Inchiesta
I Costagliola sono il clan che controlla il racket delle case popolari a Roma
Ad Acilia, periferia Sud della Capitale, hanno in mano il business degli alloggi. Per i giudici non sono una cosca di mafia ma il loro potere è enorme. “Siamo solo benefettori”, dice il rampollo del capo
Non danno nell’occhio come gli Spada, non sono tanti come i Casamonica, non girano in Ferrari, non fanno gli smargiassi, anzi si muovono (quasi sempre) sottotraccia, attenti a non attirare le forze di Polizia, abilissimi nel mettere a sistema lo sfruttamento dei bisogni degli indigenti, temuti come sono da tutta la zona. È così che nella sottovalutazione generale, da almeno dieci anni, la famiglia Costagliola è riuscita ad imporre la propria supremazia criminale attraverso il racket delle occupazioni abusive ad Acilia e Dragoncello, area sud e complicata di Roma, vicino ad Ostia.
Esattamente come gli Spada, a poca distanza da lì, i Costagliola tra minacce, intimidazioni e sfratti forzosi disponevano delle case popolari come fossero di loro proprietà: «Te buttano subito fuori… zio Carmine li ammazza, ma che stai a gioca’… lo sai che fa quello, va su e li ammazza a tutti», dice Barbara Scutti, sodale del gruppo, in una delle tante conversazioni captate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Ostia, coordinati dalla Procura di Roma, riferendosi a persone estranee all’organizzazione e intenzionate ad occupare case popolari a Dragoncello. «Ma che cazzo sta a capi’ sta Monica? Io la piscio addosso a lei e ai soldi», dice Carmine Costagliola, a capo del sodalizio, riferendosi a tal Monica che sarebbe intenzionata a vendersi una casa popolare senza il suo consenso.
Le indagini hanno portato nel giugno scorso all’arresto dei promotori del racket, Carmine e Gerardo, e alla denuncia di una trentina di persone. Un’operazione passata più o meno sotto silenzio, ma che racconta invece di come l’abbandono del territorio, l’inefficienza nelle assegnazioni delle case popolari e l’emergenza abitativa mai risolta, nel X Municipio come in tutta Roma, abbiano favorito il mercato nero delle occupazioni; un’attività che, come ha dimostrato la vicenda degli Spada a Ostia, è sempre spia di un quadro più allarmante, della presenza cioè di un potere criminale forte, ben radicato e riconosciuto sul territorio, un potere che con la violenza si fa welfare e lucra sulla disperazione delle persone, ma che offre loro – e lo fa velocemente - quella soluzione che le istituzioni non riescono a trovare, come ad esempio un tetto a chi non ce l’ha. Il degrado, la ghettizzazione all’interno di vaste aree di edilizia pubblica di cittadini in condizione economiche e sociali precarie, l’altissima concentrazione di pregiudicati e di persone agli arresti domiciliari hanno fatto il resto. Basterebbe farsi un giro tra i lotti Ater di San Giorgio ad Acilia, dove tra spaccio H24 e altri espedienti, si fa “di necessità virtù”.
Ma chi sono questi Costagliola che negli anni, senza trovare un argine, sono diventati i padroni di un’intera zona di Roma? I fratelli Carmine, Gerardo, Antonio e Salvatore Costagliola, i “napoletani” di Acilia, come sono chiamati, hanno lasciato Napoli anni fa per traferirsi a Roma, gravati da vari precedenti penali tra cui per Carmine il 416 bis per associazione a delinquere di stampo mafioso, camorra, per il quale ha trascorso in carcere circa vent’anni. Arrivati nella Capitale, forti del loro pedigree criminale, hanno colonizzato alcune borgate di Roma, come fecero al tempo i Casamonica e gli Spada. I Costagliola però hanno scelto un’altra linea, hanno scelto la zona d’ombra, decidendo di dedicarsi prevalentemente al racket delle case occupate, un’attività che crea un certo consenso sociale, è meno rischiosa del traffico degli stupefacenti e non espone al contrasto con i clan più importanti, che infatti da anni li lasciano fare. «Io non m’ impiccio con certa gente, c’ho paura», mi dice una ragazza che occupa una casa ad Acilia e che per mesi ha pagato l’affitto al sodalizio: «Mi faccio gli affari mia sennò quelli mi fanno occupa’ casa da qualcuno». «Loro c’hanno un altro peso rispetto a noi», mi spiega un pregiudicato che occupa una casa Enasarco a Dragoncello, «si sa chi so’ e da dove vengono, ma da me non possono veni’, perché io sono rispettato», «In quanto?», chiedo: «Sto con gli Spada e i Casamonica, mi sono fatto dieci anni di galera per traffico internazionale di droga per una cazzata con i calabresi. Basta?». Basta. I Costagliola evidentemente sanno chi poter vessare e chi no. «Se volevamo mangia’ di quel pane, saremmo restati a Napoli, tu che dici?», mi spiega, alludendo alla camorra, Emanuele Costagliola, figlio di Gerardo, che accetta di parlarmi sotto casa, nel loro fortino, in via Petra, a Dragoncello. E quando provo a chiedergli di come funzionasse il meccanismo di assegnazione abusiva delle case e della percentuale che intascavano su ogni famiglia mi risponde: «Noi abbiamo fatto solo del bene alla gente, facevamo favori pe’ gentilezza». «Mica tanto, se incassavate la stecca», dico: «Ma che c’hai preso pe’ Tecnocasa?», risponde. Effettivamente funzionavano proprio come un’agenzia immobiliare, coadiuvati da soggetti che facevano da intermediari, con il compito di individuare le abitazioni da far occupare e di selezionare le famiglie che avevano bisogno di una casa, disposte a pagare ai Costagliola tra i 10 mila e i 20 mila euro che avrebbero recuperato solo in piccola parte come “buonauscita”, quando a loro sarebbe subentrato un nuovo occupante abusivo, scelto ovviamente dall’organizzazione.
