Lo studio
Sentirsi parte di una comunità riduce i casi di depressione. Anche durante l’emergenza Covid
Una ricerca fatta sui diversi quartieri di Bergamo nei primi mesi del 2021 parla chiaro: il senso di appartenenza alla vita del luogo dove si abita influisce sulla salute
Gorle è una cittadina di circa 6.500 abitanti nelle immediate vicinanze di Bergamo, giovane e più ricca della media locale. A un anno dall’inizio della pandemia di Covid-19, il 43 per cento di coloro che hanno risposto a un questionario anonimo sul proprio stato di salute mentale ha mostrato sintomi clinicamente rilevanti di depressione e il 57,1 per cento livelli non ancora clinici ma comunque preoccupanti di ansia. Nessuno ha dichiarato di provare un forte senso di comunità.
Tra i palazzi storici di Città Alta, quartiere vetrina di Bergamo, ansia a livelli clinici quasi non ce n’è e i sintomi depressivi significativi sono presenti solo nel 12,5 per cento dei casi esaminati. Il senso di comunità è addirittura molto forte per il 44,4 per cento degli intervistati. Tra le differenze rientra anche quella generazionale: Gorle è abitata da famiglie di imprenditori trenta-quarantenni mentre gli abitanti di Città Alta che hanno partecipato all’indagine hanno in media 58 anni. Ma l’età non basta a spiegare i diversi effetti psicologici che l’emergenza coronavirus sta dispiegando sul territorio simbolo della prima ondata. E nemmeno sono sufficienti la fortuna economica o l’incidenza dei contagi.
Il 30 per cento di chi ha risposto dal quartiere di Redona ha dichiarato di essersi ammalato di Covid-19. Qui la depressione clinica aleggia nel 10 per cento delle risposte, mentre il senso di comunità risulta forte nel 40 per cento dei casi. Secondo una ricerca che L’Espresso ha potuto consultare in esclusiva, il senso profondo di appartenenza e di partecipazione alla vita del luogo dove si vive influisce direttamente sulla salute delle persone. «Il risultato conferma l’ipotesi: nei territori con maggiore senso di comunità sono inferiori i sintomi ansiosi e depressivi», spiega Armando Toscano, psicologo e coordinatore del progetto. «Non stiamo parlando», aggiunge, «di un mood generico, ma di questioni prettamente cliniche».
La ricerca appare molto focalizzata sui sintomi della depressione perché si è svolta durante i primi mesi del 2021. Infatti, durante le prime fasi dell’emergenza il sentimento prevalente nella popolazione era l’ansia di fronte a una minaccia sconosciuta come quella posta dal Covid-19, ma solo in alcuni casi con il tempo è sfociata in una depressione, talvolta anche grave. Secondo i ricercatori, è appunto nel lungo periodo che il senso di comunità ha svolto e continua a svolgere il suo ruolo per spezzare questa traiettoria delle ricadute negative della crisi pandemica sulla psiche dei cittadini.
Il questionario sulla base del quale è stata costruita la ricerca fa parte di una iniziativa di tutela della salute mentale, promossa dall’Ambito territoriale di Bergamo - l’ente locale che si occupa delle politiche sociali della città e di cinque comuni limitrofi - e dall’Ordine degli psicologi della Lombardia. In questa rientra Psicoaiuti, uno sportello telefonico di ascolto e orientamento psicologico dedicato a quanti si sono visti stravolgere la vita dall’arrivo della pandemia. Mariaelisa Mannino è una delle due psicologhe che da mesi risponde alle chiamate. Queste provengono soprattutto da donne, tra i 25 e i 45 anni, classe media, con attacchi di panico al supermercato, lutti traumatici, insonnia, paura di non poter proteggere i propri cari, perdita del controllo sulle proprie giornate. «Quasi sempre sono persone che hanno rotto la loro routine: prima del Covid-19 erano molto attive, ora hanno perso il lato di leggerezza della vita».
Un anno fa il lockdown ha stretto le persone in un senso di vicinanza, di destino comune, che è andato poi a scemare, facendo emergere le differenze tra una condizione psicologica individuale e l’altra ma anche tra un territorio e l’altro. Secondo Clara Cernuschi, responsabile del progetto per l’Ambito territoriale, Bergamo nel complesso ha comunque tenuto, forse perché «storicamente ha sempre avuto tante associazioni, centri diurni per gli anziani, centri terza età e anche nei quartieri più difficili trovi le case popolari ma anche i servizi».
La correlazione tra un maggiore senso di comunità e minore depressione e ansia non è solo un caso locale, ma è una indicazione da tenere in considerazione quando di parla di benessere dei cittadini e di sopravvivenza psicologica a crisi come quella che stiamo affrontando. «Centinaia di dati di ricerca confermano che se le persone sono inserite nelle reti sociali stanno meglio sia sotto il profilo della salute mentale che della salute fisica: è una evidenza che anche in medicina conoscono benissimo ormai», sottolinea Terri Mannarini, docente di Psicologia sociale all’Università del Salento, precisando che per arrivare al senso di comunità non basta essere integrati nella società; è necessario interiorizzare una idea di comunità che includa non solo le persone che conosciamo, ma anche gli estranei con i quali condividiamo gli spazi e i servizi.
Ma cosa dovremmo fare per ricostruire le reti sociali che ci dovrebbero sostenere anche psicologicamente e che si sono sfilacciate? Le strade suggerite dalla docente sono due, «una riguarda il ruolo importantissimo che svolgono le istituzioni, sia dal punto di vista simbolico, per i messaggi che veicolano, sia dal punto di vista pratico, per i provvedimenti di sostegno che adottano». L’altra via passa per «tutte le iniziative a metà tra istituzionale e privato sociale, associazionismo, volontariato», che aiutano le persone a sentirsi socialmente meno sole.
Della teoria di oggi bisognerà tenere conto nella pratica di domani, quando in realtà grandi o piccole si programmeranno gli interventi sociali, come quelli per esempio previsti per legge dai piani sociali di zona. «Il piano di zona si può redigere in due modi: o come si fa con un precompilato nel quale bisogna solo inserire dei dati, oppure si può svolgere un vero lavoro di analisi dei bisogni», evidenzia Armando Toscano. Lui e gli altri esperti che hanno lavorato alla ricerca sugli effetti della pandemia sulla salute mentale dei bergamaschi sono convinti dell’esigenza di adattare i servizi alla persona alle esigenze diverse di ogni area. Come spiega Barbara Bertani, docente all’Università Cattolica di Milano e referente del progetto per l’Ordine degli psicologi della Lombardia, «ci sono delle identità territoriali che vanno raccolte, capite e a cui vanno date delle risposte, e per le quali non si può pensare a interventi standardizzati ma sartoriali, come un vestito su misura». Nel 2020 il collettivo politico Malgré Tout/Malgrado tutto scriveva in Piccolo manifesto in tempi di pandemia che «la vita individuale e la vita sociale ci appaiono finalmente come due facce della stessa medaglia. Obbligati all’isolamento, scopriamo di essere attraversati da molteplici legami che non corrispondono affatto al disegno thatcheriano secondo il quale “non c’è società” ma solo individui». Meglio ricordarlo, se vogliamo arrivare preparati alle conseguenze psicologiche della prossima emergenza, della prossima possibile pandemia.