Già collaboratore della presidente del Senato, il funzionario del ministero dell’Interno è stato arrestato per traffico di influenze nell’ambito dell’inchiesta Ilva

Un uomo cerniera tra chi poteva influire sulle scelte del Csm e la lobby di Pietro Amara interessata a governare gli interessi di Eni e Ilva, oltre gli impicci giudiziari.  Nell’ultima inchiesta che ha portato di nuovo in carcere l’avvocato siciliano, spunta tra gli arrestati il nome di Filippo Paradiso, funzionario del ministero dell’Interno, già stretto collaboratore della presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati. Paradiso, già vicino a Matteo Salvini al Viminale, vicepresidente del Salone della Giustizia, un passato all’Agricoltura con il ministro Saverio Romano, era indagato per traffico di influenze a gennaio del 2019. Più o meno quando il funzionario scompare dai radar di Palazzo Madama. 

 

Era stato lui, come ha documentato l’Espresso, a propiziare nel 2016 la nomina del pm di Siracusa Giuseppe Longo, poi arrestato, per la guida della procura di Ragusa agli albori dell’intreccio che ha per protagonista l’ex presidente  dell’Anm Luca Palamara. E lo aveva fatto procurandogli un incontro proprio con Casellati, allora componente forzista del Consiglio superiore.

Più o meno lo stesso ruolo rivestito per l’agognato passaggio del procuratore di Trani Carlo Maria Capistro alla guida della procura di Taranto, direttamente coinvolta nella gestione del dossier Ilva. In entrambi i casi Paradiso si sarebbe speso per conto di Amara che lo avrebbe utilizzato come ambasciatore nel sottobosco giudiziario per la presa di contatto con i magistrati amici, da corrompere e blandire pur di portare a casa i risultati agognati.