Dovlatov, i libri invisibili: orrore e rimpianto nella Russia degli anni Settanta

Un film ammaliante per rievocare il grande scrittore russo. A Leningrado nel 1971

Si possono tenere insieme la condanna e la nostalgia, l’orrore e il rimpianto, la ferocia e l’elegia, o quanto meno l’ironia? Difficile ma ci si può provare, come dimostra Aleksey German Jr. con questo film ammaliante che rievoca la figura adorata di Sergej Dovlatov (1941-1990), grande scrittore russo metà armeno e metà ebreo (ma è la lingua a definire lo scrittore, come non si stancava di ripetere), seguendolo per sei giorni e sei notti, sette anni prima dell’esilio negli Usa.

 

Siamo ai primi di novembre dunque, nel 1971, a Leningrado nevica e bisogna sopravvivere a un sacco di cose. Alla stagnazione della società sovietica e alla depressione imperante. Ai rifiuti degli editori e al conformismo dei redattori capo, perché Dovlatov per campare collabora, violentandosi, a tristi riviste di regime. Bisogna sopravvivere alla vodka e al conformismo, come ci ricorda quel film di propaganda sul varo di una nave in cui gli operai compaiono truccati da Gogol, da Puskin o da Dostoevskij per dire sciocchezze sulla letteratura russa e i valori sovietici. Una delle tante sequenze geniali di questo film che resuscita gli umori, i colori e perfino gli odori di un mondo scomparso con la cura e quella punta di paradossale affetto che si riserva ai cari estinti impresentabili ma di rango. 

 

Anche perché l’amore, palpabile, per il seducente e malinconico Dovlatov (l’attore serbo Milan Maric) stinge su tutto ciò che lo circonda, o quasi. Le serate jazz clandestine; la moglie e la figlia, che appaiono a intermittenza; l’amico Brodskij, altro gigante destinato a emigrare, che vive doppiando film polacchi; i giardini in cui non si spacciano droghe ma libri proibiti (e Dovlatov, fingendosi un agente, terrorizza il “pusher” che gli propone Nabokov…). Intanto qualcuno si uccide per i rifiuti degli editori, qualcuno finisce male perché traffica dischi e collant con la Finlandia, dagli scavi della metro emerge un’intera classe di bambini sterminati anni prima dalle bombe naziste... Anche se su questo mondo tragico, assurdo e spesso ridicolo Dovlatov a volte passa il balsamo di un’ironia che non cade mai dall’alto, come sa chi conosce i suoi libri (tutti Sellerio), ma abbraccia un’intera epoca con compassione. La compassione sferzante dell’esule che non può vivere nel proprio mondo. Ma sa vederlo e raccontarlo come nessun altro.

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