Inchieste
15 dicembre, 2020

Fondi Ue e Recovery, a Palazzo Chigi è iniziata la grande guerra dei superconsulenti

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Il governo Conte vuole assumere direttamente 2.800 esperti per aiutare la Pa a spendere le risorse, limitando il raggio di azione delle società private del settore. Il ministro Provenzano: «In questi anni si sono creati rapporti opachi tra politica e aziende». In ballo un giro da affari da 2 miliardi di euro

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Palazzo Chigi dopo anni di magra torna ad assumere per aiutare la pubblica amministrazione nella spesa dei fondi Ue e apre un grande fronte di scontro contro le grandi società private di consulenza finite nel frattempo nel mirino non solo del governo ma anche di Antitrust, Consiglio di Stato e procura di Roma. In questa partita sono in ballo tanti, tantissimi soldi: solo nella programmazione dei fondi Europei 2014-2020 la spesa dell’Italia per i consulenti esterni, le cosiddette “assistenze tecniche” a supporto della Pa,  è stata pari a 1,6 miliardi di euro: una cifra che non ha paragone in nessun altro Paese Ue. E altri due miliardi di euro sono stati stanziati nella prossima programmazione 2021-2027 e per il Recovery fund. Una montagna di soldi.

Il grande affare
I colossi del settore sono sicuramente le big four europee: Kpmg, Deloitte, Pricewaterhouse e Ernst and young. Ma non solo: in campo ci sono anche gruppi italiani, come Lattanzio, e società para pubbliche come Invitalia. Aziende che spesso si trovano nella posizione di fare i controllori e i controllati: certificano i bilanci degli enti e si occupano della qualità della loro spesa. Un argomento molto delicato, esploso in Gran Bretagna con il governo di Boris Johnson che vuole smarcarsi dalle società private, visti anche i milioni di sterline che ogni anno Downing street spende per questo tipo di consulenze. Di certo c’è che il mercato italiano è uno dei più floridi d’Europa, se non il principale. L’Anci, attraverso uno studio Ifel, ha calcolato in oltre 3 miliardi di euro la spesa fatta con i fondi europei della programmazione 2014-2020 per aiutare la pubblica amministrazione: di questa torta, oltre la metà, 1,6 miliardi, va alle assistenze tecniche. Contratti assegnati con gare milionarie: la Consip ha bandito nel 2016 una gara da 262 milioni per l’assistenza tecnica nelle regioni: a vincere i lotti principali il gruppo inglese Bdo (28 milioni di contratto), Deloitte ( 24 milioni), Pwc (tre lotti da circa 70 milioni complessivi), Ernst and young (40 milioni) e Kmpg (7 milioni). Consip ha bandito poi una seconda gara da 66 milioni per aiutare le Autorità di certificazione: gara dalla quale sono partite indagini dell’Antitrust e della procura di Roma, come vedremo. Ma rimanendo in tema di appalti, solo per il programma resto al Sud Invitalia ha ottenuto una convenzione per assistenza tecnica da ben 40 milioni. Questo fiume di denaro ha aiutato l’amministrazione pubblica? A sentire le aziende senza il loro aiuto la Pa non avrebbe certificato e speso un solo euro. Di certo c’è che nonostante questa mole di consulenti esterni (nel frattempo la Pa non assume da decenni per i tagli al bilancio) l’Italia resta indietro nella spesa dei fondi Ue: secondo l’ultimo report sulla certificazione, l’Italia è ferma al 35 della spesa, meglio fanno i grandi Paesi dell’Ue ma anche Grecia, Estonia, Ungheria o Irlanda.  

