Stefano Trumpy, direttore del Centro Nazionale di Calcolo Elettronico di Pisa nel 1986, ricorda i momenti in cui fu stabilita la prima connessione con i partner di ricerca americani, per il collegamento tra utenti di calcolatori diversi

«Sulle grandi storie c’è sempre voglia di conoscere il primo passo. È un po’ come con il mito di Prometeo». Esordisce così Stefano Trumpy, oggi presidente onorario di Internet Society Italia, per descrivere il grande evento che 35 anni fa, sotto la sua guida, cambiò per sempre la vita degli italiani: la prima connessione a Internet.

Era il 30 aprile 1986 e il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico (CNUCE) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa stabiliva il primo “ping” con la Pennsylvania, in grado di connetterlo permanentemente ad Arpanet (l’allora Internet). L’Italia fu il quarto Paese, dopo Inghilterra, Norvegia e Germania, a eseguire il collegamento e solo un anno dopo fu il primo a registrare il dominio .it, richiesto il 23 dicembre 1987 e divenuto attivo il 1º gennaio 1988 (il primo nome registrato fu cnuce.cnr.it).

 

La connessione italiana ad Internet compie 35 anni. Cosa accadde quel 30 aprile del 1986?

«Bisogna partire dal Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico. Fu un'organizzazione nata nel 1965, per volontà dell’Università di Pisa che ebbe l’idea di costituire una struttura per la diffusione dell’informatica, che all’epoca era ancora agli albori in Italia. Nel 1974 divenne poi un istituto del CNR. Il merito quindi dell’introduzione di Internet in italia nell’86 è del CNR, in sostanza. C’era dietro però tutta una struttura, costituita appunto dal CNUCE, la Telespazio e Italcable, che avrebbe permesso da lì a poco il collegamento tra Pisa, il Centro Spaziale del Fucino e infine, con un satellite Italsac, la Pennsylvania. In istituto, davanti ai terminali, c’era un signore, Antonio Blasco Bonito, colui che cercava di mandare il segnale e che aspettava pazientemente una risposta. Quel giorno dopo aver mandato un “ping” ne arrivò subito un altro, che confermava l’avvenuto collegamento. Brevi segnali che ci hanno connesso all’odierno Internet (allora Arpanet)».

 

Lei non era fisicamente presente quel giorno in sede. Cosa ha provato?

«Ci si aspettava che il collegamento potesse venir fatto da un giorno all’altro ma io, essendo il direttore, avevo anche altri impegni a Roma. Sapevamo però che sarebbe successo e persino un piccolo comunicato stampa fu predisposto già un paio di settimane prima. Quel giorno Antonio Blasco Bonito ci avvisò e tutti esultammo: finalmente c'eravamo».

 

Chi c’era dall’altra parte, in Pennsylvania?

«Una squadra di scienziati che come noi aveva l’obiettivo di mettersi in collegamento con i propri partner di ricerca attraverso la posta elettronica. C’è da dire però che già nell’ottobre del 1969 l’America aveva realizzato il primo collegamento tra due calcolatori, anche se in quel caso nessuno aveva detto “guardate cosa abbiamo fatto” perché le cose sono cresciute dopo, c’è voluto del tempo affinché si capisse che quello era stato il famoso “ping” che avrebbe dato inizio al fenomeno. Lo hanno festeggiato dopo insomma».

 

Come avete lavorato nel periodo precedente?

«L’istituto ha cominciato a occuparsi della questione nel 1980. A quel tempo io avevo già fatto delle attività alla NASA (perché nella mia carriera sono stato anche coinvolto nelle operazioni di calcolo delle traiettorie del satellite SIRIO, che era il primo satellite italiano di sperimentazione delle telecomunicazioni), ma non ero ancora direttore dell’istituto. Lo sarei diventato nel 1983, tre anni prima del collegamento, al quale ci siamo arrivati dopo aver conosciuto scienziati americani che avevano sviluppato dei protocolli affinché si potessero collegare alla Rete utenti di calcolatori diversi. In Europa c’era già una rete di calcolatori, che si chiamava European Academic Research Network (EARN) e di cui io ero il responsabile italiano, che collegava però solo gli utenti degli IBM. Per cui si era cominciato a studiare un insieme di protocolli che permettessero di collegare anche altri calcolatori, affinché ci fosse la possibilità di attivare utenti di calcolatori di ogni tipo. Questa operazione però richiedeva un investimento importante, che non poteva fare l’istituto da solo, ma che aveva bisogno della presidenza del CNR di Roma. Per questo ci è voluto tanto tempo. Ma non solo in Italia, anche negli altri tre Paesi che si sono collegati prima di noi: Norvegia, Regno Unito e Germania».

