Pubblicità
Inchieste
ottobre, 2021

Grandi affari e conflitti di interessi, ecco chi sono i lobbisti che governano l’Italia

I partiti sono sempre più deboli dopo l’avvento di Draghi. E i gruppi di pressione ne approfittano per condizionare le scelte della politica con l’obiettivo di tutelare i loro clienti. Compresi i manager di Stato che usano denaro pubblico per salvare la poltrona

Mario Draghi ha spento la luce. I partiti sono invisibili. La politica è dispersa. Il governo appare distante e soprattutto inaccessibile. Però ci sono i miliardi di euro del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), l’Italia che va ricostruita e rilanciata. Un’epoca sconosciuta che si avvicina. Nomine. Occasioni. Timori. Allora si muovono nel buio, come provvidenziali lanterne, decine di società di comunicazione, di relazioni istituzionali, di monitoraggio parlamentare, di pura lobby che offrono una speranza ai dirigenti pubblici che devono salvare le proprie poltrone e alle aziende private che devono salvare i propri affari. E lo fanno in questa notte della politica, con i pericoli che si corrono di notte, con discrezione, a volte con assoluta professionalità, altre con spirito avventuriero, spesso manipolando, alterando l’informazione, portano contatti con i ministri, riunioni riservate con i politici, analisi complicate di situazioni semplici, fatturano decine di milioni di euro, si destreggiano fra regole vaghe. Li conoscono in molti, ne parlano in pochi. Perché tutti ne hanno bisogno.


Ci sono i lobbisti che vengono da Comunione e Liberazione come Sec newgate di Fiorenzo Tagliabue e Inrete di Simone Dattoli. Ci sono Giampiero Zurlo di Utopia, allievo di Marcello Dell’Utri e poi Annalisa Chirico, ispirata da Chicco Testa. Ci sono Cattaneo&Zanetto e Fabio Bistoncini che inondano i clienti di notizie rastrellate nelle commissioni parlamentari, dettano i tempi, anzi anticipano i tempi, leggono emendamenti, saggiano le norme quando sono ancora in cottura. Ci sono Auro Palomba e Gianluca Comin, i chirurghi dell’immagine. Palomba più milanese, Comin più romano, adesso riuniti e rivali nella Capitale perché fra Palazzo Chigi e ministeri vari si rifà l’Italia che non si è mai fatta.


La stagione di Draghi ha riattivato la filiera di Paolo Scaroni, banchiere con Rothschild, presidente del Milan, a capo dell’Eni per un decennio fino al 2014 e di Stefano Lucchini (Banca Intesa) che ridà lustro a Costanza Esclapon, abile comunicatrice, non lobbista, componente del cda di Enel su indicazione dei 5 Stelle e di Mediaset da indipendente. In momenti non sospetti e anche un po’ sconvenienti, l’ex giovane prodigio Francesco Galietti di Policy Sonar si dichiarò estimatore del governatore di Bankitalia. Accadde all’ambasciata americana a Roma il 5 novembre 2008 come si legge in un cablogramma svelato da Wikileaks: il 26enne piemontese, assistente del ministro Giulio Tremonti, suggerì ai funzionari Usa di utilizzare Draghi come «contrappeso agli impulsi di riforme draconiane» di Tremonti. Oggi Galietti supporta i fondi d’investimento, in particolari inglesi (a Londra li presentò all’amico Luigi Di Maio), che cercano agganci al ministero del Tesoro. L’asso di Policy Sonar è Carlo Conte, veterano della Ragioneria di Stato.