Gli abitanti di zona ben conoscono la loro pericolosità e per questo tacciono. Tre anni fa, davanti al bar Grease a Dragoncello i Costagliola e i Sanguedolce - un gruppo criminale rivale, legato alla batteria di Ostia che fa capo a “Barboncino” - si sono affrontati in pubblico, con armi da fuoco e pestaggi. Sembra una versione romana di “Gomorra”, ma invece è cronaca: i fratelli Alessio e Daniele Sanguedolce in pieno giorno aggrediscono Gianluca Tirocchi, uomo dei Costagliola, che fugge verso il bar. Mentre scappa Daniele gli spara, ma la pistola s’inceppa. Arrivano in soccorso di Tirocchi Gerardo Costagliola con l’arma nascosta all’interno dei pantaloni e suo figlio Emanuele con la pistola in mano. I Sanguedolce però se ne sono già andati. Emanuele spara in aria, urlando a chi si era affacciato alle finestre: «Fatevi i cazzi vostri», poi lui e suo padre Gerardo afferrano Valerio Antonacci, detto Petecchia (che aveva assistito all’agguato) e lo pestano brutalmente per farsi dire dove si erano rifugiati i Sanguedolce. Le spedizioni punitive dei Costagliola proseguono per giorni, perfino dentro al Cineland di Ostia. Nessuno apre bocca, nessuno denuncia, la Squadra Mobile riuscirà a far luce sul grave episodio, solo attraverso le intercettazioni ambientali e le immagini registrate dalle telecamere. Provo a chiedere ad Emanuele dello scontro con i rivali Sanguedolce: «Non li conosco… Ostia, Dragoncello, Fiumicino, ‘ndo stanno?». I conti, d’altronde, si regolano altrove. Un clima di omertà che rivela il saldo controllo criminale del territorio e l’assoggettamento dei suoi cittadini.
Nel 2015, del resto, il X Municipio è stato commissariato per mafia, ma la mafia è uscita totalmente dalla campagna elettorale. Come se gli arresti degli ultimi anni avessero chiuso il capitolo criminale del litorale romano. E invece no. È un risiko complicato e in evoluzione quello della criminalità di Ostia. Le condanne per mafia e i sequestri hanno indebolito i clan più importanti: i Fasciani, i Triassi, i Casamonica e gli Spada, la batteria di Barboncino, sono stati piegati e messi all’angolo. Alcuni sono stati azzerati, altri sopravvivono senza il potere di un tempo. Eppure, nella fisica come nella mala, i vuoti non esistono e gli appetiti su Ostia e su tutto il litorale romano, compreso il porto di Fiumicino, sono tali da attrarre nuovi pesi e vecchie glorie criminali, pronte a ribaltare le alleanze. Basterebbe farsi un giro a Piazza Gasparri, in viale del Sommergibile, in via Marino Fasan o tra le palazzine Ater di via Baffigo per capire che la malavita cambia pelle ma i problemi restano sempre gli stessi: abbandono, racket delle occupazioni, usura e droga che gira a fiumi, giorno e notte. Ma a far gola, oltre alle floride piazze di spaccio, c’è anche altro: ci sono appalti da ottenere e stabilimenti balneari e attività commerciali da acquisire per ripulire capitali accumulati illegalmente. Per esempio. Chi sono oggi i nuovi padroni di Ostia? È certamente in corso un riassetto degli equilibri criminali. Fiaccate le più importanti famiglie, sono subentrati cani sciolti e personaggi di spicco, intorno ai quali si vanno aggregando le diverse consorterie criminali.
Di certo alcuni nomi, ieri come oggi, restano molto influenti, come quello, pesantissimo, del clan napoletano dei Senese, molto attivo sul litorale romano, come dimostra il tentato omicidio di un anno fa di Paolo Ascani, cognato di Roberto Spada, il cui mandante per gli inquirenti sarebbe Girolamo Finizio, parente di Angelo Senese, fratello di Michele detto ‘O Pazzo. Per il clan di Afragola, gli Spada dovevano essere annientati, tanto più dopo le inchieste che ne avevano decapitato i vertici. È in tal senso che Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik, uomo dei Senese ma sempre più indipendente, avrebbe compiuto un passo falso con quella pax mafiosa, siglata tra Barboncino e gli Spada della quale si era auto-proclamato garante insieme a Salvatore Casamonica durante un pranzo a Grottaferrata svelato dal Gico di Roma. Ma a chi conta davvero quella pace decisa in autonomia non poteva piacere per troppi motivi, al netto del potere criminale che nessuno a Roma può permettersi di scalare da solo. Quell’accordo avrebbe finito per rianimare da una parte il potere chiassoso degli Spada e dall’altra avrebbe rafforzato ancora di più il gruppo in ascesa di Barboncino. “Due piccioni con una fava” per Salvatore Casamonica e Fabrizio Piscitelli, ma non per gli altri, tantomeno per i Senese.
Per i Costagliola, intanto, è stato escluso, al primo grado di giudizio, il reato di associazione mafiosa, un déjà vu fortissimo, del resto: ci sono voluti anni prima che si riconoscessero come mafiose le condotte dei Fasciani, degli Spada, dei Casamonica, dando ai clan una sorta d’impunità morale e tutto il tempo per inquinare il tessuto economico e sociale della città.