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Hanno quindi ragione le associazioni che, come descritto nell’articolo di Gloria Riva, chiedono maggiore chiarezza nell’individuazione precisa degli obiettivi e degli strumenti che il Governo pensa di attivare per superare il drammatico divario di genere che caratterizza l’economia e la società italiane. Ma sbaglierebbe chi pensasse che il Pnrr possa essere la soluzione unica delle disuguaglianze di genere, molte delle quali dovute al terribile ritardo culturale di cui soffre il nostro Paese, in cui le donne sono discriminate da tanti punti di vista, compresi quelli economici, oltre che soggette ad una violenza inaccettabile, peraltro ulteriormente accentuatasi durante il lockdown. Come ci dice la vasta letteratura in materia e l’esperienza dei Paesi più avanzati da questo punto di vista, le disuguaglianze di genere possono essere superate - sperabilmente una volta per tutte - solo operando simultaneamente sull’educazione, la legislazione, le strategie aziendali, i servizi sociali e su tanti altri aspetti che le generano o non le combattono a sufficienza. Non a caso, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dalle Nazioni Unite nel 2015 dedica uno dei 17 Goal esplicitamente all’eliminazione delle disuguaglianze di genere, ma sottolinea anche come si tratti di un tema trasversale, che impatta ed è impattato da quasi tutti gli altri 16 Goal relativi alle dimensioni sociali, economiche, ambientali e istituzionali.
Le statistiche dimostrano il ritardo dell’Italia in termini di disuguaglianza di genere, ulteriormente cresciuta a causa della crisi in atto, nonostante alcuni miglioramenti conseguiti e l’adozione di norme, anche avanzate, ma spesso non applicate per disattenzione, mancanza di controlli o di risorse. Se l’Italia è indietro nelle medie nazionali, la situazione appare ancora più grave guardando ai divari territoriali, come documentato nel recente Rapporto dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile che contiene dati a livello regionale, provinciale e di città. Ed è interessante notare che anche con riferimento al tema delle disuguaglianze di genere si notino differenze significative non solo tra Nord e Sud, ma anche tra province contigue di tutte le aree territoriali.
La grave situazione delle donne (e specialmente delle giovani donne) sul mercato del lavoro è emersa in tutta la sua drammaticità nel 2020 e il 2021 rischia di peggiorare ulteriormente nel momento in cui verrà rimosso il divieto di licenziamento. Nessuno, al momento, è in grado di prevedere cosa accadrà, ma è facile immaginare che, senza provvedimenti compensativi che prendano esplicitamente in considerazione la dimensione di genere, l’aggiustamento occupazionale rischia, ancora una volta, di ricadere soprattutto sulle donne.
L’Istat ha recentemente pubblicato il profilo delle imprese italiane (con più di tre addetti) in termini di risposta alla crisi, individuando cinque gruppi: imprese statiche in crisi, che stanno subendo pesantemente l’impatto dell’emergenza sanitaria e non hanno adottato strategie di reazione ben definite (il 28,6% del totale); statiche resilienti, che non hanno messo in atto strategie di reazione perché non hanno subito effetti negativi rilevanti (35,5%); proattive in sofferenza, duramente colpite dalla crisi ma che hanno intrapreso strategie strutturate di reazione (10,7%); proattive in espansione, colpite lievemente che non hanno alterato il proprio sentiero di sviluppo precedente (19,4%); proattive avanzate, colpite in maniera variabile dalle conseguenze della crisi, ma che nel corso del 2020 hanno aumentato gli investimenti rispetto al 2019 (5,8%). Così come emerge una quota di giovani nelle imprese dei primi due tipi più alta di quella media, è probabile che anche per le donne si otterrebbero risultati analoghi. Grazie a questo tipo di elaborazioni statistiche il governo potrebbe già ora individuare con fine dettaglio territoriale e settoriale le aree dove il lavoro femminile (e giovanile) rischierà di più nel 2021, e quindi definire subito interventi preventivi, così come si fa per combattere la pandemia.
Questo semplice esempio ci dice che mettere la lotta alle disuguaglianze di genere al centro delle politiche non è impossibile, ma bisogna volerlo davvero. Ed è qui dove politica e imprese sono chiamate a fare una scelta urgente e decisa, con il forte supporto della società civile, che già oggi svolge un fondamentale lavoro di supplenza sui territori, specialmente quelli più fragili.
*Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)