Nel centro che timidamente guarda a sinistra e si sublima al largo del Nazareno col Pd, si trovano da sempre le società di Mauro Lucchetti e del socio Marco Forlani, il figlio di Arnaldo, il coniglio mannaro, lo storico esponente Dc. Lucchetti e Forlani hanno rinnovato l’assetto di Hdrà e scorporato la struttura: Hnto si occupa di promozione; Hdrà digital, come intuibile, di digitale; Consenso Europa di lobby. Hdrà era specializzata in eventi e la pandemia li ha falcidiati. Non li ha penalizzati il processo per peculato che a Catanzaro coinvolge Lucchetti. Secondo l’accusa, l’ex governatore calabrese Mario Oliverio (Pd) utilizzò 100.000 euro di risorse europee, destinate a incentivare il turismo, per una manifestazione culturale di Hdrà in cui lo stesso Oliverio fu intervistato. I principali clienti di Lucchetti e Forlani, che valgono milioni di euro, sono Enel e Poste, due aziende a controllo pubblico. Qualche mese fa Hnto ha vinto il bando da 3 milioni di euro per promuovere le iniziative commerciali di Poste. Con la neonata Hdrà digital hanno ottenuto la gestione dei profili social di Poste per 721.000 euro. Per Enav, l’ente per la navigazione aerea, Hnto ha il compito di fornire pregiati servizi di «traduzione dall’italiano all’inglese di pubblicazioni finanziarie e legali»: 165.000 euro per il 2019 e 175.000 per il 2020. Per la lobby in Consenso Europa si sono affidati a Stefano Di Traglia, ex portavoce di Pier Luigi Bersani e capo ufficio stampa del Pd.


Adesso più che mai è Roma la calamita delle lobby. E i lobbisti si attrezzano. Si prenda Auro Palomba, partito vent’anni fa dal Veneto con il suo Community group, che oggi con 37 dipendenti registra quasi 10 milioni di ricavi e 4,3 milioni di profitti. Palomba vanta a Milano una lunga lista di clienti tra le aziende quotate in Borsa e ha un ruolo nei duelli finanziari importanti come quello per il controllo di Generali, che lo vede consulente di Leonardo Del Vecchio. Proprio pochi giorni fa, però, ha deciso di rafforzare la sede romana con la nomina a «head of public affairs» di Lucia Bernabè, una professionista che ai dieci anni di carriera anche in grandi aziende come Wind, può aggiungere il bagaglio di relazioni di un manager di lungo corso come suo padre Franco Bernabè, rientrato in prima linea da presidente del gruppo Ilva, scelto dal suo vecchio amico Mario Draghi.

 

Non che Palomba sia un neofita nei palazzi romani. Solido, per esempio, è il suo rapporto con l’ad di Enel, Francesco Starace, il cui nome è da mesi sul podio di una speciale classifica dei capi azienda con la migliore reputazione. La graduatoria è pubblicata ogni mese da vari media nazionali. Nel testo però non viene segnalato un particolare essenziale: a elaborare voti e giudizi è una società partecipata al 50 per cento da Community di Palomba, che ha fra i clienti Starace e altri manager presenti ai piani alti della classifica.


Veicolare contenuti pubblicitari sotto forma di prodotti giornalistici è l’arte più consumata del mestiere di lobbista. Arte che pratica con successo Annalisa Chirico. Si è molto ingrandita la sua associazione “Fino a prova contraria”, la risposta ai «giustizialisti», che subito si è attirata le simpatie di Matteo Salvini, di Matteo Renzi e di un pezzo di Forza Italia. Chirico ha capito come far fruttare la sua agenda: sollecitando l’ansia di apparire e di coprire spazi, politici s’intende, dei boiardi di Stato.

