È uscito in aprile “Il vino dei morti”, pubblicato da Neri Pozza più di quarant’anni dopo la morte dell’autore. Romain Gary non era ancora un ventenne quando lo scrisse nel 1934 e benché nel corso della vita, conclusasi nel 1980, i suoi numerosi romanzi siano apparsi nelle vetrine dei librai non soltanto parigini, tenne nascosto “Il vino dei morti”. Il romanzo non meritava un esilio tanto lungo. Romain Gary ebbe un grande successo, non solo in Francia, ma fu anche giudicato da alcuni critici «fuori moda, banale, datato». In particolare, dagli ammiratori del Nouveau Roman. Fu bollato come un «quasi fascista» da un gruppo di intellettuali di Saint-Germain-des-Près durante e dopo il Maggio ’68. Fu definito mediocre scrittore dai critici di Le Monde. Per rispondere ai detrattori Gary ideò allora una rivincita clamorosa: una beffa ai suoi censori che occupò stampa e televisione. E dalla quale uscì vincitore.
Le pagine letterarie accolsero uno sconosciuto romanziere, le cui opere erano appena state pubblicate, come un giovane genio. Il suo nome era Emile Ajar e raccontava spesso storie di ebrei, molto autobiografiche. Ai primi due romanzi, “Mio caro Pitone” e “La vita davanti a sé”, era seguito “Pseudo”. Nel quale Ajar scriveva: «Non citerò, con disprezzo, una scheda della mia cartella clinica che ha un carattere nettamente antisemita, poiché vi è detto che sono ebreo». Il sarcastico Emile Ajar, nuovo genio della Parigi letteraria, era, come si seppe poi, quando fu svelato il segreto, lo pseudonimo di Romain Gary. Lui, lo scrittore bistrattato, era anche l’autore degli osannati romanzi firmati con un nome inventato. Al punto che Emile Ajar vinse il Prix Goncourt. Così Gary, avendolo già vinto con il suo nome, quello autentico, fu l’unico scrittore ad avere ricevuto due volte il prestigioso premio letterario. Dopo quella beffa riuscita incontrai Romain Gary in rue du Bac, vicino a casa sua. Ci scambiammo poche parole. Non lo conoscevo abbastanza per capire il suo umore cupo. Era qualche settimana prima che si sparasse in bocca. L’anno precedente, nel ’79, era stata trovata morta (nuda avvolta in una coperta sul sedile posteriore di un’automobile abbandonata) Jean Seberg, che era stata sua moglie.
Nato ne1914 a Vilnius, in Lituania, Romain Gary si suicidò a Parigi sessantasei anni dopo. I motivi che spingono a togliersi la vita restano spesso misteriosi. Alcuni hanno voluto trovare il motivo del gesto di Gary nel libro in cui si racconta che oltre una certa età «il biglietto non è più valido». Non vale la pena vivere quando si perde il vigore maschile. Per la quarantenne attrice americana, che era stata sua moglie e il simbolo della Nouvelle Vague, grazie ad “À bout de souffle” (Fino all’ultimo respiro) di Jean-Luc Godard, la causa della morte era chiaramente spiegata in un breve scritto trovato accanto al cadavere. Era stanca di stare al mondo.
Veniva dal Midwest, da una famiglia proprietaria di un drugstore. Vinse un concorso indetto per interpretare Giovanna d’Arco in un film di Otto Preminger, e a Los Angeles incontrò Romain Gary, console generale di Francia e già scrittore di successo. Lui aveva ventiquattro anni di più e un passato intenso. Emigrato con la madre in Francia da ragazzo, nel 1940 aveva raggiunto de Gaulle a Londra per continuare la guerra contro i nazisti che avevano invaso la sua patria d’ adozione. Nell’aviazione della Francia libera fu pluridecorato, insignito della Legion d’ Onore. E alla Liberazione ebbe subito successo come scrittore. Imboccata la carriera diplomatica si ritrovò console generale a Los Angeles, dove un giorno ricevette una giovane attrice americana che diventò subito la sua seconda moglie, come lui diventò il secondo marito di Jean Seberg.
Così cominciò la fiaba finita in tragedia. L’unione tra la ragazza del Midwest, dotata di una bellezza apparentemente ingenua, ma tutt’altro che semplice, e lo scrittore di successo grande seduttore, ebbe un breve inizio felice. Ma la ragazza del Midwest non resse alla nuova vita. Finito il matrimonio con Gary ne seguirono altri due. E anche tante avventure, una delle quali attirò l’attenzione della Fbi: quella con un dirigente delle Pantere Nere, dal quale si pensò che aspettasse un figlio. Una bambina che morì dopo due giorni e che fu sepolta in una bara trasparente, per dimostrare che aveva la pelle bianca, e non nera come quella del supposto amante di Jean Seberg. Insomma, l’incontro di Los Angeles finì con due suicidi. Compiuti con motivazioni diverse, quando i due protagonisti erano separati da tempo. L’apparizione del libro rimasto a lungo inedito, “Il vino dei morti”, mi ha spinto a ricordare questa storia che riempì la stampa di quarant’anni fa.
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