Carlo Calenda: «Meglio un’Europa senza i paesi dell’Est. Serve un’Unione che torni ai fondatori»

Carlo Calenda spiega il suo passaggio al gruppo europeo dei liberali e parla della sua idea di Europa

L’abbandono del gruppo dei socialisti europei, la prospettiva di un’area liberale, la candidatura di Gentiloni al Quirinale e il ritorno a un’Europa “a cerchi concentrici” e senza i paesi dell’Est. Carlo Calenda alla newsletter “Voci da Bruxelles” spiega la sua visione dell’Europa e il suo recente addio al gruppo dei socialisti.

 

Allora è fatta: lascia la famiglia dei socialisti europei?

«Letta ha chiarito che è favorevole all'ingresso dei 5Stelle nell'S&D. Lo sanno tutti ormai. È un segreto di pulcinella. Il PD resta un alleato con cui parlare e trovare una sintesi ma non penso che sia più casa mia per varie ragioni: per come è costruito dentro, per come si è mosso su Roma, per la classe dirigente immobile e per l'accettazione della deriva populista dei 5S».

 

Fuori dai socialisti cercherà di creare un'area liberale?

«Un'area riformatrice, non come la Cgil sulle pensione che non vuole cambiare nulla. Un'area che affronti i problemi di petto sapendo che le soluzioni sono alternative. Il taglio delle tasse limitato e generale accontenta tutti ma non risolve la questione dei giovani, la categoria che ha più bisogno. Occorre concentrarsi su alcune area non andare a pioggia: ad esempio non aumentare la spesa per le pensioni ma quella per l'istruzione. E poi il nostro impianto liberaldemocratico riformista ritiene che il giustizialismo non sia mai una soluzione».

 

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Ma in quell'area siete in tanti e piccoli, e non è che ci sia mai stata un'esperienza di successo...

«Azione è al 4% ma alla fine a Roma ha ottenuto il 20%. Siamo cresciuti silenziosamente. Oggi abbiamo 23 sindaci e 800 amministratori. La politica non è statica. Il riformismo è ostaggio di una lotta ideologica. Ma siamo in una fase nuova determinata dal Covid e da Draghi, che crea lo spazio per un percorso di recupero della, rappresentanza. E infatti sto girando il Paese».

 

Dunque vi unirete a Più Europa e Italia Viva?

«Con Più Europa siamo federati. Con Italia Viva la questione è più complessa. C'è una non chiara profilatura: vanno a destra, restano all'opposizione? È una questione politica non un problema di personalità. Non credo che si possa stare con i 5s e con il centro destra in Sicilia. Italia Viva deve fare chiarimento».

 

A Bruxelles sta crescendo l'interesse di Renew, che ha annunciato di accoglierla a braccia aperte, per la costruzione di un partito liberale in Italia...

«C'è la consapevolezza che senza l'Italia non si va avanti e che la persona più autorevole d'Europa è oggi Mario Draghi. Siamo in un mondo in cui le persone contano. Ed è per questo che Draghi non deve lasciare al presidenza del Consiglio».

 

E chi vedrebbe alla presidenza della Repubblica?

«Paolo Gentiloni è la persona perfetta. Di grande reputazione e di grande equilibrio, che ha sempre lavorato bene. È un liberale d'origine che votò a suo tempo contro l'ingresso del Pd nei socialisti».

 

Infine, tornando a Bruxelles: chi sarà presidente dell'Europarlamento nel secondo mandato?

«La mia tesi è che popolari liberali verdi socialisti debbano lavorare insieme. Il litigio sul presidente è normale e non è un caso che i socialisti considerino di fare spazio ai 5S proprio ora che hanno bisogno di pesare. Ma bisogna ricostruire il dialogo che si è un po’ spezzato tra liberali e socialisti.

 

I socialisti Sassoli non lo vogliono perdere...

«Certo: se non hanno Sassoli non hanno nessuno mentre il Ppe ha tutte le cariche principali. Occorre sedersi e parlare».

 

Infine, come vede quest'Europa ostaggio di troppi leader autocratici, dallo stato di diritto alle migrazioni?

«Dobbiamo promuovere un'Europa a centri concentrici in cui ci sganciamo dai Paesi dell'Est. Dobbiamo avere in parlamento i quattro partiti principali come punto di riferimento e in Consiglio i Paesi fondatori allargati. O faremo questo o non ci sarà soluzione. L'entrata dei paesi dell’Est è stata figlia di una visione della globalizzazione che si è dimostrata sbagliata. Adesso dovremmo smettere con l'allargamento e andare invece in profondità».

 

E Paesi come l'Albania che attendono da anni e hanno rispettato i criteri economici?

«Possiamo tenerli agganciati anche con fondi comuni ma si deve entrare in Europa quando si è acquisita una certa maturità culturale e politica. La Polonia e molti Paesi dell'Est non l'avevano e oggi ne vediamo i risultati».

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