 

La giornalista Annalisa Chirico


Un anno fa, in luglio, ha creato la società Ac Advocay&Communication che allestisce gli eventi della scuola di “Fino a prova contraria” e così è diventata esperta di idrogeno, agroalimentare, cantieristica navale. Come funziona lo spiega la stessa Chirico nella cartellina che ha consegnato alle aziende partecipate dallo Stato in cui espone il caso, che risale allo scorso autunno, di Starace di Enel: intervista al manager rilasciata in esclusiva al sito Lachirico.it; un incontro «riservato» con Antonio Misiani (Pd), viceministro dell’Economia nel governo Conte II; una spinta alla campagna per Enel One che grazie a Chirico in un mese ha raggiunto 330.000 utenti e altri loghini incollati qua e là. Il tariffario oscilla dai 10 ai 20mila euro a prodotto giornalistico, poi c’è la sponsorizzazione alla scuola (Sace ha pagato 6.000 euro) e per i più gentili la pubblicità sul sito Lachirico.it, 7.000 euro alla settimana trattabili. Chirico ha fatturato mezzo milione di euro in cinque mesi con 250mila euro di utili. Quest’anno sarà ancora più ricco: ha firmato contratti con Enel, Tim, Snam, Saipem, Pirelli, Ferrovie, Fincantieri, Intesa e via elencando.

 

Gianluca Comin


Chirico è ancora in fase di rullaggio, mentre quelli di Utopia lab sono già decollati da anni. L’avvocato Giampiero Zurlo si è dedicato alla lobby dal 2010 dopo aver sperimentato la politica tramite i circoli del Buongoverno di Dell’Utri, esperienza interrotta per le vicissitudini giudiziarie dell’ex senatore berlusconiano. In quella stagione Zurlo era socio di altri due avvocati in Juris Prudentia: Luca Di Donna, noto come l’amico di Giuseppe Conte e al centro di un’inchiesta per associazione a delinquere e traffico di influenze; Nicola Maione, ex presidente di Enav e nel cda di banca Mps. Col governo Conte I, Maione fu promosso da consigliere a presidente di Enav e durante il suo mandato Utopia ha ottenuto due non meglio specificati incarichi di consulenza da Enav per un totale di 69mila euro. Utopia lavora con poche aziende pubbliche, è molto attiva nel privato e ciò le permette di avere il fatturato in crescita, 4,2 milioni nel 2020, e soprattutto ha eccellenti entrature in Lega, Forza Italia e 5 Stelle. Con la pandemia ha inaugurato degli studi tv per le dirette su internet in cui discutono politici, imprenditori e lobbisti. Un anno fa Zurlo ha lanciato anche un proprio portale di informazione. Si chiama The Watcher Post e si presenta come una testata giornalistica che fa da «cane da guardia» al potere. Il direttore è Piero Tatafiore, responsabile comunicazione di Utopia, cresciuto alla Camera accanto all’ex deputato forzista Mario Valducci, a sua volta cresciuto in Fininvest. The Watcher Post tiene aggiornati i suoi lettori sugli atti parlamentari e sulle battaglie civili più sentite: la libertà per il gioco d’azzardo legale, per le sigarette a vapore, per gli autobus di Flixbus. Per i clienti di Utopia, insomma.

 

Imperituri resistono il giornalista Enrico Cisnetto e ’o ministro Paolo Cirino Pomicino, archivi della Repubblica di qualsiasi edizione, che attingono da riserve di esperienza e di antiche amicizie. Pomicino ha introdotto a Roma il gruppo Psc di Umberto Pesce che nel consiglio di amministrazione colleziona boiardi Stato, in servizio o in pensione, come Mauro Moretti e Fulvio Conti.

 

Cisnetto ha allargato la platea dei potenziali clienti con i convegni e le interviste organizzate a Cortina d’Ampezzo, dunque a Roma e infine in digitale per la pandemia. È un uomo che elargisce consigli ai capiazienda, vedi Alessandro Profumo di Leonardo. Ha tentato di adunghiare una difficile riconferma di Stefano Cao in Saipem. Non ci è riuscito. Con la collaborazione del collega Guido Rivolta, Cisnetto si è affacciato nel settore della lobby con un acquisto di peso. Un paio di mesi dopo l’investitura di Enrico Letta a segretario del Pd, il cerimoniere di “Cortina Incontra” ha assunto come responsabile “public affairs” Luigi Ferrata, già alla Community group di Palomba e membro del centro studi Arel che Letta ha ereditato da Beniamino Andreatta.


