Un emissario Fininvest offrì soldi per censurare l’intervista a Canal Plus del magistrato, che accusava apertamente il boss Vittorio Mangano e confermava i suoi rapporti con il braccio destro del Cavaliere: filmata poco prima della morte del giudice eroe, fu tenuta segreta per due anni, fino a dopo le elezioni del 1994. A riaprire il caso sono le rivelazioni in punto di morte del giornalista francese Fabrizio Calvi: «So chi è stato il traditore»

Un milione di dollari. In cambio dei nastri integrali di un video-documentario su Silvio Berlusconi e Cosa nostra: cinquanta ore di filmati, con un’intervista clamorosa a Paolo Borsellino. Uno dei tanti misteri legati all’assassinio del magistrato simbolo della lotta alla mafia riguarda uno scoop televisivo che fu tenuto segreto per due anni. Nell’intervista concessa a due giornalisti francesi nel 1992, poco prima di esser ucciso, Borsellino accusava apertamente Vittorio Mangano, il boss di Palermo che fu assunto da Berlusconi ad Arcore, e confermava i suoi rapporti con Marcello Dell’Utri, l’ex senatore e top manager del gruppo Fininvest poi condannato per mafia. Nonostante la morte del giudice eroe, le sue rivelazioni sono rimaste sconosciute fino al 1994, quando sono state scoperte e pubblicate da L’Espresso. Mentre la televisione privata francese Canal Plus, che aveva commissionato il documentario, non l’ha mandato in onda. Le ragioni di quei due anni di silenzio non sono mai state completamente chiarite. Ora questa inchiesta giornalistica offre le prime tracce di una manovra di insabbiamento, che chiama in causa un fedelissimo di Berlusconi e un manager televisivo parigino, che viene definito «il traditore».

 

L’INTERVISTA A PAOLO BORSELLINO PUBBLICATA DA L’ESPRESSO

 

Tutto inizia il 21 maggio 1992. È un giovedì, sono le 15,30. Fabrizio Calvi, un giornalista d’inchiesta francese, e Jean Pierre Moscardo, regista e produttore esterno per Canal Plus, incontrano Paolo Borsellino nella sua casa di Palermo. L’intervista è il fulcro di un documentario con molte altre voci prodotto a spese della prima tv francese a pagamento. Due giorni dopo, il 23 maggio, Giovanni Falcone viene ucciso con la moglie e tre agenti della scorta nella strage mafiosa di Capaci. Anche Borsellino è destinato a morire meno di due mesi dopo, il 19 luglio, trucidato da un’autobomba di Cosa nostra in via D’Amelio, sotto casa della madre.

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Fabrizio Calvi, pseudonimo di Jean-Claude Zagdoun, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1954, era un grande reporter, amico de L’Espresso da decenni. Abbiamo lavorato insieme in moltissime inchieste giornalistiche, in Italia, Francia, Stati Uniti. Malato di Sla, il 23 ottobre scorso ha deciso di porre fine alle sue sofferenze. Non ce la faceva più a non essere padrone di sé stesso, costretto in una carrozzella, a doversi esprimere a fatica, con frasi sospese. L’ultima foto ce l’aveva mandata da Marrakech, poco prima. Lo ritraeva sorridente, imbragato in una lettiga, con le due dita a V, mentre stava per essere imbarcato con la moglie su un aereo-ambulanza che lo avrebbe portato in Svizzera per l’addio alla vita. Anche in questi ultimi mesi ci siamo sentiti spesso, quasi ogni settimana. Fabrizio sapeva che la Sla non perdona, ma sperava di ritardarne il decorso. Dopo una carriera costellata da tanti successi, l’esordio a Liberation, le inchieste per le televisioni francesi, i libri sulla mafia italiana, sull’11 settembre, su Donald Trump (l’ultimo nel 2020), aveva un solo grande rammarico: il film su Berlusconi, rimasto nel cassetto. Discutendone, fra luglio e ottobre, ci ha fatto due rivelazioni. Ci ha parlato di due fatti, collegati, che offrono la prima possibile spiegazione dello stop (o dietrofront) della tv francese sull’intervista al magistrato antimafia.

Il primo indizio è una confidenza che Fabrizio ha ricevuto da Moscardo, che era con lui a casa di Borsellino. Il regista gli ha rivelato che era stato contattato da un emissario, incaricato di offrirgli «un milione di dollari» per avere i filmati completi, cioè tutte le 50 ore di girato. Una proposta fatta a nome di uno dei manager più vicini a Berlusconi. Moscardo è morto nel 2010, la sua confidenza risale a «qualche anno prima». Calvi ne ha parlato per la prima volta a L’Espresso poco prima di morire. Il regista gli fece il nome dell’emissario e gli assicurò di aver rifiutato quei soldi, ma ne parlava con imbarazzo. Fabrizio era convinto che non gli avesse raccontato tutto.

Il secondo indizio è un’altra confidenza di Calvi, che riassume in poche parole il risultato del suo lungo e tenace lavoro su quell’intervista: «So chi è stato il traditore». Nelle sue ultime telefonate via Internet, Fabrizio ci ha fatto il suo nome: un manager francese che ha lavorato per Canal Plus, ma è stato anche consulente delle tv di Berlusconi. È lui l’emissario che offrì i soldi a Moscardo. Fabrizio non ha fatto in tempo a spiegarci tutto quello che aveva scoperto. Ci ha detto però che quel manager era contrario fin dall’inizio a produrre il documentario per Canal Plus. Va ricordato che tra maggio 1992 e aprile 1994 l’esistenza stessa di un’intervista di Borsellino su Mangano, Dell’Utri, Berlusconi e la mafia era conosciuta solo all’interno del canale televisivo francese, da poche persone che la tenevano segreta.

Un fotogramma dell''ultima intervista di Paolo Borsellino, rilasciata ai giornalisti francesi Jeanne Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi (Canal+) il 21 maggio 1992 

Il muro di omertà che copriva le parole di Borsellino è caduto proprio grazie al legame di Fabrizio con il nostro settimanale. Uno degli autori di questo articolo, nel marzo 1994, è stato suo ospite per un mese, a Parigi, nella sua casa nel quartiere della Bastiglia, per scrivere insieme un libro sulla corruzione, “Les nouveaux réseaux de la corruption”, poi pubblicato in Francia. Durante la stesura della postfazione, intitolata “Le relazioni pericolose”, Fabrizio suggerisce: «Qui si potrebbe mettere una dichiarazione di Paolo Borsellino». Fabrizio trascrive questa frase: «Vittorio Mangano era una delle teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia». E così salta fuori la storia della video-intervista ancora inedita. L’articolo de L’Espresso esce l’8 aprile 1994, quando Berlusconi ha già vinto le elezioni con Umberto Bossi e Gianfranco Fini.

Mangano è un mafioso di Palermo, raccomandato da Dell’Utri, che ha vissuto ad Arcore con tutta la sua famiglia, stipendiato da Berlusconi, per circa due anni, dal 1974 al 1976. Il suo ruolo in Cosa nostra è il primo pilastro della condanna di Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Tutte le sentenze, in ogni grado di giudizio, spiegano che l’assunzione di Mangano cementò «un patto di protezione mafiosa» durato quasi vent’anni: per evitare sequestri di familiari o attentati alle aziende, Berlusconi ha sempre pagato il pizzo a Cosa nostra, dal 1974 al 1992, senza mai denunciare i mafiosi. E Dell’Utri, suo braccio destro nell’edilizia e nella pubblicità, era il «tesoriere e garante» dell’accordo con i boss di Cosa nostra.

 

Berlusconi e Dell’Utri hanno sempre sostenuto che all’epoca ignoravano chi fosse Mangano. Borsellino, nell’intervista, afferma invece che già allora era un noto criminale, arrestato più volte: «Tra il 1974 e il 1975 fu coinvolto in una mia indagine per estorsioni fatte a cliniche private: ai titolari venivano inviate teste di cane mozzate. Poi ho ritrovato Mangano al maxiprocesso, perché fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d’onore appartenente alla famiglia di Porta Nuova capeggiata da Pippo Calò. E già dal precedente processo Spatola, istruito da Falcone, risultava che Mangano a Milano costituiva un terminale dei traffici di droga: nel 1980 fu arrestato per questo e condannato».

Mangano è morto nel 2000 a casa sua, agli arresti domiciliari per malattia, dopo essere stato condannato all’ergastolo come boss di Cosa nostra e mandante di un omicidio commesso a Palermo nell’ottobre 1994. Dell’Utri, nel suo lungo processo, non lo ha mai attaccato, anzi è arrivato a definirlo «un eroe», perché si è rifiutato di «fare dichiarazioni false contro me e Berlusconi». Nella polemica che ne segue, molti obiettano che, per gli italiani onesti, gli eroi sono i magistrati come Falcone e Borsellino, che hanno sacrificato la vita per contrastare la mafia.

Nel 2013, però, Berlusconi in persona dà ragione a Dell’Utri: «Credo che Marcello abbia detto bene quando ha definito un eroe Mangano, che quando fu arrestato si rifiutò di testimoniare il falso su di noi».

Fabrizio Calvi è sempre stato convinto che sul caso dell’intervista a Borsellino abbiano pesato anche ragioni economiche: Berlusconi in Francia controllava La Cinq, una tv generalista con bilanci disastrosi, tanto da progettare di trasformarla in una rete criptata a pagamento. Entrando così in concorrenza diretta con Canal Plus. Quando poi La Cinq ha chiuso i battenti, i rivali francesi hanno perso ogni interesse per il documentario-choc.

Negli ultimi anni l’intervista a Borsellino è entrata a far parte anche di una nuova inchiesta della procura di Caltanissetta. Nell’ottobre 2020 l’aggiunto Gabriele Paci ha interrogato Fabrizio Calvi vicino a Losanna. Il verbale è stato secretato. Si sa soltanto che alla deposizione ha potuto presenziare un avvocato, con una funzione di garanzia procedurale. E una strana interpretazione del suo ruolo: si è opposto alle domande su Berlusconi e Dell’Utri, arrivando a zittire le risposte del giornalista, ormai in difficoltà per la malattia.

 

Nel giorno della sua fine «programmata», Fabrizio Calvi ha mandato agli amici più intimi un messaggio di sfida alla morte, con un titolo italiano: «È finita la commedia»: «Oggi faccio il mio ultimo inchino, mi congedo, esco. Quindi vi saluto, vi ho amato tutti». Segue il testo di una scrittrice francese, Anne Bert, vittima della stessa malattia di Fabrizio: «La Sla mi ha portato via tutto. La mia speranza di vita, i miei progetti, il mio immaginario, le mie voglie, la mia integrità fisica, la mia autonomia, i miei sogni e le mie notti. Ora ho il terrore di essere mummificata viva e la certezza di morire velocemente, senza sapere esattamente quando. La mia morte è programmata, ma solo da lei. Voglio morire in pace prima di essere torturata. Prenderò strade trasversali, attraverserò il confine per scappare da ciò che è proibito: scegliere la mia morte senza rinunciare al mio gusto di vivere».