Opinione
Il pericolo dietro il "governo dei migliori"
Si traduce sempre nell’aristocrazia dell’élite. E conferma che ciò che si richiede è solo una governance amministrativa
Chi non si sarà sentito sollevato dopo l’incarico a Mario Draghi? Finalmente la luce di una direzione nello scenario tetro di una crisi, reso ancor più angoscioso dall’urgenza dei gravi problemi insoluti. Eppure, chi ha a cuore la democrazia, insieme al sollievo non potrà fare a meno di avvertire un profondo senso di inquietudine. Ancora una volta l’Italia è laboratorio politico di sperimentazione, a cui tutto il mondo guarda. Se non fossimo costretti a viverci, pagandone il prezzo, potremmo anche osservare e analizzare con interesse. La competenza fatta persona prende in mano le sorti del paese dopo che i neopopulisti hanno mostrato la loro inettitudine, diventando tutt’al più specialisti di ambiguità trasformistica e professionisti di seduzione videopolitica. La polarizzazione non potrebbe essere più estrema. Nel mezzo sta la politica.
E dove sta la politica, dovrebbe essere protagonista la sinistra – quella che alimenta la speranza, senza incedere in vuoti proclami, quella che per un tempo credibile traccia un programma chiaro, senza dilapidare la fiducia e frustare gli ideali democratici. Al contrario, consensualismo gestionale e indeterminatezza tattico-remissiva sono un regalo ai neopopulisti. Si finisce come quelle persone che, per dirla con Musil, non hanno «mai del tutto torto in niente, perché i loro concetti sono indistinti come figure tra i vapori di una lavanderia». Evaporazione, dissoluzione. Chi assorbe chi? «Conte fortissimo punto di riferimento delle forze progressiste»! Non per caso, nel paesaggio dominato dal neopopulismo, uno dei grandi pericoli che le forze politiche corrono è l’autoannientamento.
Adesso, dunque, Draghi. Il migliore. L’immagine prestigiosa di un’Italia forte, nel momento in cui si traccerà la politica planetaria nell’epoca postpandemica. Bene, allora, dato che ne va del nostro futuro. Ma non si può dimenticare quello smascheramento machiavellico della vita politica che è apparsa d’un tratto un teatro d’ombre, il simulacro di un’impossibile democrazia. Non solo perché il governo dei migliori si traduce nell’aristocrazia dell’élite, ma anche e soprattutto perché si conferma che ciò che si richiede è una governance amministrativa. Con il rischio di fraintendere la competenza riducendola – come già avvertiva Weber – a sapere tecnico. Il che non esclude ovviamente che Draghi non darà esempio di quella competenza che è phronesis, saggezza di decisione. Ma gli interrogativi riguardano l’espropriazione della democrazia e l’abdicazione della politica. L’una è connessa con l’altra.
Quale sarà il prezzo del disincanto democratico? L’esito di un pluralismo indistinto che, al di là di destra e sinistra, si diluisce e si dissolve nella governance consensuale? Perché questo si deve precisare: stato d’eccezione non vuol dire solo il decreto d’urgenza come paradigma di governo. Significa, ben di più, la disarticolazione e lo svuotamento di ideologie, credenze, istituzioni. Di questa nullificazione della politica l’Italia è esperimento d’avanguardia.