La pandemia ha raffreddato la voce ricavi dei lobbisti, fa eccezione Gianluca Comin, comunicatore dalle infinite relazioni nei palazzi della politica e nelle grandi aziende partecipate dallo Stato. In una di queste, l’Enel allora guidata da Fulvio Conti, ha preso il volo la carriera del fondatore della Comin & Partners, che nel 2020 ha incrementato il fatturato da 8,3 a 9,1 milioni. Tra gli azionisti di minoranza, con una quota dell’11 per cento circa, c’è la vicepresidente Elena Di Giovanni, in passato all’Expo e alla Biennale di Venezia, moglie dell’ex segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore Michele Valensise. Con gli anni Comin ha accumulato contratti con le maggiori società a capitale pubblico. Giusto per citare gli incarichi più recenti, la sua squadra è stata ingaggiata da diversi ministeri, da Rai, da Invitalia di Domenico Arcuri, da Cdp e anche da Ama, la disastrata azienda comunale che gestisce la raccolta dei rifiuti a Roma. Ricche commesse sono arrivate da Sogin, l’azienda di Stato nata per smaltire le scorie nucleari delle centrali atomiche chiuse dopo il referendum del 1987. La soluzione del problema viene continuamente rimandata, mentre lievitano i costi di un carrozzone pubblico con 1.200 dipendenti. Nella lista della spesa ci sono anche quelle destinate a sollevare l’immagine aziendale, a dir poco appannata. Tra dicembre 2020 e agosto 2021, Comin ha siglato due contratti di consulenza per un totale di quasi 200mila euro con l’incarico di formulare un «piano di reputation building», come si legge nelle carte. Ma prima ancora Sogin aveva provato con le strategie del già citato Cisnetto, di Utopia e anche di Sec di Fiorenzo Tagliabue, un maestro delle pubbliche relazioni che, dal giro ciellino dell’amico e sodale Roberto Formigoni, in trent’anni ha costruito un gruppo internazionale, la Sec newgate, con filiali a Londra e Berlino. Questo non vuol dire che Tagliabue, 71 anni, abbia rinunciato a presidiare la piazza milanese dove fa incetta di contratti e milioni, come quelli con Atm, l’azienda di trasporti comunale e Trenord, le ferrovie lombarde.

 

Fiorenzo Tagliabue

Sotto la Madonnina si è consolidata la sintonia con Beppe Sala, prima ai tempi dell’Expo, quando Sec gestì le relazioni internazionali dell’ente guidato dal manager, e poi nel 2015 con la campagna che gli fruttò l’elezione a sindaco. La stessa rete meneghina è quella in cui da sempre opera un’altra società col marchio d’origine ciellino come Inrete, fondata una decina di anni fa da Simone Dattoli, comunicatore e lobbista che ha fatto carriera all’ombra dell’ex ministro Maurizio Lupi. La Lombardia traina lo sviluppo dell’azienda di Dattoli sin dai tempi della presidenza Formigoni. Un ampio accordo quadro garantisce a Inrete gli incarichi più disparati. Si va dall’organizzazione del premio Rosa Camuna al servizio, si legge nel contratto, di «media relation per eventi e iniziative istituzionali». Dattoli si è improvvisato anche editore con la società Inpagina, che gestisce il portale di notizie True News. Con uno scopo ambizioso: «Proporre un nuovo modo di fare informazione». Tutto fatto in casa: dalla lobby alla notizia.

 

Ha ragione Claudio Velardi, l’ex comunista dalemiano che trasmette i segreti del mestiere a Utopia: ci si deve adeguare ai tempi. Così ha aperto il gruppo su Whatsapp “lobbisti del mondo nuovo” dove si chiacchiera fra chi fa lobby e chi paga la lobby. Non più nemici. Tutti insieme. A cazzeggiare e fatturare. Per sopravvivere al mondo nuovo che avanza.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità