Il deputato di FdI presiede il comitato parlamentare sui servizi. Ma era in rapporti con un fornitore di velivoli in Iran e Libia, condannato grazie ai Servizi

Pezzi di ricambio di elicotteri. Giubbotti antiproiettile. Aerei adattabili all’uso militare. Incontri con alti funzionari della guida suprema della Repubblica Islamica dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei. E un contratto di collaborazione con una società coinvolta in un’inchiesta per traffico di materiale «dual use», dal doppio uso civile e militare, esportabile solo con specifiche autorizzazioni ministeriali. Sono i contenuti, che L’Espresso pubblica in esclusiva, di alcune lettere commerciali e contratti riconducibili alla Italy world services, società di cui è stato legale rappresentante fino al giugno del 2018 il senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso, presidente del Copasir, il comitato parlamentare che controlla i servizi segreti. Urso, che presiede anche la fondazione Farefuturo fondata da Gianfranco Fini, ha avuto importanti incarichi di governo con Berlusconi: viceministro alle Attività produttive (2001-2006) e sottosegretario allo Sviluppo economico (2008-2010) con delega al commercio estero, l’autorità che aveva il potere di rilasciare le autorizzazioni all’esportazione di beni e tecnologie «dual use». I documenti su Urso, all’epoca imprenditore senza cariche politiche, sono stati scoperti nel corso di una perquisizione effettuata nel 2015 su ordine della procura di Napoli nella sede di un’altra azienda, la Società italiana elicotteri, che in quei mesi era coinvolta in una complessa indagine su un traffico d’armi verso l’Iran e la Libia, Paesi sottoposti a embargo e sanzioni. Inchiesta a cui avevano contribuito per l’attività informativa anche le agenzie di intelligence italiane Aise e Aisi.

 

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Tra i file recuperati dagli hard disk della Italiana elicotteri la Guardia di finanza aveva trovato anche la corrispondenza con la società di Urso, ritenuta di interesse investigativo, e il fascicolo era stato trasmesso per competenza a Roma. Interrogato nel marzo del 2017, Urso ha spiegato di non aver mai dato seguito a quelle richieste e proposte commerciali, e alla fine non è stato accusato di alcun reato: dopo alcuni accertamenti lo stralcio romano dell’inchiesta è stato archiviato.

 

Ma la documentazione sequestrata all’epoca svela fatti nuovi, privi di rilevanza penale ma con un sicuro risvolto politico: finora infatti nessuno sapeva dei pregressi rapporti fra Urso e l’imprenditore Andrea Pardi, l’ad della Italiana elicotteri che nel 2018 ha patteggiato a Napoli una pena di 1 anno e 11 mesi per aver cercato di esportare illecitamente velivoli «dual use» in Libia. A presentarlo all’esponente di FdI sarebbe stato un collega di partito. Proprio nei mesi del 2015 in cui Urso avviava la sua collaborazione con lui, Pardi era nel mirino dell’antiterrorismo di Milano per i suoi contatti con un gruppo di iraniani indagati per traffico d’armi, ritenuti vicini ai pasdaran e monitorati, oltre che dalle autorità italiane, anche dal Dipartimento per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dall’Fbi. A questi soggetti, noti come «gruppo Hashemi», Pardi avrebbe tentato di vendere elicotteri Bell 412 e Black Hawk dal duplice impiego civile e militare, ricevendo nel febbraio del 2015 il loro capo, Reza Hashemi, nella sede della Italiana elicotteri, pedinato da agenti statunitensi dell’Homeland security investigations.

 

Il contratto con la clausola della partecipazione al 5 per cento nella società dell'imprenditore Pardi

Hashemi, secondo notizie di intelligence riportate ai magistrati di Milano dal comando generale della Gdf, avrebbe fatto parte della Forza Quds, un corpo d’élite delle Guardie rivoluzionarie islamiche incaricato di compiere operazioni all’estero, comandato fin dal 1988 da Qassem Soleimani, il generale iraniano ucciso il 3 gennaio 2020 in un raid statunitense con un drone all’aeroporto di Baghdad. Considerata dagli Usa un’organizzazione terroristica, Quds sarebbe un canale di rifornimento di armi per «gruppi estremisti, tra cui talebani, hezbollah libanesi, hamas, jihad islamica palestinese, e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina».

Relazioni certamente imbarazzanti per il senatore di FdI in ragione dell’importante ruolo che ricopre dall’agosto scorso: quello di presidente del Copasir, con la facoltà di audire i vertici delle agenzie e di accedere a informazioni e documenti coperti da segreto di Stato. Organismo di cui il senatore Urso è stato membro e vicepresidente fin dall’inizio della legislatura, dopo aver lasciato la gestione della ditta di famiglia al figlio Pietro, continuando però a detenere il 31 per cento delle quote. La situazione appare ancora più delicata perché nelle complesse indagini della Procura partenopea nei confronti di Pardi e dei coniugi Mario Di Leva e Anna Maria Fontana,  questi ultimi risultati in contatto con «le massime cariche iraniane» e fotografati addirittura con l’allora presidente Mahmoud Ahmadinejad, erano stati decisivi proprio «l’eccezionale apporto informativo e i documenti rinvenuti dai Servizi di informazione e sicurezza nazionali», come sottolineano i pm di Napoli Catello Maresca e Maurizio Giordano nel provvedimento di fermo del 30 gennaio 2017.

