Eugenio Scalfari: «Quando incontrai De Lorenzo alla Casina Valadier»
Pubblichiamo alcuni brani di un’intervista inedita del 2007 a Scalfari dello storico Alessandro Giacone, che collaborava al libro di Mimmo Franzinelli “Il Piano Solo”
Come è stato informato dell’esistenza del Piano Solo?
«Nella primavera del 1967, un deputato socialista, Pasquale Schiano, disse a Lino Jannuzzi, inviato dell’Espresso, che aveva sentito voci attendibili che confermavano il “rumore di sciabole” di cui aveva parlato Nenni durante la crisi del governo Moro, nel luglio del 1964. In che consisteva questo rumore di sciabole? Nel fatto che il generale De Lorenzo in quanto comandante generale dei carabinieri, fu chiamato dall’allora presidente della Repubblica, Antonio Segni, che mostrava grande preoccupazione per l’ordine pubblico e per la politica del centro-sinistra. Voleva che De Lorenzo approntasse un piano di difesa che potesse entrare in funzione se la sinistra avesse preso delle iniziative. Schiano citò tra le fonti generali ai vertici dei carabinieri e ci parlò anche di Ferruccio Parri. Anche Parri aveva avuto le stesse informazioni e dava credito a queste voci. Così uscì il primo articolo di Jannuzzi.
Prima di pubblicare questo primo articolo, telefonai a De Lorenzo, con cui ero in buoni rapporti, e gli dissi che dovevo parlargli per una cosa urgente e molto seria. Mi disse: “Non venga al comando, vediamoci alla casina Valadier”. All’epoca la casina era chiusa per lavori di restauro, ma lui fece aprire una stanza isolata. De Lorenzo amava queste forme di segretezza. Gli dissi: “Guardi Generale, siamo venuti in possesso di queste notizie e le stampiamo nel prossimo numero. Io la informo, se lei ha qualcosa da rilevare o da smentire”. Lui rispose: “Io potrei spiegare tutto. Però non posso dire nulla, perché tutto è coperto dal segreto militare”. Allora gli dissi: “Guardi Generale, devo dirle che, da questo momento, le nostre strade divergeranno. Perché non posso accusarla di cose di questa gravità e poi continuare a vederla come un amico”. Dopo l’uscita dell’articolo, lui ci querelò ed iniziò poi il processo, noi andammo avanti con l’inchiesta».
Fu l’ultima volta che parlò del Piano Solo con de Lorenzo?
«Noi perdemmo il processo in primo grado, anche se il generale Zinza (nel 1964 capo della legione dei carabinieri di Milano) confermò la nostra versione. Era una testimonianza risolutiva, perché noi non l’avevamo intervistato.Tutto lo stato maggiore dell’Arma testimoniò il falso davanti al Tribunale. Lo dico oggettivamente, perché poi ammisero l’esistenza del Piano Solo quando furono interrogati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta. Il pubblico ministero Vittorio Occorsio chiese l’archiviazione del processo. Il tribunale, invece ci condannò. Anche per la questione degli omissis. Scrissi una lettera aperta ad Aldo Moro, dicendogli che aveva privilegiato il segreto di Stato sui diritti della difesa. Avevo un intenso rapporto professionale con Moro, che in quel momento si interruppe. Quel rapporto riprese solo pochi giorni prima del suo rapimento. Poi, De Lorenzo si ammalò e la malattia arrivò a una fase terminale. I suoi avvocati proposero al nostro di arrivare ad una forma di remissione delle reciproche querele. Noi accettammo e il processo si chiuse».
Ha mai rievocato questi eventi con Nenni ?
«Da deputato del Psi, andai più volte da Nenni. Anche la commissione d’inchiesta certificò l’esistenza del Piano Solo, con una relazione di maggioranza che tentava di minimizzare, e due di minoranza, comunista e liberale, che aderivano al nostro punto di vista. I socialisti firmarono la relazione di maggioranza con la Dc. Andai da Nenni e gli dissi che era una cosa molto grave. Nenni si strinse nelle spalle e disse: “Sì, lo so, ma non posso mica mandare a monte una formula di governo, il centro-sinistra, solo per un’impuntatura”. Quella ormai era roba passata. Ma era stato proprio lui a parlare di “rumore di sciabole”».