate, Platone, Aristotele e concetti come il destino, la libertà, il tempo, la ragazza ritrova l’entusiasmo e lo stupore per la vita».
Ci parli di altri libri che ama.
«Sicuramente “De Brevitate Vitae” di Seneca».
Dal romanzo filosofico pop, uscito a inizio anni Novanta e che ha ispirato film e persino un videogioco, alla filosofia pura. A quel memorabile invito a spendere bene il tempo.
«Esattamente. Seneca riflette sulla nostra vita, e divide le persone in affaccendati e sapienti. Gli affaccendati sono quelli che non riescono a sfruttare il tempo che hanno a disposizione: pensano solo al lavoro e vedono la morte come un punto sulla linea del tempo. Nella società di oggi potrebbero essere le persone imprigionate negli schermi dei telefoni, quelli che rischiano di perdersi un pezzo della loro vita, o viverne solo una simulazione. E poi, proprio in questi giorni, sto leggendo con grande piacere “Buio” della filosofa Francesca Rigotti. È un libro molto bello, nelle prime pagine dice che la parola “bianco” e la parola “nero” etimologicamente hanno in comune il significato di “splendere”. Quindi suggerisce di guardare l’oscurità non come opposto della luce, ma in modo positivo. “Nei miti della creazione prima era la notte nella sua dimensione quasi divina, dea che si tira fuori da sé e senza partner sessuale genera la luce”, scrive. La luce è nata dal buio».
C’è qualcuno che le consiglia cosa leggere?
«No, vado molto d’istinto, entro in libreria e a seconda di quello che voglio approfondire faccio le mie scelte. Leggo le prime pagine. Guardo le copertine. Quel professore che le ho citato prima ci diceva sempre: “Ragazzi, voi nella vita dovete fare quello che desiderate fare”. E poi ci metteva in guardia: “Però attenzione, l’amore soffoca il desiderio”. Ecco, spesso facciamo delle scelte solo per seguire le persone che ci amano. Io voglio seguire la mia libertà».