Seraj Ouda ha 20 anni. Dalla Striscia, racconta a L'Espresso come la vita dei palestinesi sia cambiata a partire dal 7 ottobre 2023: le torture dei militari israeliani, il rumore perenne dei bombardamenti, la fame che scava nei corpi. "Mia sorella è uno scheletro con la pelle addosso, un corpo che si disfà lentamente"

"Mia sorella sta morendo. Evacuatela subito" - Diario da Gaza

Farah ha otto anni. Non può più camminare, non riesce a trattenere la pipì, non riesce più neanche a parlare senza fatica. Ha il viso gonfio, la bocca piena di ulcere, l’acidità nel sangue fuori controllo. Farah è mia sorella. E sta morendo. Ha contratto una forma di diabete infantile cronico e letale l’11 novembre 2023, nel pieno della guerra. Da allora è cominciata una battaglia disperata contro il tempo, la fame, e l’assenza totale di cure mediche. Ogni giorno è una lotta per tenerla in vita in un luogo dove non c’è più nulla: né cibo né medicine, né acqua né medici. Solo la fame, l’odore del sangue e il silenzio di chi guarda e non fa niente.

 

Farah è la prova vivente – ma per quanto ancora? – della condanna a morte a cui è sottoposta un’intera generazione di bambini palestinesi. Ogni giorno qualcuno muore come lei. Come un bambino che aveva la sua stessa malattia ed è morto la settimana scorsa per mancanza di cure e malnutrizione.

 

Mia sorella è uno scheletro con la pelle addosso. È caduta più volte in coma diabetico, sviene, non riesce ad alzarsi, non ha più forze. Le complicazioni della malattia, aggravate dalla fame, stanno mutando il suo corpo. Non è più la bambina che conoscevo. Non è più nemmeno un corpo intero, è un corpo che si disfà lentamente, che grida silenziosamente aiuto a un mondo che non ascolta.

 

Abbiamo chiesto, supplicato, implorato che venga evacuata. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Ma nessuno risponde. Nessuno la guarda. Nessuno la sente. Come se non esistesse. 

 

Eppure Farah resta attaccata alla vita, al suo essere bambina, all'amore nei confronti della sua tartaruga che ha portato con sé tutte le volte che siamo stati sfollati. Non l'ha mai lasciata un attimo, è così attaccata alla vita e alla sua sopravvivenza che non ha voluto abbandonare neanche la sua tartaruga. Il suo desiderio di restare su questa vita mi fa solo provare rabbia nei confronti del mondo che la sta uccidendo lentamente. 

 

Nel frattempo, mio padre ha problemi cardiaci, mia madre è esausta. A casa siamo rimasti solo io, Dima e Judy. Io cerco di raccontare, di documentare, di testimoniare, anche se ogni parola che scrivo può costarmi la vita. L’esercito israeliano ha minacciato di uccidermi per ciò che pubblico, per ciò che ho raccontato su come mi hanno torturato. Non ho più forze. Ho pensato mille volte di sparire dai social, di cancellarmi. Forse sparirò comunque, sotto le macerie, sotto una bomba, nel silenzio generale.

 

Mi sento soffocare, esausto, affamato. Qualche giorno fa ho ritrovato la mia macchina fotografica tra le macerie, l'avevo persa mesi fa, ma oggi non so più se serva a qualcosa. Sento di aver fallito. Di non essere riuscito a salvare mia sorella. E quando moriremo, saremo solo un’altra notizia qualunque.

 

Farah ha bisogno di cibo sano, ha bisogno di cure. Ha bisogno di uscire da qui adesso. Ha bisogno di essere in un luogo sicuro e noi con lei. Ogni ora che passa è un passo più vicino alla fine. Lo grido ancora, anche se forse è inutile: evacuate mia sorella Farah. Subito! Ma voi lo sapete già. Lo sapete che Farah sta morendo. E che io ho già smesso di sperare.

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