ll caso McKinsey è solo la punta dell’iceberg. L’utilizzo di uomini provenienti da società di consulenza nelle tolde di comando dello Stato, e nel caso McKinsey di governo con Colao, è ormai una pratica diffusa a macchia d’olio in tutta la pubblica amministrazione. Da tempo lo Stato ha esternalizzato un pezzo del suo cuore pulsante, le scelte chiave sulla spesa in ministeri, Regioni e Comuni, alle società esterne che hanno fatto affari d’oro: con contratti con la pubblica amministrazione che valgono più di 3 miliardi di euro negli ultimi sei anni e un esercito di 4 mila esperti dentro le amministrazioni. Società che con le loro lobby, e spesso gli strofinamenti con la politica, hanno acquisito un peso enorme dentro le stanze del potere. Perché in assenza di esperti e tecnici, sono spesso gli uomini delle società di consulenza ad avere un ruolo chiave: esperti targati Deloitte, Pwc, Ernst&young, Dbi, Invitalia, Formez, solo per citare le principali società internazionali con rami in Italia e le aziende parapubbliche ma che agiscono da privati in questo ricco mercato. Volti che controllano la spesa, suggeriscono i criteri e le linee guida dei bandi e hanno accesso di prima mano a informazioni su come verranno indirizzate le risorse dello Stato, interne ed europee, per investimenti e progetti.
Un ruolo spesso vitale perché, è bene ribadirlo subito, dopo aver assestato colpi micidiali alla pubblica amministrazione, adesso senza gli esperti esterni le già lente macchine degli enti locali e dei ministeri non riuscirebbero a spendere un euro. Peccato però che in questo scenario si sia creata in Italia una grande zona grigia: con il meccanismo delle porte girevoli, le stesse società fanno anche consulenza per le aziende private che partecipano spesso ai bandi pubblici per ottenere finanziamenti; oppure sono gli stessi ex consulenti che diventano dirigenti della pubblica amministrazione e affidano poi a loro volta consulenze esterne allo stesso mondo dal quale provengono. Una cosa è certa: il fiume di denaro del Recovery fund sarà nella pratica investito e speso con bandi e progetti scritti spesso dalle grandi società esterne.
LA CARICA DEI TECNICI
A fronte di un calo dei dipendenti pubblici, scesi a 3,2 milioni con 300 mila posti vacanti da dieci anni a questa parte, è cresciuto il ricorso agli esperti esterni. Solo con i fondi europei sono stati spesi per «assistenze e rafforzamento della Pa» 3 miliardi di euro. A questa cifra vanno aggiunti gli incarichi dati anche per le consulenze su fondi statali, come quelli gestiti dalla Cassa depositi e prestiti o da altri rami dello Stato. Impossibile avere un dato certo, ma gli addetti al settore sussurrano di una spesa aggiuntiva di almeno un miliardo di euro negli ultimi sei anni.
Ma dove lavorano questi esperti? Ad esempio al ministero dell’Istruzione lavorano circa ottanta consulenti della Pricewaterhouse advisory (Pwc) per un contratto di 30 milioni come assistenza alla spesa dei fondi del Piano operativo nazionale che per il comparto dell’istruzione vale oltre 1,2 miliardi. Sono gli uomini della Pwc che si occupano di «assicurare la verifica e il controllo sui progetti». Al Miur un altro contratto di consulenza esterna ce l’ha la società Nova srl per 56 milioni di euro. Al ministero delle Infrastrutture la gara per l’assistenza dei piani «reti e infrastrutture» è stata aggiudicata alla Deloitte, insieme a Pwc, per 9 milioni di euro. E, ancora, all’Agenzia per la coesione territoriale ci sono gli uomini di Ernst&Young con gara vinta da 30 milioni e una cinquantina di consulenti. Pwc ha poi vinto la gara nei ministeri del Lavoro, dei Beni culturali e dell’Interno con un’altra gara da 28 milioni di euro, mentre i consulenti Deloitte sono anche nelle principali regioni del Sud, dalla Calabria alla Sicilia, dopo essersi aggiudicati il bando da 28 milioni per l’assistenza sui fondi Ue.
La gara per l’assistenza tecnica di Liguria, Lombardia, Piemonte, Umbria, Valle d’Aosta, del valore di 27 milioni di euro, è stata vinta dall’inglese Bdo insieme alla Bip, Creasys srl e Selene audit Srl. I consulenti della Pwc sono anche nelle Regioni Lazio e Sardegna con contratti da 18,3 milioni. Ernst&Young è in Abruzzo, Basilicata, Marche, Molise con contratti da 11,6 milioni. In Campania e Puglia, con contratto da 55 milioni di euro, ci sono Meridiana Italia e Lattanzio. Anche la creatura di Domenico Arcuri, Invitalia, riceve decine di milioni di euro per assistenza tecnica ai ministeri. McKinsey invece ha un ruolo nella valutazione dei progetti del Fondo nazionale innovazione di Cassa depositi e prestiti, che da solo vale 1,2 miliardi di euro, mentre il fondo dell’Agenzia nazionale giovani ha come consulenti gli uomini della Ernst&Young. A proposito di porte girevoli, sia l’amministratore del fondo Cdp sia il direttore dell’Agenzia nazionale giovani arrivano da esperienze nelle stesse società di consulenza.