 

Dell’evento, all’epoca, non si parlò molto. Si sarebbe mai aspettato che quel giorno avrebbe invece cambiato la vita degli italiani?

«La vita degli italiani chiaramente è cambiata e non poco, è cambiata enormemente. Però, da parte nostra, c’è voluto un bel po’ di tempo prima che ci rendessimo conto di aver messo in piedi una cosa tanto grande: al momento dell’annuncio fummo ignorati anche dalla stampa, non se ne comprese la portata. Oggi, in Italia, gli utenti connessi ad Internet sono tra l’80 e l’85 per cento, su 60 milioni di abitanti. C’è da dire però che all’inizio le applicazioni erano molto limitate: c’era la posta elettronica e lo scambio di documenti perlopiù. A noi però interessava la ricerca, perché il fatto di poter parlare con i nostri colleghi a livello internazionale era una cosa che rendeva più facile ed efficace le ricerche che stavamo facendo».

 

L’Italia, grazie al CNUCE, fu anche il primo Paese a registrare il dominio .it nel 1987. Come proseguì lo sviluppo di Internet, dopo questi due importanti episodi?

«Alla fine del 1986 il collegamento veniva fatto solo via satellite e con delle capacità di trasmissione molto limitate, anche dal punto di vista della velocità di passaggio dei messaggi e delle informazioni. Negli anni ‘90 poi, in particolare nel 1992, gli utenti connessi nel mondo erano tra i 12 e i 15 milioni ed erano quasi tutti appartenenti al mondo della ricerca e dell'università. Pian piano poi, sempre intorno a quegli anni, l'interesse si allargò anche ad altri campi, altre società iniziarono ad incuriosirsi e questo determinò una crescita esponenziale del fenomeno».

 

Possiamo dire che lei insieme alla sua squadra ha fatto la storia di Internet in Italia. Quali sono secondo lei i benefici di una società digitale?

«Dall’86 ad oggi sono cambiate molte cose. Sono nati numerosi altri servizi: Google, Amazon, Facebook, che hanno permesso, nel 2005, di sancire la nascita della società dell’informazione. In quell’anno ci fu il World Summit on the Information Society (WSIS) perché si raggiunse il miliardo di utenti Internet. È nata praticamente una nuova era, in tutto il mondo, non solo in Italia, nonostante all'inizio non si pensasse minimamente che Internet sarebbe diventata un’organizzazione così ampia da dire “cambierà tutto”».

 

C’è qualcosa che non le piace di questi sviluppi?

«Io ho lavorato per il governo italiano per 20 anni, sui temi di Internet, partendo nel 1995 fino al 2014, perché poi anche i politici hanno sempre ritenuto che Internet fosse un benefit per ciascuno di noi. C’è stato però un cambiamento importante avvenuto tra il 2015 e il 2016, quando i partiti politici hanno iniziato a capire le potenzialità di Internet e soprattutto dei social network e la possibilità che avevano, attraverso di essi, di raccontare le proprie verità e talvolta anche di influenzare le elezioni. E poi, riflettendoci, ci sono le fake news, che hanno tirato in ballo anche altri problemi di una certa portata oppure si pensi alla privacy che è quasi del tutto sparita».

 

Di cosa si occupa lei oggi?

«Io sono entrato nel CNR nel 1969, a 24 anni, e il mio lavoro è continuato lì fino alla pensione. Sono andato in pensione alla fine del 2014 ma fino al 2018 sono stato Presidente di Internet Society Italia di cui ora sono solo Presidente onorario, dopo aver passato il testimone, tre anni fa, ad Alessandro Berni».

 

Qual è la missione di Internet Society Italia?

«Internet Society, come organizzazione internazionale, nasce nel 1992 in Giappone, con l’obiettivo di sostenere e promuovere lo sviluppo di Internet come infrastruttura tecnica globale, una risorsa per arricchire la vita delle persone e una forza positiva nella società. Con il tempo si sono create delle sezioni in varie località del mondo e il “chapter” italiano fu costituito da me il 17 maggio del 2000. Quest’anno è già il ventunesimo anniversario della sua nascita».

Intervista Stefano Trumpy_stefanotrumpyfoto