 

Andrea Pardi, alla guida della Società italiana elicotteri

Grazie alla collaborazione dell’intelligence italiana con gli investigatori era emerso che si trattava di «soggetti già conosciuti per la specifica attività di compravendita di elicotteri e materiali dual use». E che Andrea Pardi avrebbe avuto, accanto all’«operatività formale» delle sue società in Italia, una «impresa parallela, fatta di società estere e di conti offshore, con i quali avviene la più cospicua parte delle transazioni». Informazioni fornite dagli stessi Servizi che oggi Urso controlla.

 

A suscitare l’interesse degli investigatori per la Italy world services di Urso era stata una richiesta proveniente da Teheran il 28 febbraio 2015 e relativa, secondo la Gdf, a «pezzi di ricambio di elicotteri» a cui era seguita, il successivo 23 marzo, una proposta della Società italiana elicotteri per l’importo complessivo di 2 milioni di euro. Altre email, scambiate nelle settimane e nei mesi seguenti con vari interlocutori, riguardavano poi forniture urgenti di «turbine», «giubbotti Iso 14876 antiproiettile e antitaglio», «aerei DHC-6 serie 400 Twin Otter», disponibili anche nella «versione militare/paramilitare chiamata “Guardian” per fare vari tipi di missione (Sar, pattugliamento costiero, border patrol, etc)». Si tratta di richieste rimaste spesso senza riscontro da parte di Urso. Sentito come persona informata sui fatti il 31 marzo 2017, Urso ha dichiarato di non aver «mai trattato materiali dual use o militari» e che alle email «non era seguito nulla». Di molte lettere mostrate dai militari nel corso dell’interrogatorio ha detto di non ricordare, ma ha assicurato di «non aver mai concluso alcun tipo di attività» con Pardi. Con il quale però aveva siglato, il 17 giugno 2015, un contratto in qualità di consulente con un incarico importante, destinato a rinnovarsi automaticamente ogni anno: sviluppare la rete commerciale della società di Pardi «con esclusiva per gli stati dell’Iran e del Sud Africa», in cambio del «5 per cento sul fatturato totale» della Italiana elicotteri. Un contratto che avrebbe voluto firmare lui stesso «per avere un accordo scritto che metta in chiaro le condizioni di collaborazione», come ha spiegato ai finanzieri del Gico. Urso sarebbe anche stato invitato nel settembre 2015 a Teheran da Mehdi Karimi, vicepresidente del Segretariato dello sviluppo della scienza e della tecnologia nei Paesi islamici, un ufficio, come spiega lo stesso Urso in una lettera di precisazioni alla Gdf, «collocato presso la amministrazione della Guida suprema creato di recente proprio per cogliere opportunità successive alla rimozione dell’embargo». In quell’occasione, i funzionari dell’ayatollah Khamenei gli avrebbero proposto addirittura, prosegue l’esponente di FdI, un accordo bilaterale «tra l’ufficio e la mia società che declinai».

 

L'nvito ufficiale di Teheran a Urso

Contattato da L’Espresso, il senatore Urso ha sostenuto di non essere «mai stato consulente di Pardi» e di non aver «mai concluso con questo signore affari di sorta né personalmente né attraverso la mia società». Quindi ha precisato di non sapere «nulla» delle inchieste giudiziarie che hanno riguardato Andrea Pardi, sottolineando che l’imprenditore all’epoca «aveva frequentazioni con ambienti apicali del settore in cui operava». Rispetto al contributo fornito dall’intelligence italiana alle indagini sui traffici di materiale «dual use» verso Iran e Libia, che hanno coinvolto soggetti con cui era in rapporti professionali prima di essere rieletto parlamentare, per il presidente del Copasir non ci sarebbe «alcuna incompatibilità» con le sue funzioni. Sul punto Urso scrive che «non sussiste alcun conflitto di interessi tra i miei attuali compiti istituzionali e le attività che ho svolto da privato cittadino prima di entrare in Parlamento», e che in seguito all’elezione in Senato nel 2018 «ho assolto a tutti gli obblighi di trasparenza previsti dalla legge, così come ho fatto nel 2010 quando mi sono dimesso dai miei incarichi di governo rispettando con rigore e puntualità la normativa sul conflitto di interessi». Infine, circa la possibilità di tornare a fare l’imprenditore che fornisce consulenze per le imprese in Iran e in altri paesi extra Ue, una volta concluso il suo ruolo di presidente del Copasir, il senatore di FdI ha escluso qualsiasi problema di opportunità: «Tutto ciò di cui ho conoscenza in ragione delle mie funzioni è sottoposto al segreto più rigoroso al quale mi sono attenuto sinora e continuerò ad attenermi».