Il piano di Conte e Provenzano
Proprio sui risultati, non proprio buoni, si basa la scelta del governo Conte e la decisione di “fare da sé” proposta dal ministro del Sud Giuseppe Provenzano. Scorrendo la manovra di bilancio approvata da Palazzo Chigi e appena inviata alle Camera all’articolo 31 salta fuori una norma dal titolo: “Rigenerazione amministrativa per il rafforzamento delle politiche di coesione territoriale nel Mezzogiorno”. Tradotto: 130 milioni di euro sul piatto per assumere con contratti fino a 36 mesi 2.800 esperti da “reclutare” nelle amministrazioni che devono spendere i fondi di Bruxelles: ministeri, Regioni e Comuni. Il grande sponsor di questa norma è Provenzano, che vuole così scardinare il grande fronte delle assistenze tecniche esterne: “In questi anni – dice il ministro all’Espresso – si sono creati rapporti opachi tra pezzi di politica e amministrazione e società private di consulenza, destinatarie di risorse per le assistenze tecniche ma che hanno restituito poco all’amministrazione, visti gli scarsi risultati nell’avanzamento della spesa e direi anche nella qualità degli investimenti. Io dico che occorre adesso correggere il tiro e iniziare a cambiare rotta: reclutando a livello centrale giovani qualificati, consolidando il sistema delle task force, sostenendo le centrali di spesa, dai ministeri ai Comuni passando per le Regioni, con nuove competenze che oggi mancano”. 
Un piano ambizioso che mette nel mirino le grandi lobby che controllano in tutta Europa il mercato delle assistenze esterne. Un sistema che non accetterà di buon grado una riduzione del loro enorme giro di affari: si parla di almeno 4.000 assunzioni esterne (ma non c’è una cifra ufficiale) fatte senza selezione pubblica attraverso le società che negli anni hanno vinto gli appalti per aiutare e “rafforzare” la pubblica amministrazione più lenta d’Europa, quella italiana.
Il ministro per il Sud Peppe Provenzano

I fari di Antitrust e procura
Ma proprio sul sistema degli appalti nel settore e su alcuni bandi da tempo ha accesso i riflettori l’Antitrust, mettendo nel mirino diverse gare per l’assistenza tecnica della programmazione 2014-2020. Su tutte quella per gli Audit, che da sola valeva 66 milioni di euro. L’Antitrust, dopo una mega indagine delegata alla Guardia di finanza, ha sostenuto la tesi che la gara sia stata in qualche modo pilotata dalle big four: «Per quanto riguarda il punteggio economico - scrive l’Autorità - si rileva che tra i partecipanti alla gara, l’Rti Deloitte Touche -Meridiana Italia, Kpmg, l’Rti PwcPwc   Advisory Ernst   &   Young  hanno   differenziato  notevolmente  secondo uno schema del tutto simmetrico le loro offerte a seconda del lotto di partecipazione, in alcuni casi presentando ribassi più elevati (sconti medi ponderati tra il 30 e il 35%) e in altri molto contenuti (tra il 10% e il 15%). Le offerte con i maggiori ribassi di tali quattro soggetti non si sono mai sovrapposte». La Guardia di finanza ha trovato nei computer di alcuni manager della società mail che sostengono la tesi dell’Autorità.

L’Antitrust ha quindi comminato una multa alle quattro società: 7,6 milioni a Kpmg, 5,9 milioni a Deloitte, 8,5 milioni a Ernst & Young e 1,5 milioni a Pwv. Le big four hanno fatto ricorso al Tar, che in un primo momento ha ridotto le sanzioni. Ma proprio il mese scorso il Consiglio di Stato ha dato ragione all’Autorità. E c’è di più: sempre il mese scorso i sostituti procuratori di Roma Claudio Terracina e Mario Palazzi hanno chiesto il rinvio a giudizio per turbativa d’asta di sei tra dirigenti ed ex manager delle big four per «essersi accordati nel ripartirsi i lavori oggetto della gara».  

Subito dopo questo appalto da 66 milioni, secondo la procura pilotato, la Consip ha bandito la mega gara da 263 milioni di euro a base d’asta per l’assistenza tecnica nelle Regioni. E anche su questo fronte arriva qualche ombra, questa volta dall’Anac e non sul fronte dei privati ma della Consip. Una società esclusa da alcuni criteri ha sollevato la questione all’Autorità anticorruzione, sostenendo che la divisione in lotti e il budget previsto per partecipare alle gare di fatto agevolava solo i grandi gruppi del settore: non a  caso, sottolinea l’Anac,  su 21 mila aziende di consulenza attive nel mercato italiano, al bando hanno partecipato in poco più di 40 aziende per nove lotti, quindi lo 0,19 per cento delle società presenti nel settore delle consulenze alla pubblica amministrazione. L’Anac nella delibera di fatto dà ragione alla piccola azienda. Sostenendo che «la divisione in lotti non è stata conforme alla legge».

 Una cosa è fuori di dubbio: la partita dei superconsulenti di Stato è appena iniziata e il piano del governo, quello cioè di togliere in parte risorse al settore e anche assunzioni, visto che oltre la metà verrebbe fatta a livello centrale dalla Coesione territoriale, aprirà un fronte di scontro in Parlamento: perché tutte le aziende del settore, grandi e piccole, hanno ottime entrature nella stessa politica.

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