L’aggettivo che irritava Amos Oz era “irreversibile”. A usarlo spesso, perché ben ancorato nella loro mente, erano e sono sia l’estrema destra, sia i gruppi post sionisti e antisionisti tanto in Israele quanto nel resto del mondo. In una raccolta di saggi pubblicata nel 2017 (e tradotta dall’ebraico da Elena Loewenthal per Feltrinelli, col titolo “Cari fanatici”), un anno prima della morte l’autore scriveva che era «come se si fossero messi d’accordo a nostra insaputa per convincerci che l’occupazione israeliana dei Territori è ormai irreversibile, che tutte le colonie sono ormai irreversibili, che la soluzione di due stati è ormai irreversibilmente tramontata».
Ho riletto Amos Oz (al quale avevo già dedicato una rubrica un anno e mezzo fa) perché, mentre piovevano di nuovo sulle città israeliane i razzi di Hamas e sulla Striscia di Gaza le bombe israeliane, sapevo di ritrovare negli scritti del grande romanziere e saggista, più volte in lista per il Premio Nobel, un’analisi appassionata e al tempo stesso cristallina. Attuale, poiché il dramma non si è concluso. Nella sua analisi, di cui riporto brani e concetti, Amos Oz riteneva che quel che aveva vissuto tante volte si sarebbe ripetuto nel futuro. Ma in un futuro che forse non pensava tanto vicino. Comunque, il nuovo scontro non sarebbe stato l’ultimo.
Per Amos Oz la «bomba dell’irreversibilità» è una specie di lavaggio del cervello con lo scopo di deprimere la sinistra sionista. La quale si oppone all’occupazione dei Territori e si rifiuta di continuare a dominare un altro popolo. Essa crede che il popolo ebraico israeliano abbia il diritto naturale, storico, legittimo a una vita di autodeterminazione politica come maggioranza e non minoranza, fosse anche in uno stato democratico molto piccolo. Amos Oz era un sionista di sinistra, aveva aderito a Meretz, gruppo nato alla sinistra del Partito laburista, al quale era stato iscritto per anni. Era per due Stati ben distinti. Gli ebrei israeliani, ripeteva, non se ne possono andare perché non hanno nessun altro posto dove andare. Neppure i palestinesi se ne vanno perché non sanno dove andare. La disputa tra i due popoli è la tragedia di un diritto contro l’altro («…e spesso purtroppo un torto contro l’altro»). I fomentatori delle ostilità, coloro che alimentano l’odio, sono i radicali dei due campi.
Dovendo affrontare processi penali, in cui non manca l’accusa di corruzione, e non in grado di formare un governo, Benjamin Netanyahu ha recuperato peso politicamente come leader nel nuovo confronto con Hamas; e, affrontando Israele nelle ultime crisi, Hamas ha guadagnato anch’esso consensi che non aveva. Il movimento islamico, marcato dal fanatismo, tiene i due milioni di abitanti di Gaza come ostaggi, o meglio, come uno scudo. Le sfide a Israele aumentano i suoi sostenitori. Alle prossime elezioni in Israele e nei territori palestinesi, Netanyahu e Hamas possono ricevere ampi consensi. Dall’una e dall’altra parte si sono sentiti impegnati in una lotta indispensabile per imporre la propria autorità. Un’autorità secondo loro giusta, ricca di emozioni, di paura e di sangue. In questa atmosfera, per sua natura venata di fanatismo, dice Amos Oz, due estremismi contrapposti conquistano la popolarità perduta. Trionfa il principio dell’irreversibilità in cui l’odio prevale.
Eppure, scriveva Oz, prima di quest’ultimo atto della tragedia, Israele stava vivendo ormai da decenni un’eccezionale stagione culturale. Egli vedeva il fiorire della letteratura, del cinema della musica, del teatro, delle arti plastiche, della filosofia, della scienza, della tecnologia e dell’high tech. Un’epoca d’oro che conviveva e convive con l’ingiustizia e la violenza. Dove la democrazia coabita con prepotenze quali le occupazioni e le annessioni. Ma nulla è irreversibile. Solo la morte. È con la sofferta, rifiutata idea dell’irreversibilità del dramma mediorientale che il grande scrittore ha lasciato per sempre il paese in cui era nato. Una terra che ha amato, e alla quale era fiero di appartenere. Per la quale ha combattuto e ha contribuito come pochi altri, con le sue opere, a darle una straordinaria dignità culturale.