ACCESSO ALLE INFORMAZIONI
Il vero problema è che negli ultimi venti anni gli investimenti nella pubblica amministrazione sono crollati. Non solo non c’è stato un ricambio, ma sono stati dimezzati i fondi per la formazione e da anni non si fanno veri concorsi per assumere dirigenti apicali nei ruoli chiave. Qualche selezione c’è stata, ma non per numeri sufficienti. Secondo Maurizio Petriccioli, segretario generale Funzione pubblica Cisl, ormai non c’è più tempo da perdere se non si vuole dare tutto ai privati: «Chi paga le conseguenze dei tagli al sistema pubblico sono i cittadini: in un anno di guerra al Covid ci siamo illusi di poter recuperare, in pochi mesi, il gap determinato da decine di miliardi di mancati investimenti nella sanità. E ci siamo illusi di poter rendere immediatamente esigibili quelle risorse destinate alle categorie più esposte e colpite dai lockdown chiamando la pubblica amministrazione a uno sforzo organizzativo senza precedenti con le dotazioni organiche di personale ridotte all’osso, in un comparto in cui l’età media è di 50,7 anni e solo il 3 per cento è composto da nativi digitali». Nel 2021, per la prima volta, il numero di pensionati della Pa supererà i suoi dipendenti. Per Petruccioli va posto un freno ai contratti esterni: «Oggi sono innumerevoli le agenzie, grandi o piccole, che si occupano di offrire quelle risorse che hanno capacità in materia di project management. Ma per quale motivo non è possibile internalizzare determinate figure? Se continuiamo a rimandare questo processo, vedremo le grandi aziende di consulenza fare affari con i governi senza che sia chiaro ai cittadini a quali tipologie di informazioni o dati sensibili possono accedere. E continueremo a vedere i rappresentanti di interessi particolari svolgere attività di lobbying sul decisore pubblico con poca trasparenza».
Secondo Luca Bianchi, direttore della Svimez, nonostante la spesa per consulenze esterne, i risultati sulla qualità degli investimenti degli enti pubblici non sono stati buoni: «Il meccanismo prevalente è stato quello della costruzione di una sorta di amministrazione parallela. L’incapacità di una pianificazione degli interventi da parte delle figure apicali della pubblica amministrazione ha schiacciato gli interventi esterni sulla risoluzione di problemi strettamente amministrativi, che avrebbero dovuto essere svolti da personale interno. Un meccanismo che peraltro genera un’inevitabile tendenza a prorogare negli anni i contratti di assistenza tecnica, unica formula per molte amministrazioni pubbliche per avere personale aggiuntivo in tempi rapidi, con i rischi di intermediazione politica connessi all’assenza di procedure trasparenti di selezione del personale impiegato».
IL PIANO DEL MINISTRO BRUNETTA
Già il governo Conte, su proposta del ministro del Sud Giuseppe Provenzano, aveva presentato nella legge di stabilità una norma per ridurre il ricorso alle società private creando un bacino da 2.800 esperti da assumere a tempo all’Agenzia della coesione territoriale. Il bando per assumere questi esperti sarà pubblicato a breve, come ha assicurato il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta.
Il nuovo ministro conosce bene l’argomento delicato delle consulenze. Nel 2008 chiese, da componente del governo Berlusconi, che fossero pubblicati online tutti i dati relativi alle consulenze esterne pagate dalle amministrazioni pubbliche. Oggi annuncia di voler irrobustire una macchina, quella del pubblico impiego, che ha perso quasi 300mila dipendenti rispetto ad allora e che è invecchiata. «Senza ricambio generazionale e senza l’innesto di nuove competenze, tecniche e gestionali, nella Pa, rischiamo di non riuscire a spendere i quasi 200 miliardi del Recovery fund», ripete in ogni occasione pubblica. Il ministro non criminalizza le consulenze. «Sono sempre stato convinto, allora come oggi, che esistano consulenze buone e consulenze cattive. Se un piccolo Comune rischia di essere travolto dalla frana della montagna che ha di fronte e non annovera geologi tra i suoi dipendenti, è assolutamente positivo che si avvalga di un geologo esterno. Ma se un Comune con mille dipendenti chiama i consulenti per la disposizione delle fioriere, è chiaro che si tratta di uno spreco».
Il tema dell’accesso alle informazioni, delle lobby e della trasparenza avrà un ruolo chiave anche nell’utilizzo del Recovery fund. E al momento tutti questi aspetti lo Stato li ha appaltati all’esterno.
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